IN VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA COMPAGNA
Mi sono rimesso in viaggio. Sono un uomo timido, che parla poco e che scrive troppo... ma ovviamente il giusto sta nel mezzo. Cerco la compagna del mio viaggio, ovvero quella donna che come me apprezzi le cose semplici e le piccole gioie della vita, spesso travestite da banalità che non sono in effetti. Non disdegno la battaglia per la vita, e mi piace mostrarmi per come sono, non millanto e non fingo. Carattere difficile, duro alle volte, ma generoso con chi mi dimostra fiducia. A te, donna e amica, scoprire e tirare fuori il mio meglio.
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Post n°103 pubblicato il 14 Maggio 2009 da pugacioff2008
Giovanissimo, apprendista meccanico. Dovevo consegnare alla bellissima signora, da tempo cliente della ditta, la sua macchina per scrivere. Aveva avvertito il mio capo che sarebbe stata in casa quella sera intorno alle diciannove e si raccomandò con me che per entrare avrei dovuto togliermi le scarpe, perchè aveva la moquette nuovissima, bianca a pelo lungo. Insomma, immaginavo una specie di giungla. La signora era una donna sui quarantacinque, bionda e molto affascinante. Corporatura snella e alta quasi come me, emanava femminilità e sicurezza di sè ed era una donna che stava lavorando per mettersi in proprio. Insomma, stava diventando una donna in carriera e lo faceva vedere con abbigliamento vistoso e colorato. Ovviamente su di me e su mio fratello esercitava un certo fascino e certamente lei ci guardava con occhi che talvolta potevano anche dire qualcosa... e mio fratello era anche un ragazzo molto più sveglio, affascinante e sicuro, rispetto a me. Toccò a me fare la consegna, quella sera. Posteggiai l'auto vicino a casa della signora e con la sua pesante macchina sotto braccio mi infilai nel portone del palazzo, che era aperto. Ero già stato a casa sua tempo prima diverse volte e il compagno della signora mi conosceva parimenti bene e probabilmente mi avrebbe aperto la porta anche stavolta. Mi fermai davanti alla porta e suonai il campanello. Una volta. Nessuna risposta. Un'altra volta. Nessuna risposta. Attesi cinque minuti, prima di abbandonare la missione e e ritornare indietro con la macchina. Una terza volta, piuttosto energica. Una voce risuonò dall'altra parte, ed era lei: "Arrivo! Ero sotto la doccia! Si ricordi di togliere le scarpe. Un momento che le apro!" E così mi preparai e posai la macchina per terra e tolsi le scarpe. Le buttai all'angolo del pianerottolo. I miei calzini erano intonsi e non avevano buchi, per fortuna. Intanto la mente galoppava e immaginavo la signora nuda sotto la doccia e nuda girare per casa e magari anche davanti alla porta al di là della quale mi trovavo io. Solo una porta era quello che mi separava da chissà quale spettacolo... Due giri di chiave e la porta si aprì. Mi apparve lei, bionda e vestita solo di una vestaglia praticamente trasparente. Profumata di doccia schiuma, mi sorrise e mi salutò come sempre; certamente immaginava quale imbarazzo provocasse in me ma non mostrò alcun segno di imbarazzo a sua volta. Entrai e la seguii camminando scalzo sulla moquette a pelo lungo, esattamente come mi ero immaginato, nello studio e posai la macchina sul tavolino. Mentre facevo ciò mi chiese se volevo qualcosa da bere e io dissi, ovviamente, di no, grazie... estrassi la bolla di consegna, la aprii e la posai sul tavolino per fargliela firmare. Lei cercò sul tavolino una penna e per farlo dovette sporgersi e inchinarsi e io osservavo le sue curve prendere forma e mutare in seguito ai suoi movimenti. Trovò la penna e si chinò per firmare e io ebbi la visione fuggevole del suo seno dall'alto della vestaglia. Mi sembrava di essere in uno dei classici film nei quali il ragazzino ha l'incontro con la donna matura che poi... Insomma, trenta secondi che durarono un'infinità. La salutai sorridendo ma sono sicuro che il mio sorriso fosse del tutto sconvolto e imbarazzato. Il suo era sincero e cordiale come se si trovasse completamente vestita e nella mia officina. Era sempre la solita donna d'azione. Mi riaccompagnò alla porta ed ebbi l'impressione che la sua espressione mi dicesse: "scemo che non cogli l'occasione". Ma era ovviamente solo la mia impressione e io dovevo essere soprattutto professionale. Lo sapevo che mi sarei pentito ma sapevo anche che non avrei potuto fare di più. Il senso del dovere. Tornai in macchina e durante il tragitto per ritornare in officina mi sentii contemporaneamente fortunato e cretino. Il traffico era intenso e non fui di ritorno prima delle diciannove e quarantacinque. Il mio capo quando mi vide aveva l'espressione di chi si chiede: dove sei stato tutto questo tempo, che dovevi solo consegnare una macchina? Il mio capo sapeva benissimo dove ero stato e sono sicuro ancora oggi che abbia pensato che con quella signora abbia combinato qualcosa.
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