EROTIQUE ROOM

VENEZIA


Ore 8.15 Venezia mi viene incontro a suo modo. La vedo accostarsi al treno con la sua proverbiale tranquillità, come se fosse nient'altro che una scia di olio a pelo sull'acqua. È silenziosa, alle otto del mattino. Chiara, deliziosa, sospirante. Ha l'aria di una bambina allegra, quella stessa freschezza, per lo meno a quest'ora. Uscendo da Santa Lucia, la luce del sole riflessa nel canale mi abbaglia due volte, prendendomi da sopra e da sotto, come a volermi definitivamente destare. Sono sola. Ho viaggiato all'alba perchè volevo essere qui presto e godermi le calle ancora poco affollate. Starò qui solo due giorni, il tempo di un fugace week-end, o se preferite di un passionale incontro al buio. Non lo so cosa mi ha preso. È stata come una scintilla di pazzia che all'improvviso si è impossessata di me; sempre così calma e morigerata, pensierosa e lungimirante, in ogni cosa che faccio. No, questa volta non ho permesso alla mia testa di avere il sopravvento. E nemmeno al mio cuore. Ho deciso di farmi trasportare da questa scarica elettrica folle, che mi fa sentire quasi una ragazzina che marina la scuola. Nessuno sa che sono qui. Ho raccontato qualche bugia e ho omesso qualche altra verità, ma alla fine ci sono riuscita. All’inizio avevo il terrore di farmi scoprire, di lasciarmi scappare qualcosa in uno dei miei vari momenti con la testa fra le nuvole. E invece sono stata brava e ho tenuto l’acqua in bocca. Ora ci sono. Non posso più scappare e nemmeno lo voglio. Ho preso una stanza in un suggestivo albergo sull’Isola di Erasmo e ora sarebbe il caso di capire da che parte sta. Di sicuro ci voglio arrivare camminando, vivendo e respirando l’aria di questa strana città. Ho scelto apposta quell’isola appartata, quasi sconosciuta ai turisti e così ricca di orti. Camminando mi sento libera. Gli sguardi della gente che incontro confermano che sono più bella, quando mi sento così. Percepisco di non avere freni, di non avere limiti o imposizioni. Questa sensazione mi stringe lo stomaco, e mi scarica in corpo adrenalina a ciclo continuo. Ho spento anche il telefono, perché m’incolla ad una realtà che adesso mi è distante; voglio vivere al di fuori del mondo reale, non ci sono per nessuno, almeno finché durerà quest’avventura. Mi fa sorridere pensare che è stato proprio per quello strano oggetto così indispensabile all’uomo moderno, che sono finita qui, adesso. Quando un mese fa è comparso quel numero sconosciuto sul display non lo so perché ho risposto, non lo faccio mai. Però ho risposto. La voce dall’altra parte ha iniziato un monologo imbarazzante, perché non era certo destinato a me. Quella voce calda parlava, raccontandomi di getto di quanto fosse diventato forte il suo bisogno di evadere, di vivere un momento di follia e io non sono riuscita subito a dire “mi-scusi-ha-sbagliato-numero”… Ho ascoltato. In silenzio. Quasi rapita da questa voce maschile così fremente. “Mi-scusi-ha-sbagliato-numero”… ho detto ad un certo punto con un filo di voce. Fortunatamente, la grande risata dall’altro lato del ricevitore ha spezzato di netto la tensione, permettendomi di uscire con tranquillità da una situazione di crescente imbarazzo. È stato così che abbiamo cominciato a parlare, io e lo sconosciuto interlocutore. Ed è stato così che a furia di trovare similitudini tra le nostre perversioni, abbiamo sentito la necessità di questo incontro fugace e nascosto al resto del mondo. Incontro che avverrà sta sera al Conservatorio intitolato a «Benedetto Marcello». No, non sono per nulla nervosa. Eccitata è il termine più consono. Ore 12.00 Ho trovato l’albergo. Appena entrata in camera mi sono spogliata e ho fatto una lunga doccia rigenerante. Avevo addosso l’odioso odore del treno e non riuscivo più a sopportarlo. Adesso i miei capelli profumano di pesca e albicocca, decisamente meglio direi. Mi godo questa attesa restando adagiata sul letto, nuda in mezzo alla corrente tiepida che carezzandomi, asciuga la mia pelle, in ogni suo angolo, anche quello più nascosto. Fantastico su questa sera, cerco di viverne in anticipo i momenti salienti. Voglio che tutto sia come nei miei sogni, come nei miei più profondi desideri. Sono nella terra di Casanova, inutile dire che l’incontro lo immagino libertino, senza regole, un po’ alla maniera settecentesca, insomma. E pensando-pensando, mi lascio scivolare in