PAROLE DI GIULIA ...

(2) Frammento di vita di un clochard -


Adelmo durante la sua tribolata vita da accattone non aveva mai preso in considerazione l’idea di doversi prostituire, ma l’occasione che gli era capitata quella notte era troppo ghiotta e non aveva saputo esimersi dal farlo. Inginocchiata ai suoi piedi, col bordo della pelliccia che sfiorava il pavimento umido di piscio, la ragazza aveva continuato a succhiargli l’uccello sbuffando e ansimando per l’eccitazione di trovarsi a gestire quella strana situazione. Adelmo le aveva sborrato in bocca contraendo le natiche ed irrigidendosi in tutto il corpo. Lei aveva accolto lo sperma fra le labbra fino all’ultima goccia, strizzandogli l’uccello con la mano per non disperdere nemmeno una sola goccia della preziosa sostanza. Portato a compimento la prestazione la ragazza aveva raccolto la borsetta dal pavimento e nella mano di Adelmo aveva lasciato cadere tre banconote da cinquanta euro, poi se n’era fuggita via lasciandolo con le gambe divaricate e le brache calate sino alle ginocchia. Dopo quella sera non aveva più avuto più modo di rivederla. Qualche settimana dopo il fortunato accadimento aveva smesso di frequentare la sala d’aspetto della stazione ferroviaria. Il posto era divenuto troppo pericoloso, soprattutto per la presenza di tossicodipendenti disposti a tutto pur di procurarsi qualche biglietto da dieci euro. Una sera in cui era più ubriaco del solito alcuni extracomunitari lo avevano picchiato e derubato del poco denaro che portava indosso e abbandonato semisvenuto sul pavimento accanto alla biglietteria. Dopo quell’episodio aveva smesso di frequentare la stazione cercando rifugio notturno negli androni e nelle cantine dei condomini.Dopo avere attraversato la strada sulle strisce pedonali, in compagnia della ragazza che si era offerta di accompagnarlo, s’incamminò verso il centro. La mensa dei poveri di Padre Lino, presso la chiesa della S.S. Annunziata, avrebbe aperto i battenti soltanto alle 18.00. Era sua intenzione raggiungerla prima del tempo per occupare uno dei posti nella fila di persone che a quell’ora del pomeriggio sostavano davanti alla porta del centro in attesa dell’apertura. Le vetrine dei negozi addobbate per il Natale illuminavano i marciapiedi umidi di pioggia. Mancava un mese alla festività eppure molta gente sostava dinanzi alle vetrine disquisendo sull’opportunità del tipo di compere da fare.Adelmo camminava sul marciapiedi caracollando. La gente scorgendolo gli stava alla larga, quasi si trattasse di un lebbroso e non di un povero mendicante. In poco tempo raggiunse il cortile della chiesa della S.S. Annunziata dove aveva sede la mensa dei poveri. Salutò Orlando e la Gina, le uniche persone che conosceva, gli altri erano tutti nord africani o gente dell’est. Più di un mese era trascorso dall’ultima volta che era stato lì. Durante questo tempo era sopravvissuto sfamandosi con il cibo recuperato nei cassonetti delle immondizie, specie in quelli posti in prossimità dei supermercati, ricchi di scarti buoni da mangiare.Aveva voglia di qualcosa di caldo da mettere nello stomaco e alla mensa dei Padre Lino avrebbe potuto trovare un pasto bollente. Gocce di pioggia frammiste a nevischio cominciarono a cadere nel cortile imbiancando il selciato. Quando Adelmo entrò nel salone della mensa i tavoli erano già occupati per metà da persone che stavano consumando il pasto. Dopo avere ricevuto il pane e una ciotola di minestrone si avvicinò al punto dove erano distribuite le pietanze. Una donna gli porse un piatto con del pollo. Era giovane, carina, e gli fece un sorriso. Adelmo, come suo solito, non contraccambiò il gesto di cortesia, andò ad accomodarsi ad un tavolo all’estremo angolo del salone, poco distante dal punto in cui avevano preso posto Orlando e la Gina.Una ciotola di minestrone caldo era ciò di cui aveva bisogno per riscaldarsi.Non gustava un piatto caldo da molto tempo, ma la vicinanza di tante persone lo metteva a disagio. Trangugiò fino all’ultima cucchiaiata il minestrone, raschiando il fondo della ciotola con un tozzo di pane. Inumidì la superficie esterna delle labbra con la punta della lingua ed asportò i residui del pasto, soddisfatto del pasto che aveva consumato. Quando uscì dal locale, dopo avere consumato la cena, grossi fiocchi di neve stavano scendendo dal cielo. Un sottile manto bianco ricopriva la sede stradale. Le luci dei negozi che soltanto un’ora prima avevano reso gioiosa la strada ormai erano spente. Qualche raro passante transitava lungo i marciapiedi coperti da un sottile strato neve.