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« Realtà della vita...UN SALUTO »

Quel mitico ma maledetto Peugeot

Post n°346 pubblicato il 26 Novembre 2009 da aelle62
 

Ciao amici, beh rileggevo un po’ dei vostri commenti ed uno, quello della mia sorellina Gisa, mi da lo spunto per raccontarvi un’altra delle mie….IMPRESE!

Diversi anni della mia adolescenza li ho trascorsi insieme ad un cugino materno di nome Lino. Qualche anno più di me, mi insegnò lo sport della pesca e quindi devo a lui l’avermi trasmesso questa bellissima passione. All’epoca frequentavo il secondo anno di ragioneria  ed una sera lui venne a casa mia a trovarmi. Cenammo insieme e preparammo il tutto per una pescata. Alle dieci e mezza di sera decise di andar via e salutò tutti e se ne andò. Dopo neanche dieci minuti suonò il citofono ed era lui che mi disse: Antò, il motorino non parte scendi per favore che mi dai una spinta….OK arrivo.

Scesi giù, faceva un freddo cane. Lino aveva un Peugeot modello 102 e magari qualcuno di voi se lo ricorda. Lui in sella ed io da dietro iniziai a spingere. All’epoca non ero un fumatore e quindi di salute e fiato ne avevo da vendere, ma quel maledetto non voleva saperne di partire. Iniziava a scoppiettare, partiva e si spegneva. Facemmo il giro dell’isolato e andammo dietro i palazzi dal lato del fiume dove c’era un lungo rettilineo.. A quel punto Lino mi disse: Antò, appena parte Sali al volo che ti riporto a casa sennò si spegne di nuovo, e così facemmo. Ad un certo punto dopo un po’ di corsa partì e lui….dai, Sali!

Non lo avessi mai fatto. Nel montare dietro di lui al volo misi male un piede ed il destro mi finì nella corona della catena. Il motorino si bloccò all’istante e Lino facendo un po’ di retromarcia permise al mio piede di uscire dalla catena. Antò come stai? Ti sei fatto male? Come ho detto prima faceva un gran freddo e quello non mi permise di realizzare ciò che di li a poco avrei scoperto. Un po’, gli risposi, ma porca miseria guarda mi ha tagliato la scarpa. Un paio di scarpe di suola che avevano pochi giorni di vita ed ora una era quasi tagliata a metà. Sentivo solo un pizzichìo al piede e Lino mi urla: ma pensi alla scarpa? Toglitela vediamo cosa ti sei fattoooo.

Appena la tolsi avevo il calzino rosso e lì mi spaventai, ma quando tolsi anche quello iniziai a balbettare vedendo l’alluce nero e gonfio, ma l’indice tagliato quasi di netto dalla catena. Non sapevamo casa fare eravamo nel pallone completo. Lino corri portami in ospedale ti prego. Così appoggiammo il mio piede sulla pedana del motorino che partì al primo colpo ( sto pezzo di….) e mentre lui correva come un matto io tenevo d’occhio il mio piede per paura di perdere per strada il mio dito. Arrivati al pronto soccorso subito mi fecero entrare e mentre mi facevano i primi medicamenti Lino mi stringeva le mani per farmi star fermo. I medici decisero allora di farmi portare a Torre Angellara dall’altra parte di Salerno dove c’era un reparto di ortopedia.

Scena: in ambulanza c’ero io ed una prostituta anziana che un cliente aveva rifiutata e spingendola l’aveva fatta cadere e si era tagliata su una mano con un vetro. Quella donna cercava di calmare e fare coraggio ad un ragazzino che ora sentiva il male, e che male accidenti. Dietro l’ambulanza Lino a tutto gas col suo Peugeot. Arrivata mi portarono subito in sala operatoria e Lino lo fecero accomodare fuori. Ero terrorizzato quando il medico disse credendo di farmi stare meglio: ascolta Antonio due sono le cose, o te lo riattacco con un po’ di punti o te lo taglio completamente e me lo mangio con le patate. Vi giuro che schivò un mio cazzotto per la sua prontezza di riflessi e li credo che capì di aver detto una stronzata mondiale.

Lino nel frattempo telefonò a casa dicendo a mia madre: zia, guarda che siamo all’ospedale di T: Angellara, ma stai tranquilla Antonio si è fatto solo un graffio. Mio padre quando seppe dove eravamo partì come un  missile pensando che se io fossi li certamente non mi aveva graffiato un gatto, anzi. Nel mentre io ero sotto stretta sorveglianza di due infermieri tipo armadio di cui uno ce lo avevo seduto sulle gambe e l’altro appoggiato sul petto fer immobilizzarmi perché ero un diavolo scatenato. Al termine di questa lotta, quando l’anestesia fece effetto e non sto a dirvi dove me la fecero, dissi: ora mi potete lasciare e così guardai tutto l’intervento mentre il chirurgo mi riattaccava il dito. Quando mio padre e mia madre arrivarono mi trovarono su una sedia a rotelle e con una fasciatura imbottita al punto tale che sembrava mi avessero amputato un piede. Mio padre che era un tipo facilmente impressionabile si mise le mani tra i capelli quando mi vide. Dai papà adesso va meglio gli dissi. Mi riportarono a casa e prima di andare via un infermiere mi disse di bere una camomilla calda e di dormire perché l’anestesia durava solo due ore. Non ci fu verso di chiudere occhi per tre giorni passati ad urlare di notte e di giorno per il male. Trascorsi così quaranta giorni a letto, non dovevo nel modo più assoluto camminare per far risaldare l’osso altrimenti dove rifare una gita in quell’ospedale.

Il primo giorno che volli uscire ricordo che era il due novembre volevo andare al cimitero e devo ringraziare gli amici dell’epoca se ci sono riuscito. Camminavo a fatica ed avevo paura che qualcuno potesse pestarmi un piede allora loro mi fecero il cerchio intorno e camminavamo così J.

Ecco qua amici cari, questa è un’altra avventura del diavoletto Gipsy, certo non proprio leggerina ma volevo raccontarvela per regalarvi ancora una volta un pezzetto di me del mio passato anche se non roseo, ma cosa ci posso fare se a parte l’essere stato un diavoletto da ragazzo ogni tanto mi baciava….la sfiga???

Un bacio a tutti dal vostro amico Kunta Kinte ehm….volevo dire Gipsy!

 
Rispondi al commento:
glicine_lilla
glicine_lilla il 02/12/09 alle 08:45 via WEB
BUON GIORNO "kUNTA kINTE!",,,MA NON TI FAI PIU' VEDERE? COME STAI? UN ABBRACCIO FORTE..LILLY bella l'immagine del tuo profilo...piu' dolce e meno aggressiva delle precedenti...bravooooooooooooo
 
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