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Intervista a Saramago


Sergio Buonadonna Dalla sua casa di Lanzarote lo scrittore Premio Nobel dice: «L’Inferno è qui» Colui che con i suoi romanzi ci ha fatto chiedere perché pensiamo quello che pensiamo, chi sono gli altri, chi siamo noi stessi. Saramago ci attende nel grande studio della Biblioteca di ventiduemila volumi che ha donato a Lanzarote e che è frequentatissima soprattutto dai giovani e dai bambini delle scuole che ne sono appena usciti lasciando sui tavoli di vetro una scia di cioccolato. Il maestro sta lavorando al computer alla sua nuova creazione letteraria. È reduce da una brutta polmonite, ha dovuto cancellare inviti per il mondo, ma è concentratissimo e come sempre – anche se smagrito – elegante e ironico. Saramago continua a guardare il mondo dal rifugio di Tias: la grande casa bianca, A Casa, dove vive con Pilar, la figlia Violante, i cognati, gli amati cani e la Biblioteca distante pochi metri. Tutto immerso nel bianco e nel verde di questo villaggio che domina dall’alto Puerto Carmen e le sue spiagge vulcaniche, nel sole e nel silenzio appena violato dal calima, il vento dell’isola che lo tiene lontano dal matrigno Portogallo, da cui si autoesiliò quindici anni fa. Come è cambiata Lanzarote da allora? «L’isola mantiene il suo incanto e i tratti di un passato rurale e bucolico, ma il turismo l’ha cambiata molto e con l’avvento dell’euro si sono concentrati qui molti capitali investiti nella speculazione edilizia. Le nuove urbanizzazioni hanno avuto uno sviluppo vertiginoso e dove c’è edilizia c’è corruzione. E le licenze rilasciate sono davvero troppe. L’isola è mutata straordinariamente soprattutto nel sud, a Playa Blanca, dove è stato costruito un albergo di dieci piani assolutamente illegale, e che spero presto venga demolito. Almeno con le lotte degli ambientalisti, della Fundación Cesar Manrique e nostre si è ottenuto di non costruire oltre i due piani, gli alberghi e le abitazioni mantengono le caratteristiche di sempre, e niente cartelloni pubblicitari nella strade che creano danno al paesaggio e all’ambiente». Cosa sta scrivendo e qual è il tema del prossimo romanzo? «È un racconto, si chiama “Il viaggio dell’elefante”, una metafora naturalmente dove si narra di un elefante che va da una città all’altra e nel suo viaggio molto lavorerà l’immaginazione ma per ora non posso dire di più. Lo finirò tra maggio e giugno, uscirà in autunno». È vero che i suoi romanzi nascono insieme al titolo? «Bormalmente sì perchè quando mi si presenta yb’idea per un libro ho già in testa il titolo». E se l’editore volesse cambiarlo? «Non lo permetterei mai, i titoli li scelgo io». Lei ha cominciato a scrivere in età avanzata. «In realtà ho cominciato nel 1947 quando avevo 25 anni, ma fu un romanzo che non aveva grandissimo interesse. Poi ne avevo scritto un altro “Claraboya”, una storia molto curiosa che non ho quasi mai raccontato. Un amico lo aveva dato ad un editore ma non ne seppi più nulla. Pensavo si fosse perduto». Invece? «Invece quando ho vinto il Nobel quell’editore mi chiamò dicendo di averlo ritrovato rimettendo in ordine gli archivi. Quando si dice il caso! E mi propose di pubblicarlo. Naturalmente rifiutai dicendogli: doveva pensarci quarant’anni fa. Me lo feci restituire e lo tengo in casa. Finché sarò vivo non sarà mai pubblicato. Se dopo la mia morte Pilar vorrà renderlo noto come testimonianza e per dare una visione completa della mia opera, faccia pure». La scrittura nasce sempre su un fondo autobiografico? «No. La vita di ognuno non riveste così grande interesse, compito dellac finzione letteraria è aggiungere vita alla vita. Quando Tolstoj creò la figura di Nataša, ben altro succedeva nel mondo ma è quel personaggio ad occupare la nostra immaginazione, ed un posto che alla vita stava mancando, come è stato prima per Don Quijote, poi per Madame Bovary, per Josef K. di Kafka, al punto che noi non possiamo immaginare un mondo senza Don Quijote. Se Cervantes non lo avesse scritto». Ma anche Saramago ha scritto cose che nessun altro mai. «Può darsi. Nella storia che sto scrivendo, per esempio, introduco idee e dubbi per aggiungere spero nuovi elementi di conoscenza, creando uno spazio letterario in cui tutto confluisce, la filosofia, la