«Dove vai?»A pronunciare la frase era Gina. La donna stava appoggiata con la schiena contro uno dei pilastri di sostegno del portico che consentiva l’ingresso al cortile della mensa. «Ma tu cosa ci fai qui? Non eri insieme a Orlando?» «Sì, ma lui non ha niente da bere. Tu invece sono certa che ne hai, vero?» Adelmo calcò il basco sulla fronte per ripararsi dalla neve. Fece alcuni passi, poi si girò verso la donna. «Dai, vieni con me, seguimi.»La nevicata si era fatta ancora più fitta. Di mano in mano che si avvicinavano al Ponte di Mezzo lo strato di neve depositato sui loro abiti si fece più consistente, impregnando gli abiti d’acqua. Gina e Adelmo camminavano affiancati occupando per intero il marciapiede. Dietro, alle loro spalle, non c’era nessuno; soltanto le loro ombre. Attraversarono Via Farini intenzionati a raggiungere Viale Maria Luigia. Adelmo teneva lo zaino infilato sulle spalle e stringeva due sacchetti di plastica nelle mani. Gina si portava appresso una sporta di tela e un sacchetto di plastica. Una sciarpa di lana le avvolgeva il capo riparandola in parte dalla fitta nevicata. Quando si trovarono davanti alla saracinesca di un negozio di mercerie, Adelmo si fermò. «Prendiamo questo cartone! Ci servirà per ripararci dal gelo della notte.»Ripiegarono il cartone da imballo e lo trascinarono fino al sottopasso stradale distante un centinaio di metri.Il posto era privo di luce. Nessuno degli abitanti del quartiere si fidava ad attraversare di notte il sottopassaggio per paura delle aggressioni, ma Adelmo e la Gina non avevano beni preziosi da farsi rubare, di prezioso avevano soltanto la vita. Distesero i cartoni sul pavimento, a ridosso di una parete, rendendo somigliante l’umile giaciglio a un letto. Stanchi si sdraiarono sopra il cartone da imballaggio uno accanto all’altra. Ambedue avevano gli abiti bagnati fradici. Avrebbero dovuto toglierli di dosso e metterli ad asciugare, ma la neve caduta in anticipo rispetto al periodo invernale li aveva colti impreparati. Non avevano abiti di ricambio e il sottopassaggio era il rifugio migliore che avevano trovato per mettersi a dormire.«Dai, beviamo un goccio di vino, ci riscalderà» suggerì Gina.Adelmo prese da una tasca dello zaino una confezione in tetrapak di Chianti e l’avvicinò alla bocca. Con un colpo secco dei denti strappò un angolo dell’involucro che cedette sotto la pressione della dentatura. Mandò giù tutto d’un fiato alcune sorsate di vino, poi passò la confezione a Gina che non si fece pregare nel bere la bevanda. In poco tempo svuotarono la confezione di tetrapack. Semiseduti, addossati uno all’altra, si scambiarono un poco di calore. Tutt’a un tratto la mano di Gina s’infilò fra le cosce di Adelmo. Fece scendere la cerniera della patta e strinse l’uccello nella mano. L’uomo la lasciò fare certo che le facesse piacere toccarlo in quel modo, l’ultima donna che glielo aveva stretto fra le dita era stata la ragazza della stazione ferroviaria. Da quella sera non aveva avuto contatti con nessun’altra donna. Ma in quella occasione la ragazza l’aveva spompinato per noia e voglia di trasgressione. Gina, invece, gli stava facendo una sega perché era il solo modo che aveva a disposizione per ringraziarlo della bevuta.Gina aveva la stessa età di Adelmo. Lui la considerava alla pari degli altri compagni di strada maschi con cui condivideva il viaggio della vita. Adelmo si lasciò andare sul letto di cartone e si stese supino mentre Gina glielo menava. Il freddo si era fatto più pungente. Nel sottopassaggio filtrava un’aria gelida. La mano della Gina ebbe la meglio sulle resistenze dell’uccello che sembrava non volerne sapere d’indurirsi. Era esperta in quel tipo di prestazioni, le era capitato più di una volta di concedersi a qualche marocchino per poche lire. Ma prostituirsi lo faceva assai raramente, soltanto quando le andava di farlo o perché era priva di risorse ed aveva necessità di procurarsi soldi per mangiare.Da tempo Adelmo aveva rimosso dalla mente ogni possibilità di contatti sessuale con le donne, ma la sega che la Gina gli stava facendo con tanta premura gli risvegliò i sensi. La mano gelida della donna incominciò a scorrere sulla cappella strofinandola. Adelmo venne quasi subito, sborrandosi addosso. Qualche fiotto di sperma andò a depositarsi sul cappotto. Adelmo non si preoccupò di asportarlo lasciandolo che gli insudiciasse il tessuto. Gina pulì la mano sporca di sperma sul letto di cartone e si strinse ad Adelmo tremante per il freddo.Si addormentarono stretti uno all’altra.Fu in quella posizione che i netturbini li trovarono la mattina seguente, tutt’e due congelati. Durante la notte la temperatura dell’aria era scesa fino a 20 gradi sotto zero. La morte non li aveva colti impreparati, da tempo l’aspettavano. Era la loro ombra