Giulia Interrotta

Ritorno a Tivoli


Quando si torna nella casa vecchia, quando si torna nella vecchia città, quando si torna a Tivoli, è complicato dosare le emozioni provate. Spiegare al cuore, alle orecchie, all'anima (che non ha mai sede dove stanno i battiti), alla bocca e al naso quanto si è percepito. Non appena ho messo piede là dentro, nella grande sala, con il pavimento inondato di polvere ma sempre avana, le porte bianche e le finestre con ancora appiccicati sopra i miei disegni d'improvvisata stupida pittrice, mi sono sentita svenire. Non so come spiegarlo. Quando ho fatto le valigie e sono partita ero piena di rabbia dentro perché pensavo ardentemente d'essere stata ingiustamente abbandonata da chi amavo in totalità. Ero svuotata. E per quanto fosse stato penoso allontanarsi dal mio presente e dal mio passato, in fondo al cuore forse ero un po' sollevata dal potermi ricostruire da capo. Solo che me ne sono resa conto adesso. Adesso CHE SO. Adesso che so che il mio uomo dagli occhi blu non è mai sparito spontaneamente dalla mia vita. Mamma non era d'accordo che scendessi con Federico, ma quando le ho ricordato la sua innegabile colpa, è stata zitta e non si è opposta. Neanche Roberto ha avuto più parole ignobili da sprecare. Tutto è stato avvolto da uno strano silenzio. Un silenzio che si è perpetrato fin dentro le mura di una villetta vuota. Solitaria. In ATTESA. Si. Io so che era in attesa di qualcosa. Un gesto. Una novità. Una maniera per risorgere dalle ceneri e sottrarsi all'odiosa, inaccettabile possibilità di finire negli artigli d'estranei. D'estate, al mattino presto, ricordo che quando mi alzavo riuscivo a sentire l'odore dell'erba appena tagliata in giardino e affacciandomi fuori la porta, vedevo mio padre impegnato a falciare il prato formando dei piccoli montarozzi di rifiuti verdi su quattro angoli. Io ridevo senza neanche capire perché. Credo mi divertisse la sua faccia annoiata! Detestava quel tipo di mansioni domestiche! Ma per amore di lei le faceva tutte quante senza lamentarsi mai. Lui scalava montagne per le persone a cui voleva bene. Se mi sedevo per terra a guardarlo, dopo cinque minuti veniva a prendermi in braccio per raccontare sotto il portico una delle sue storie. Gli piaceva credere di regalare un pezzo di sé attraverso le fiabe. Ed è per una di esse che ho seppellito sotto la quercia una scatola con tutte le cose più preziose. Un modo di donare ai posteri un brandello d’identità certa. Davanti al terriccio ancora smosso ho scavato rinvenendo quel tesoro di ragazzina, ordinato e polveroso. Non so dire quale faccia ho fatto a vedere dentro una busta. Una lettera di papà. Non so nemmeno come abbia fatto a metterla dentro senza farmene accorgere. Non so nemmeno come abbia fatto a sfuggire agli occhi indagatori della "sua" signora. All'inizio la tenevo solo stretta tra le dita, piangendo. All'inizio non volevo leggerla per paura di stare peggio. Ma Federico e Melissa mi hanno spinta a farlo. I miei inconsapevoli amanti. Così mi sono isolata. Sono andata nella mia stanza.  Inginocchiata sul pavimento. Immersa ancora una volta nel suo abbraccio caldo. Era come sentirlo accanto a me, con la sua voce morbida. Quelle sillabe l’ho imparate a memoria.  Soprattutto una frase. Soprattutto questa frase.“Non devi dimenticare mai che in qualunque posto saremo nel mondo, io arriverò in tuo soccorso. Sarà sufficiente pronunciare il mio nome”Allora il suo nome bellissimo ha occupato tutte le ore successive. Chissà se lo sa. Foto di Trinketwww.deviantart.comhttp://trinket.deviantart.com