un dolce sonno… Quando mi sveglio sono già le cinque passate. È il momento di iniziare a prepararsi. Mi siedo al tavolo da trucco, accendo i faretti che mi puntano in faccia una luce giallastra, accecante per i primi momenti. Quando mi torna la vista mi guardo… Sono bellissima, anche spettinata e senza trucco. Ho quell’epressione perversa che sul mio viso mancava da un po’. I miei occhi dicono “mangiami, prendimi, fammi ballare”… Raccolgo i capelli e qualche boccolo sfugge alla molletta, adagiandosi morbido sulla curva che dal collo porta alla spalla. Nel silenzio più assoluto mi occupo del mio corpo come se fosse un rito, come se stessi preparando gli oggetti e gli incensi gusti su un tavolo sacrificale. Indosso l’abito. La serata al Conservatorio impone l’eleganza e io accetto volentieri questa imposizione. Il mio vestito scende morbido sulle gambe e lascia scoperta la schiena, fino quasi al sedere. È molto sexy e l’ho comprato apposta. Fascia sui fianchi perfettamente e non è ingombrante per l’uso che ho in mente di farne. Le scarpe le ho scelte nere, su tacco alto. Non ho ancora deciso se indossare le mutandine o meno, ma penso che alla fine le metterò. Ho sempre trovato eccitante il momento di farle volare via... Ore 19.45 Camminando sul Ponte di Rialto sento un leggero nodo in gola. Il Conservatorio è vicino e questo vuol dire che anche lui è vicino. Potrebbe essere già qui e potrebbe addirittura già avermi addocchiata. Spero di no, ci tengo a vederlo prima io… Quando imbocco la riva di Ferro, vedo in lontananza un piccolo gruppo di gente elegante e capisco di essere arrivata. Vorrei guardarmi a figura intera per l’ultima volta, cerco la mia immagine riflessa in qualche vetrina ma trovo solo gente che mi osserva, seduta ai tavolini dei numerosi ristoranti. La luce contraria non permette alla mia immagine di potersi mostrare. E comunque ormai sono arrivata. M’intrufolo tra la folla cercando di scovare un angolo protetto da dove iniziare la mia cerca e lo trovo vicino al tavolo da buffet, preparato per gli ospiti all’ingresso. Prendo solo un bicchiere di vino, per scaldarmi il cuore e per avere un alibi che mi permetta di restare li, da sola, senza sentirmi una stupida. Non mangio nulla. Non voglio trovarmi nell’imbarazzo di sapere di avere qualcosa fra i denti… Sorseggiando quel meraviglioso vino fruttato inizio a guardarmi intorno, cercando tra gli sguardi della gente i due occhi magnetici che mi hanno spinta ad arrivare fino a qui. D’un tratto mi pare di vederli. Mi sposto un poco per osservare meglio, da questa angolazione non vedo tutto il viso di quell’uomo. Eccolo, è lui. Lo so, ne sono certa. Non so se mi abbia già individuata, adesso lo spero quasi. Resto ferma e lo scruto. Guardo i suoi movimenti, le sue espressioni e le sue mani. Guardando le sue mani provo la prima sensazione di eccitamento, la solita scarica che mi passa per tutto il corpo. Lui alza lo sguardo e mi fissa. Il suo sguardo mi trapassa come la lama di una spada. Mi piace, il suo modo di guardarmi e mi piace il fatto che mi abbia riconosciuta, come è stato anche per me. Quando entriamo nella grande sala dei concerti, cerco di divincolarmi tra chi cerca il proprio posto, e chi invece incontrando vecchi amici si sbraccia per salutarli. Schivo tre schiaffi e mi allontano svelta. Il mio posto è in ultima fila. L’ho scelto apposta perché non appena ne avrò la possibilità cercerò di divincolarmi da questa poltrona rossa e bollente. Lui è davanti a me, a circa una ventina di metri. Tra poco salirà sul palco, un secondo prima del Maestro, due prima di iniziare il concerto. Lo osservo prendere posto, togliere dalla custodia il suo strumento, maneggiarlo con cura. Le sue mani mi piacciono sempre di più. Continuo ad osservarlo mentre prende possesso del suo strumento, lo guardo avida appoggiare le labbra sull’imboccatura farle vibrare… Sono talmente incantata dai suoi preparativi che non mi accorgo subito che qualcuno ha preso posto accanto a me. Quando mi desto, il mio nuovo vicino si gonfia come un pavone e sorridendomi mi dà la mano, per presentarsi. Gli sorrido, ma solo perché so che lui, da sopra il palco mi sta guardando. L’uomo in doppiopetto seduto accanto a me cerca subito un contatto, prima con una lieve spallata, dopo con un’avvicinamento di gambe forse un po’ troppo eccessivo. Si spengono le luci in sala.. il