Mondo Parallelo

GOCCE DI NEBBIA


Ed era la folla vicina che mi attorniava con le sue grida e il suo spingere. Io guardavo ed ascoltavo il rumore assordante di mille voci e, vicina, un’aiuola spezzava la monotonia del tutto lì intorno. Due vecchi che passavano lenti: in mano dei sacchetti bianchi con dentro la frutta appena comprata; li guardo, sono assorti, i loro occhi di pace, in questo giorno uggioso e nebbioso di dicembre. Una donna vestita di vento mi spinge senza volerlo, ed io lo stesso le chiedo scusa per non averla scorta in tempo, anche se ero immobile ad osservare e proteso ad ascoltare attorno il frastuono. Così, cercando di cogliere in motivi rotondi, tra tanti suoni, ecco un bisbiglio divenire sempre più forte, come ansia vocale da dover tradurre in pensiero, parole dal suono acuto, di quelle che partono da un grido che viene da dentro, con un urlo che non ha inizio né fine, di quelle che cercano le vie del suono e del passo. Forte colore e odore di amicizia qui accanto, mi piace sentire sorrider la gente mentre si stringon le mani e sfugge un abbraccio che sembra mai pago. Poi lentamente mi avvicino al mare, in questo giorno di festa dopo il Natale. Mi sono spinto con l’auto dalla città, ormai lontana, fin sulla riva. Avevo voglia di sentir l’onda salutarmi tra la nebbia d’inverno, di goder del silenzio di bianche ali spigate nel cielo, unite al mio gioco di immagini confuse in un impercettibile fruscio che sembra provenire da dentro. E lungo la riva, avvolto nella giacca imbottita, coi jeans un poco arrotolati sulle caviglie, con le scarpe da footing che scricchiolano ad ogni conchiglia pestata, passeggio, con l'abbandono come di ombra indistinta che medita, confusa tra il biancastro e freddo color delle nuvole basse di nebbia. Sensazione nel cuore, quasi d'uccello che sappia di dover nascere. Senza vedermi mi guardo e mi specchio in un disco di sole che non vuole affacciare, a cui il sogno adesso sembra fare da compagno, in un silenzio di ovatta che innalza i miei passi. Affacciato a un angolo di cielo,  mi aggrappo a un istante infinito, anteriore a un lontano suono d’arpa, con le corde allentate e pizzicate dal vento, che intona la sua melodia di note dolcissime, alle parole, alla pioggia che tra poco forse sarebbe caduta. Io, sì prima di questo suono, io non sapevo. Non volevo sapere. Bianca alunna dell'aria, la sera trema con le stelle già pronte a spinger per far compagnia alla notte, con i fiori e con gli alberi nascosti nel buio. Più in là, tra la sabbia bagnata, uno stelo, un fiore che adesso sta nascendo appartiene alla terra; è la sua verde cintura. Me ne faccio una ghirlanda da regalare alla luna stasera, quando tornerò sui miei passi. Insieme con le mie stelle, di tutto ignoranti, che, ricordo, ieri, per scavar negli occhi della notte due lagune quasi per gioco, in due mari per poco annegarono. E anch’io sono riuscito a salvarmi dal turbine del sorriso di una notte che tra poche ore sarà un fiume di stelle riflesse sul mare! Sì, perché altrimenti la serenità che mi ha avvolto ad osservare le onde che violente si frangono tra gli scogli, non mi avrebbe permesso di andare, e sarei voluto restare, lì, immobile, fermo in silenzio a guardare; certo, così, a contemplare magari qualche goccia di pioggia cadere, la spuma bianca salire, le gocce che forano la sabbia, tanti crateri, uno vicino all’altro come pensieri sbocciati nel luccicare della rena bagnata, poi quel soffio di vento, che con le minute gocce si mischia al mio sguardo accecato dalla luce d’un pianeta lontano: no, forse è un raggio di luna scappato a una falla apertasi tra le nuvole bianche, già apparsa a fianco del sole adesso. Ed io allora mi scuoto dal mio silenzio, ombre mi passan vicino e mi salutano, come me vestite e paludate nei loro colorati giacconi imbottiti; preferisco prendere i miei ricordi e scappare, in questo pomeriggio tardo che avanza, prima che la notte si dipinga di stelle, e i miei pensieri si confondano nella nebbia come gocce di pioggia, come raggi di luce, che cadono piano, senza alcun suono, tra le onde nel mare, che adesso, sul far della sera, mi appare lontano.   Giov@nni