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« (2) Carlo Valerio Sara -Sara - »

Carlo Valerio Sara -

Post n°55 pubblicato il 18 Maggio 2011 da giulia.2001

Siete mai stati in Brasile?

Copacabana? Rio de Janeiro? Il Pan de Azucar? La Samba? Il Sole? Il Mare? Le ragazze? Il Palmeiras? (no, non è il tonno). E vi siete mai lasciati cullare dalle note di Antonio Carlos Jobim? Forse Tom Jobim? Chico Buarque de Holanda? Avete mai tentato un approccio galante con in sottofondo il magico sassofono di Stan Getz? No? Davveroooo? Male, molto male, capisco che un viaggetto in Brasil non è per le tasche di tutti, ma un Cd dei sopraccitati lo trovate in qualsiasi negozio a pochi euro; invece di buttarli in Pausini, Tiziani Ferri, Eminem e compagnia, provate per una volta a cambiare scaffale, sono certo mi ringrazierete.

Non come Sara, la mia ragazza, tutte le volte che infilavo nello stereo della macchina “The girl from Ipanema” iniziava a bofonchiare, che gli faceva venire sonno, che era musica da vecchi, che sembrava la sigla di Casa Vianello, e che due palle, e sempre la stessa solfa noiosa and so on… E io lì a pensare al metodo di sostituirla con un modello carioca di quelli col culo tondo e armonico che pare solo gli manchi la parola. Insomma, non so se si è capito, ma io ho una passione smodata per il Brasile (s’era capito vero?), mi piace tutto, ma proprio tutto, pure le favelas, darei una gamba pur di rinascere in quei lidi, e invece sto qua, in quel di Caronno Pertusella, hinterland milanese, nebbia, afa, zanzare, marcite, poppaccio becero alla radio e ragazze col culo basso e cellulitico, blearp.

Pensavo a tutto ciò, solo soletto, in casa, in quel Luglio appiccicaticciamente bigio, mentre ero intento a scartarmi l’ennesima merendina (mio pranzo), sullo stereo “Diggin’ Deeper” nella mitica versione di Herbie Hancock, allietava le mie orecchie e di lì a poco pure la mia lingua avrebbe avuto il suo giusto premio sottoforma di cioccolato, sì, geneticamente modificato, ma dolce e goloso come piaceva a me.

«Telefona al 699xxxxxx e scopri se hai vinto il viaggio dei tuoi sogni» recitava la carta della tortina spaccafegato che avevo appena ingurgitato; bah, perché non provare, con tutti i soldi che buttavo in messaggerie erotiche, non sarebbe stato certo quell’euro in più a collassarmi il conto in banca.

Composi il numero, digitai l’interminabile sequenza di numeri che la vocina registrata mi indicava, attesi in linea e infine riposi con olimpica calma la cornetta sull’apparecchio. Poi svenni.

Avevo vinto un viaggio per due persone a Rio de Janeiro.

Cazzo! (mi si passi l’anacoluto).

Non mi pareva vero, il sogno di una vita che finalmente si avverava, Brasil Brasil Brasil! Mi precipitai da Sara senza por tempo in mezzo. «Abbiamo vinto, abbiamo vinto un viaggio in Brasile» gridai sputacchiandole in faccia appena entrato in casa sua.

La sua risposta mi gelò.

«Ma che razza di vittoria è? Un viaggio a Rio de Janeiro, in quel posto pieno di negri che non si lavano e pensano solo a ballare e giocare a pallone, che schifezza.» «Cicci (la chiamavo Cicci), guarda che Rio de Janeiro è una metropoli tal quale Milano, l’acqua corrente arriva anche là (magari non dappertutto) e non sono tutti Ronaldi e Edmundi che ballano e giocano a pallone (e vanno a puttane, pensai tra me e me) ci sono anche ragionieri, ingegneri, casalinghe e impiegati come dappertutto.»

«Sarà (disse Sara, e scusate il gioco di parole, ma Sara diceva sempre “sarà”) comunque a me di andare nel terzo mondo non mi va, chissà le malattie che si prendono e le vaccinazioni che bisogna fare e poi per quando sarebbe questo viaggio?» Capii che era inutile tentare di spiegarle che il Brasile non era “terzo mondo” e risposi «Dal 1 al 7 Settembre.»