scienza, i luoghi della riflessione, i modi in cui stiamo cambiando e come tutto ciò stia attraversando l’uomo d’oggi». Come vede lo spettacolo del mondo? «Stranissimo. Vedo Papa Ratzinger ripristinare l’Inferno che Papa Wojtyla aveva dichiarato non esistere. Io direi a Ratzinger che non esiste un Inferno peggiore del mondo, ché è il vero luogo di sofferenza, di tortura, di fame, un posto orribile. E a nome di milioni di persone africane, asiatiche e americane che soffrono l’indicibile, dico che lo spettacolo del mondo è esageratamente deprimente e l’Uomo è la figura dell’orrore. Nessuno parla più della fame nel mondo. Abbiamo pastiglie per curare ogni male ma queste medicine non arrivano in Africa. Io ho reputazione di pessimista scettico ma francamente il mondo non mi da motivo di essere altro. Anzi credo che se l’Universo fosse consapevole della nostra esistenza e ricevesse un giorno la notizia che la Terra si è spenta, ne trarrebbe sollievo. Si sarebbe liberato da un incubo». In «Saggio sulla lucidità» lei rivolge uno sguardo critico sulla apatia, il consumismo, la spersonalizzazione e denuncia la antidemocraticità della democrazia. Nel frattempo la situazione è peggiorata? «Sta peggiorando, l’economia precipita, la gente ha perso il controllo della finanza, anzi ne è estromessa. Non escluderei una crisi come quella degli anni Trenta del ‘900, ci stiamo incagliando come allora prigionieri del dominio del petrolio e del suo prezzo fuori controllo. Mi preoccupa che nessuno indica una via d’uscita e non è detto che una futura prosperità debba avvenire nel segno del capitalismo». La democrazia è irrimediabilmente malata? «Era già moribonda prima dell’arrivo del capitalismo, da Marx in poi si può dire che il capitalismo sia anteriore alla formazione di un’idea democratica coerente. L’Italia sta andando al voto e probabilmente vincerà Berlusconi. Allora mi domando come potremmo parlare di democrazia, in Italia o in qualunque altro paese del mondo, se si torna a premiare chi ha già dato dimostrazione della sua concezione del potere? Non so se Veltroni ha possibilità di vincere, ma il vero problema è se vince la democrazia e finora abbiamo visto che non è stato così. Dentro questa democrazia malata corruzione e mafia, delinquenza e insicurezza prosperano». Lei ha detto che nel mondo contemporaneo la coscienza etica è morta, vive soltanto la coscienza cinica? «Sì, certamente, è la dimostrazione massima dell’egoismo personale di chi si preoccupa di avere più potere, più influenza e passare con disinvoltura sopra le ragioni morali e il rispetto dei diritti umani. Questa è la coscienza cinica. Il nostro è un tempo in cui sembrano sparite le menti capaci di pensare e produrre grandi idee. Crescono generazioni colme di indifferenza e di egoismo, prosperano le sette religiose, non siamo mai stati così distanti da Dio come adesso. La società globale è come la rappresentazione di un campionato di calcio dove non ci sono più uomini che stanno praticando uno sport ma uomini nemici uno all’altro, capaci anche di uccidere. La squadra avversaria è il nemico così come lo sono il cristianesimo e l’islamismo. La rivalità in Spagna tra il Real Madrid e il Barça è quasi infantile, e lo stesso immagino in Italia. Tutto è grottesco, violento, irrazionale». Chi sono gli autori che più hanno contato per lei? «Sicuramente Cervantes e Kafka, due scrittori di importanza enorme, nella mia vita e nella mia opera. Considero Kafka il più grande autore del Novecento senza ignorare l’eccezionale importanza che ha avuto Proust. Ma se noi pensiamo alle conseguenze descritte nel mondo di Kafka ecco che ci troviamo esattamente al giorno d’oggi. Questa è la sua grandezza». I libri che meglio hanno rappresentato Saramago? «I due che considero molto chiari nella loro totalità - “Saggio sulla lucidità” e “L’intermittenza della morte” - sono questa società, gli altri credo abbiano contribuito a farla comprendere e a rifletterci su». E la memoria? «È la sentinella imprescindibile della storia, il mezzo con cui il drammaturgo tiene insieme gli uomini. Per non dimenticare Auschwitz, il Chiapas, Sarajevo, Nagasaki, i troppi equivoci, i troppi massacri».(09 aprile 2008) http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Saramago:-l-Italia-una-democrazia-malata/2014650