Non è niente, no non è niente, solo un lieve turbamento che mi ha colto all’improvviso. E nulla è così come credevo, niente è rimasto negli occhi di quanto avevo scorto da dietro il sipario del mio essere vero. Non c’è nulla di più amaro del suono di una parola che non credevo appartenesse al mondo che mi circonda e mi assorbe, ma al pozzo senza fondo in cui si gettan sassi per esprimer desideri che mai si avvereranno. Adesso è tempo di chiudere le porte, abbassare il velo sulla mia anima e lasciarla lì a respirare quello che le manca e che non le so dare, o non voglio. Mi sono sempre chiesto perché, a volte, mi sento così vuoto, sì, mi sono sempre chiesto perché avendo fatto tanto e continuandolo a fare, mi ritrovo dentro, gravidi di pioggia, alti cirri che aspettano un mio segnale per scaricare da dietro le palpebre le loro gocce amare. Avrò ali spero, per poter volare lasciando scivolare anche l’ultimo brandello di ogni umana mancanza, specchio di una lontana sembianza che dell’umano è figlia, delle mie debolezze e dei miei se. Risate lontane, risuonano in ogni goccia di nebbia sottile che invade il giallo delle foglie cadute e trascinate dal vento; come un lamento che sibila ad ogni soffio fino a trovare in un angolo di via un rifugio per poter giacere. E poi spinto dal vento freddo di novembre, mentre volgo lo sguardo offuscato dalla nebbia verso un lombrico che striscia, là presso la scia lasciata da una lumaca lenta, fredda, grigia come grigio è il cielo, percepisco lieve, come venisse dall’erba bagnata sotto i miei piedi, come un sapore di ciliegie e di alcol che evapora in fretta. Adesso, in questo giorno di pioggia, ascolto il silenzio che sgretola ogni fantasia. Ho in mente una musica lontana che fa da sfondo al colore del mio animo, al grigio che mi circonda. Elemosinando ore, minuti, attimi di attenzioni mancate, un fiore mi parla, ha la corolla piegata dal peso delle gocce cadute: "Anelavo carezze di mani amorose che mi cogliessero per far da diadema tra biondi capelli per gioco infilato. Quale nenia avrei voluto ascoltare, quale sguardo posarsi lieve sopra i capelli ad ammirare i miei petali gialli”. Sarò vicino a te quando l’ultima spina ti si conficcherà nell’anima, se tu lo vorrai: lo vedo da come mi scruti… hai timore di cogliermi, di calpestarmi, di spezzarmi perché poi sai che appassirei, e dai capelli al vento mi lasceresti andare ormai secco. Ma la linfa che nascosta era in me, te l’ho donata e sono contento così. E sarà sempre come ogni attimo che respiri, perché il tuo affanno sarà il mio affanno, la tua malinconia sarà anche mia. Ti offro l’ultimo sole rubato alle giornate d’autunno e ti riscalderò quando le tue mani avranno freddo. Soffierò via il vento dell’inverno, quando il gelo racchiuderà in una morsa il tuo cuore per farlo risvegliare, così, per riscaldarti il petto e sentire che ancora sai dare quello che, a volte, si è perso in un palmo aperto con un soffio di vento, lontano. Il silenzio che parla, in ogni battito lieve e tu che sorridi al nuovo tepore, io che ti guardo. Io che sorrido ai tuoi occhi come fossi spuntato sul ciglio d’un profondo fossato, tra mille fiori vicini di un giallo colore, e tu che seduto sul bianco d’un sasso a forma di cuore, ancora sai trovare nuove dolci parole: credevo le avessi perdute, ma tra i petali leggo distinto un messaggio d’amore”.
Giov@nni