«Ecco, perfetto! Non ci possiamo andare, non ti ricordavi più vero? Dobbiamo accompagnare i miei dalla nonna a Castelporziano, quindi non se ne parla proprio!»

Nella mia mente, improvvisa e violenta come un lampo si materializzò vividamente un’immagine di schizzi di sangue sulle pareti, mannaie e macerie fumanti di Castelporziani, rasi al suolo come Cartagine dopo la terza guerra Punica, ma fu solo un attimo, tornai subito in me.

«Scusa, Cicci, è vero, me ne ero dimenticato.»

Effettivamente lo avevo proprio dimenticato, la mente umana è un congegno sofisticato e stronzo, se qualche cosa non gli va e non la digerisce, la rimuove, e io, Castelporziano, i futuri suoceri e la strafottutissima nonna che non si decideva a lasciare questa valle di lacrime li avevo seppelliti da tempo, anzi, forse nella mia mente non avevano mai nemmeno trovato asilo.

Naturalmente non avevo nessunissima intenzione di rinunciare al Brasile per una simile cagata e Sara stavolta poteva veramente andare a farsi fottere.

Beh, quasi…

Di lasciarla non se ne parlava minimamente, era piena di soldi e lavoravo nella ditta del padre; se avessi fatto una simile cazzata mi sarei trovato disoccupato in men che non si dica e non me lo potevo assolutamente permettere, tra mutuo e macchina da pagare: se non volevo finire sul registro dei protestati dovevo tenermi ben stretta la fidanzata.

Che poi in fin dei conti non era neanche malaccio come ragazza, magari un po’ tonta e schematica nei gusti, un po’ stronza e oca di tanto in tanto, un generale SS nell’intimità, ‘na rompicoglioni da competizione quasi sempre. Però, faceva dei pompini da favola.

Eh sì, malgrado la montagna di difetti di cui sopra, di bocca ci sapeva veramente fare, non avevo mai osato indagare sul come avesse imparato una tecnica cotanto sopraffina, ma non era poi così importante, l’importante era che quando mi calava la zip dei jeans io salivo sull’ottovolante del piacere, aveva connaturati il ritmo e i tempi giusti, eseguiva la pompa a ritmo di Bossa Nova, tocchi sincopati in levare sempre un po’ prima o un po’ dopo di quando te li aspettavi, e faceva crescere il seme pian piano dentro di me, lasciandolo zampillare con tocchi lievi e vellutati, senza tensione, morbidamente e violentemente, lasciandomi poi piacevolmente sconquassato, anzi scosso.

Una goduria credetemi.

Ma non si vive di solo pompini, e IO volevo andare in Brasile, e non c’era bocchino che tenesse, IO sarei andato in Brasile.

Già... “sarei andato in Brasile”, ripetevo tra me e me, con tono tronfio da dittatore sudamericano, il problema è che non sapevo assolutamente come.

Castelporziano e la vegliarda attendevano me e il parentado tutto, e per quanto mi arrovellassi, non riuscivo proprio ad escogitare nessun sistema valido per cambiare la mia destinazione del primo Settembre, dall’avita campagna alle spiagge carioca, sigh. Fu in quella che plinplonnò il campanello (il mio campanello fa plin plon, lo so, lo so è da froci, ma cambiarlo con un virile DRRRIN costava troppo).

«Buonsgiorgni, abida qui el segnor Mastrussao?»

Una Topa galattica era scesa da un pianeta lontano ed era atterrata sul pianerottolo di casa mia, bella, mora, vagamente mulatta, due pere da marchio di qualità “Del Monte”, corpo da favola gotica, gambe da esposizione universale, labbra sulle quali morire (cfr. Mogol), occhi in cui tuffarsi con rincorsa, culo indescrivibile (infatti non lo vedevo).

Raccolsi la mascella e risposi: «Il Signor Mastruzzi... sono io.»

«Segnor Mastrussao, noi della Merendeiro siamo lieci di consegnarglie el suo premio, un viaggiao de due hombre per Rio de Janeiro, io sono Rivaldinha e sarò sua guida per tutto il viaggiao en Brasil, a sua completao desposicion, ci vediamo il primo Settembre all’aeuropuorto de Milan Malpensao, ciao bel Fuastao!»

