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Post n°50 pubblicato il 01 Dicembre 2010 da gli_internauti
Quello che segue è la terza parte del racconto "Ragazza di carta e di penna" realizzato da Sergio Romeo di Tuosto, ospite della Comunità Dedalo. Francesca è una ragazza di 24 anni che, per aiutare l'amica Lucia che sta per subire uno scippo, rimane ferita ad un braccio. Mentre Lucia in qualche modo cerca di rimediare all'emorragia causata dall'aggressore, Francesca ripercorre col pensiero alcuni momenti significativi della sua vita passata.
RAGAZZA DI CARTA E DI PENNA – 3a parte Il fatto che il sangue non uscisse più dalla ferita con la stessa intermittenza del cuore sembrò un buon segnale per le ragazze: evidentemente l’emorragia si era fermata. Intanto il fracasso del traffico percuoteva i timpani di Francesca, riportandole alla memoria il periodo trascorso nel campo di lavoro nella ex Jugoslavia durante il conflitto.
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In quel campo si lavorava alla costruzione di alloggi per profughi ammalati. A quell’epoca era una ragazza di ventidue anni, studentessa, e quando sentiva i colpi della contraerea guardava oltre la montagna e pensava alla sua casa, ai palazzi inondati dalle luci intermittenti delle insegne. Quelle luci somigliavano nel loro colore a quelli dei razzi traccianti. Si sentiva come inseguita da quella guerra, messa alla prova.
A un certo punto guardò Lucio, un giovane più che trentenne che aveva conosciuto lì al campo: con lui aveva incontrato Davide, un ragazzo di Mostar che era stato arruolato e si era imboscato per aiutare i suoi compaesani. Lucio e Francesca avevano cominciato a parlare con Davide, un ragazzo che aveva poco più di 18 anni e per il quale sembrava che la guerra non fosse mai esistita: ne parlava con fastidio e sembrava che avesse una voglia tremenda di parlare di altro, per esempio di musica o dei problemi di studio. A Francesca e Lucio pareva strano che si potesse essere soldati di una guerra e rimanere così distanti da essa, come pure sembrava loro ingiusto che Davide fosse stato arruolato: la divisa mimetica era stridente con quello che egli pensava. Francesca pensò queste cose e ne parlò insieme agli amici.
Voleva cercare di far capire che il mondo è fatto di grandi città, paesi, cittadine e campagne dove gli uomini e le donne insieme ai loro bambini conducono la loro vita benedicendola, magari maledicendola ogni tanto. A lei capitava di sentirsi compressa nella sua città, di tanto in tanto dava un esame, conosceva un amico nuovo, per lei c’era sempre un posto dove andare e una casa dove tornare. È proprio in questo mondo di tutti i giorni che una mattina si alza e scopre che c’è una guerra proprio sotto casa. Allora ogni tanto pensi ai bombardamenti come a una violenza irragionevole. Francesca rifletteva e pensava: ma quella violenza, quel disamore che c’era in giro, in quei paesi, cittadine e campagne, non poteva essere stato anche il suo qualche volta? Se fosse stato così, se il suo rancore si fosse sommato a quello di di chi voleva la guerra, a lei proprio sarebbe dispiaciuto! Che senso c’era in quelle bombe buttate a casaccio dagli aerei sulle case?
A Francesca, tra le luci delle insegne e il turbinio dei clacson venne in mente un momento quieto della sua vita da ragazza. "Francesca", la luce accesa nello stanzino. Era di nuovo seduta li alla sua scrivania, era li che fingeva di esserci davvero, in effetti si percepiva a stento. Nella nebbia una piccola luce. Era una fabbrica, un campanile o una stazione con l'insegna sempre accesa? Il libro che studiava era aperto alle pagine del riepilogo con i contorni celesti e rossi.
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