brusio si fa più lieve, poi scompare dietro il meraviglioso inizio di «The Ecstasy of Gold»… Resto immediatamente incantata dal suono ipnotico del pianoforte, del clarinetto, dei tamburi. La voce della soprano entra nel mio corpo fino a penetrarne le cellule. Quando entrano il coro, i violini e… i fiati e a me sembra di volare!!! Chiudo gli occhi e per un attimo mi vedo a cavalcare, selvaggia e sporca di terra nel bel mezzo del vecchio west. La sensazione è bellissima. Per tutta l’ora successiva resto come in trance. La musica di Morricone è un toccasana e mi carica di nuova energia. Ore 22.00 L’orchestra si è fermata per un quarto d’ora. Fanno pausa loro e permettono di farla anche a noi. Lui sul palco sta rimettendo via il suo strumento, sempre con calma e dovizia. Io mi alzo e tento di scavalcare l’odioso vicino, che si offre per qualcosa da bere. Gli dico di si, anche se so benissimo che non arriverò nemmeno al bancone con quest’individuo. Mi serve a far salire l’eccitazione, mi serve perché lui da sopra il palco senta l’impulso irrefrenabile di venirmi a fermare. Sorrido con aria verginale al tale che ancora pensa di offrirmi da bere e lascio che un suo braccio mi passi dietro la schiena. Faccio qualche passo ancheggiante e poi, una volta arrivata in corridoio approfitto della calca per defilarmi. Prendo le scale e vado ai piani superiori del Conservatorio. Anche qui ci sono i palchi privati, come quelli che avevo visto al Teatro alla Scala. M’intrufolo nel primo che capita e mi affaccio, per vedere se lui mi sta cercando. No, non il vicino. Lui. Ci mette poco a vedermi e non m’importa se non è il solo. È tanto che sto aspettando un contatto. Resto affacciata alla piccola balconata e attendo con ansia di sentire le sue mani raggiungere il mio corpo. E non passa molto prima che questo desiderio venga realizzato. In un attimo, ho sentito la temperatura del mio corpo salire come per la febbre alta e non appena mi ha cinto i fianchi, mi sono sentita leggera. Vogliosa. Bellissima. Senza dire nemmeno una parola, con una mano mi ha preso la nuca e me l’ha abbassata per poter leccare meglio il mio collo. Solo sospiri nell’aria. È rimasto dietro di me per un periodo di tempo che non saprei calcolare. Le sue mani mi hanno toccata ovunque, tastando a volte con delicatezza e a volte stringendomi la carne con tenacia, cercando di studiare le mie curve, le mie reazioni, i brividi che stanno ad indicare una maggiore dose di piacere in corpo… La sua bocca vagava per la mia schiena senza una meta ma con ben chiaro il fine. Io lo lasciavo fare. Non potevo fare altrimenti e ben me ne sarei guardata. Il brusio della gente arrivava lontano, come un disturbo eterico; sentivo solo i suoi respiri il suo chiedermi “Ti piace?”, la sua bocca sulla pelle, le mie braccia bloccate. Quando mi ha portata ancora più vicina a lui ho sentito quanto era eccitato e sono stata invasa da una irrefrenabile voglia di averlo. Non so se la gonna l’ho sollevata io oppure è stato lui… so che nel momento esatto in cui è entrato, in sala si sono spente le luci. Il concerto stava per riprendere ma lui era dentro di me e con forza mi faceva capire che non se ne sarebbe andato presto. Con la musica alta è stato tutto più facile. Ho potuto lasciarmi andare a sospiri ancora più forti, incurante di quei pochi che forse ci sentivano. Mentre mi scopava osservava il palco come avvolto da una nebbia strana. Sapeva che il dovere lo chiamava, ma sapeva anche che il mio richiamo era stato più forte. Eravamo entrambi privi di limiti o inibizioni, senza nessuna voglia di fermarci. All’improvviso mi ha scostata dalla balaustra e mi ha girata. Baciandomi intensamente mi ha poggiata contro il muro e tenendomi come schiacciata ha continuato con la nuova prospettiva. Ora potevo guardarlo, vederlo. I suoi occhi erano pieni di sangue e immagino anche i miei… L’incontro dei nostri occhi ha generato un’ondata di eccitazione indescrivibile, tanto che ho sentito la necessità di strappargli di dosso la camicia e attaccarmi alla sua pelle come se fosse l’ultimo nutrimento rimasto a disposizione… È tornato sul palco a metà del quinto pezzo dopo la ripresa. Bellissimo, elegante pur senza camicia. Paonazzo in volto e con il fiatone. Io non sono tornata a sedermi. Ho aspettato lassù che tornasse da me. E quando la sala finalmente si è svuotata, noi abbiamo continuato.