Mi regalò un occhiolino pieno di doppi e tripli sensi, un bacetto e dondolando svanì dal mio pianerottolo, giustintempo per prendere nota del suo culo da X Files, ai limiti dell’impossibile beltà. Il tempo di riraccogliere la mascella e mi fracassai la testa contro lo stipite del corridoio.

Ma Cazzo!

Viaggio in Brasile. Figa da paura a mia “disposissiao”. Una settimana di Samba, sesso, mare, sole e Tequila e io. Castelporziano con fidanzata & C.

Me infelice.

Certo se Sara mi avesse visto insieme a Rivaldinha mi avrebbe cavato gli occhi, però. Però. Però. Porompompero, però.

Ma certo!

Avevo la soluzione, come avevo fatto a non pensarci prima. Sarei andato in Brasile, altro che Castelporziano, le tette di Rivaldinha, sì sì sì sì sììììì!

Il tocco della genialità prima o poi colpisce tutti, ma devi stare attento perché ti sfiora appena, è come un breve flash che ti accende la mente, sta a te tenere gli occhi aperti e cogliere appieno lo scenario che ti si presenta, così, come su un palcoscenico teatrale, quando improvvisamente le luci abbagliano gli sfondi di cartapesta, gli attori, i musici. E finalmente capisci, tutto ti è svelato, la conoscenza ti pervade e la forza è con te.

«Dovevo farmi tradire da Sara!»

L’uovo di Colombo! Se avessi beccato la mia “adorata” fidanzata nel bel mezzo di una sonora scopata con un aitante giovine, avrei potuto gridare il mio dolore al mondo e alla fedifraga, e soprattutto tenerle il muso per almeno una settimana (quella dall’1 al 7 Settembre) per poi, magnanimo, perdonarla (e non perdere così il mio posto di lavoro).

Naturalmente il tutto doveva essere un processo controllato, mica potevo farmela sbattere da uno sconosciuto, nooo, troppo rischioso, avrebbe potuto poi innamorarsi del tapino e scaricarmi dal suo cuore (e dalla ditta di suo padre), niet! Dovevo farla tradire da un amico fidato, sicuro che si sarebbe levato dai coglioni a mio comando, senza pretendere null’altro che una sana ciulata.

Valerio era la persona giusta!

Valerio, bel tipo, alto, aitante, fico quanto basta, palestrato ma non troppo, mascella possente, pilota di rally, ricco sfondato e pieno di donne (soprattutto top model), ci eravamo conosciuti a militare ed eravamo rimasti in contatto malgrado vivessimo e frequentassimo due mondi lontanissimi. Lui Montecarlo, locali esclusivi, e fighe da paura, io Castelporziano, il Bar Tabacchi sottocasa e Sara.

Valerio però mi doveva un favore, a pochi giorni dal congedo aveva falsificato un permesso per andarsi a scopare la gnoccona di turno, fu beccato e salvato dal mio pronto intervento, mi presi la colpa e mi feci i dieci giorni di rigore in sua vece, avevo aggiunto dieci giorni di naja, ma avevo guadagnato un amico ricco e fico e prima o poi mi sarebbe venuto utile.

Mo’ era il “prima o poi”.

«Caaaaaro Valerio» esordii con tono mellifluo.

«Di cosa hai bisogno Carlo» rispose, conoscendomi ormai nel dettaglio.

«Una sciocchezzuola, dovresti scoparmi la fidanzata» (non amavo tirare le telefonate per le lunghe, anche e soprattutto per via della bolletta).

«Cooosa? Ma sei scemo, Sara? Non è il mio tipo, sai bene che ragazze frequento io.»

E lo sapevo sì, lo sapevo, erano secoli che mi rodevo d’invidia e mai che mi lasciasse qualche rimasuglio.

«E poi scusa è la tua ragazza, non potrei mai, sei un amico.»

In verità se fosse stata una strafiga, non si sarebbe fatto il minimo scrupolo, ma Sara non era precisamente strafiga.

«Appunto perché sei mio amicoe debitore, me la devi scopare. Senti, mo’ al telefono non posso stare a spiegarti tutta la rava e la fava, troviamoci al Bar tabacchi sotto casa mia che ti spiego tutto.»

«No no, che orrore, troviamoci al Luxury qui da me, offro io.»

«Ok, ciao.»

«Ciao.»

Ci contavo, al Luxury servivano un “Bellini” da favola.

Degustando svariati cocktail a sue spese gli spiegai il mio torbido piano, ci volle del bello e del buono per convincerlo ad accettare ma alla fine in nome dell’amicizia e del vecchio favore capitolò. Certo, dovetti cedergli il secondo biglietto per Rio, ma il gioco valeva la candela, tanto non sapevo chi altro portarci. Sicuramente mi avrebbe soffiato Rivaldinha, ma una volta laggiù, sarei riuscito ampiamente a rifarmi, mica si poteva scopare tutta la popolazione femminile del Brasile.

Lo scellerato piano.

Era tutto studiato nei minimi dettagli.

Mi presentai sotto casa di Sara alle 20 in punto, come al solito non era ancora pronta, ma lo avevo previsto, e quando finalmente apparve sulla soglia, attaccai con il mio copione studiato e ristudiato nei giorni precedenti.

«Cazzo, ma possibile che sei sempre in ritardo? Abbiamo appuntamento con Valerio alle 9 in Piazza Redi, lo sai com’è fatto, se non ci vede arrivare, prende e se ne va, e poi alla festa, senza di lui come entriamo?»

«Ummpf, lo sai che mi sta sul cazzo quel tuo Valerio!»

In verità avrebbe voluto “stargli sul” cazzo, e magari calarcisi pure sopra, ma lui non le aveva mai dato corda.

«E poi porterà sicuramente qualcuna di quelle sue troiette che fanno le modelle, dietro alle quali sbaverai tutta la sera» (chiaro sintomo di invidia).

«Chi iooo? Figurati! Sai che non mi piacciono le ragazze di Valerio, abbiamo gusti differenti, e poi io amo solo te, Cicci.»

Valerio ci aspettava (con il quarto d’ora di ritardo concordato) all’angolo di Piazza Redi.

«Serata di merda! Voi due siete sempre in ritardo e io sono stato scaricato da Isabelle» (la troia, ops, pardon, ragazza che frequentava). «Aveva una sfilata e proprio proprio non poteva mancare, si fotta, me ne

troverò un’altra alla festa.»

«Beh, inutile allora andare con due macchine, sali con noi Valerio» cinguettò Sara (quella alla quale Valerio stava sul cazzo).

«No, no, grazie, vi seguo con la mia Porsche» (aveva la Porsche).

Il piano filava liscio come l’olio.

Feci per rimettere in moto la macchina e.

Wrrrr wrrrr wrrr.

Niente.

Il motorino girava a vuoto (in verità avevo montato un piccolo congegno che scollegava l’impianto di accensione, congegno che avevo azionato poco prima di infilare la chiave nel blocchetto). Smoccolai con toni Gassmaniani per un cinque minuti buoni, poi, fintamente affranto, capitolai.

«‘Sta macchina di merda! Non parte, chissà che cosa cazzo gli è preso, e adesso?»

«Non possiamo arrivare tardi alla festa, quella è tutta gente in, io mi avvio e voi mi raggiungete dopo, anzi se vuoi porto io Sara e tu ci raggiungi là, dopo aver chiamato un meccanico» fece Valerio, favolosamente calato nella parte.

«Mi sa che è l’unica cosa da fare, a te non scoccia Cicci, vero?”

«Salire sulla Porsche con quel buzzurro? Un po’ sì, ma piuttosto che star qui a fare la bella statuina.»

Partirono così, rombando nella notte, mentre io, solo e con aria trista e contrita li salutavo con la manina preparando mentalmente la fase due del piano.

Sara nel frattime sfrigolava come olio in padella. Finalmente sola con il suo amore segreto non aveva ancora finito di ringraziare il cielo per la fortuna che le era capitata tra capo e collo, seduta nel Porsche del mitico

Valerio con il suo truzzissimo Carlo appiedato e fuori dai coglioni per almeno un paio d’orette buone.

Era intenzionata a sfoderare tutte le sue armi femminili per far capitolare l’aitante maschione che le stava accanto, e contava che prima del ritorno del suo fidanzato l’avrebbe accolto “tutto” dentro di sé. Yumm yummm (pensò anche yumm yummm, lo giuro!).

Valerio invece viveva il momento con imbarazzo, fastidio ed un lievissimo retrogusto disgustoso sul palato.

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