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« Democrazia e rappresentanzaLa proscrizione della Giustizia »

lettera anonima

Post n°13 pubblicato il 17 Febbraio 2006 da lukasky

Mi ha colpito profondamente la lettura del messaggio che ho ricevuto nella mia email personale per cui mi affretto a diffonderla sperando che faccia la stessa impressione agli eventuali improbabili frequentatori del mio blog e che altri la diffondano per altri canali.

LETTERA SULLE ELEZIONI DI UN ANONIMO CRISTIANO

Caro Tommaso,
siccome sei nato appena il 19 agosto, hai
ricevuto una lettera dal Presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi con un grosso bacio e 1000
euro. Il bacio è gratis, ma i mille euro servono
per avere il voto dei tuoi genitori, che vuol
dire 500 euro a voto, e con le casse dello Stato
si può fare, data anche la scarsa natalità. Anche
questo è un contratto, tanto è vero che la tua
babysitter, che l’anno scorso ha avuto un
bambino, ha ricevuto anche lei la lettera di
Berlusconi, ma non i mille euro, perché è somala
e non può votare, e anche Tremonti dice che
bisogna evitare le spese improduttive. Nel suo
caso, ci sarebbe stato un arricchimento senza causa.
Poiché i tuoi genitori sono persone oneste, non
hanno ritirato i mille euro, e votano come gli
pare. Anzi hanno messo in cornice la lettera di
Berlusconi, come si fa con i cimeli storici.
Tu hai avuto la grazia di venire alla luce in un
mondo che non è mai stato così attraente. Le sue
bellezze si sono moltiplicate, le ricchezze pure,
gli abitanti sono più numerosi che mai e tutti, a
volerlo, potrebbero essere in grado di vivere e
di godere la Terra; i re e i principi dei secoli
passati stavano molto peggio di te quanto a cibo,
acqua, caldo, freddo, salute, mobilità,
conoscenze disponibili e aspettative di vita. Se
non mancasse l’amore, per cui agli uni è tolto
ciò che agli altri è dato, davvero questo sarebbe un mondo meraviglioso.

Un gioco d’azzardo. Però tu sei nato anche alla
vigilia di un grande gioco d’azzardo. In questo
Paese stiamo per andare a una roulette, in cui in
una sola giocata è messa in palio tutta la posta:
la giustizia, i diritti, il lavoro, la pace, il
dialogo tra le civiltà e la Costituzione
repubblicana che il governo e la maggioranza
parlamentare hanno fatto a pezzi già quattro
volte (in altrettanti voti delle Camere) e infine
liquidato per togliere il potere ai cittadini e
allo stesso Parlamento. Infatti il sistema
politico si è venuto a congegnare in modo tale
che un normale ricorso alle urne per eleggere i
rappresentanti, si è trasformato in un aut-aut,
nel quale tutto si può perdere e tutto si può
salvare. In questa consultazione elettorale ci
possono essere, perché così ha voluto la recente
riforma, solo due programmi e due schieramenti in
grado di competere per il premio di 340 deputati
assegnati per legge al vincitore. “Tertium non
datur”, come dicevano i latini. Tutta la società
è costretta a dividersi in due, nonostante la
varietà di bisogni, di interessi e di ideali da
cui la mediazione politica e parlamentare dovrebbe estrarre il “bene comune”.
L’intenzione che da più di un decennio ha spinto
il sistema elettorale e politico verso un così
rigido bipolarismo era buona, perché si trattava
di realizzare un regime di alternanza, come c’è
in altre democrazie, soprattutto anglosassoni.
Però non si è tenuto conto della natura della
destra italiana, che quando non è trattenuta in
un più vasto tessuto di relazioni democratiche e
si presenta allo stato puro, si fa eversiva, come
ha fatto nel tempo producendo fascismo, P2,
tentativi golpisti e pulsioni secessioniste.
L’esperienza di questi anni ha mostrato che la
forzatura dell’elettorato a concentrarsi e a
contrapporsi in due sole parti politiche, ha
fomentato una cultura del conflitto e del nemico,
ha imbarbarito la lotta e ha portato al rischio
di consegnare il Paese a una fazione di guastatori.
L’Italia ha avuto altri momenti in cui con la
destra si è giocato d’azzardo; uno di questi fu
nel 1925, quando per la prima volta fu instaurato
per legge (e non per rivoluzione) un “governo del
Primo Ministro”. Ai bambini che nacquero
quell’anno non andò poi bene; ne conosco che a 18
anni finirono in guerra o furono presi dai Tedeschi.
Dunque non ci si può distrarre, e bisogna
prendere il proprio posto in una delle due parti in conflitto.

Berlusconi. Le ragioni per porre termine
drasticamente all’esperimento Berlusconi vanno
molto al di là delle inadempienze programmatiche
e del dissesto dei conti e delle istituzioni.
Berlusconi aveva stipulato un contratto, di
modello privatistico, con il quale aveva
acquistato un voto e aveva venduto un sogno,
quello di un Paese beato e di un arricchimento
generalizzato. I sogni sono preziosi. Un
esponente della sinistra cristiana, Adriano
Ossicini, psicologo dell’infanzia, raccontava un
giorno di un bambino che aveva in cura, il quale
gli aveva portato un sogno, perché glielo
custodisse e non andasse perduto. Berlusconi ha
tradito il sogno che aveva venduto e ora, con la
sua parossistica campagna politica, sta
trasformando questo sogno in un incubo. Egli non
ama l’Italia, perché dell’Italia non ama la
magistratura, la Confindustria, le cooperative,
l’80 per cento dei giornalisti, i comuni e le
regioni “rosse” e tutta la sinistra, che
considera una “palla al piede” del Paese. Di
conseguenza preferirebbe che tutti questi non ci
fossero, come Calderoli preferirebbe che non ci
fossero gli immigrati, e i coloni in Cisgiordania
che non ci fossero i palestinesi. Tuttavia li
vuole governare, il che vuol dire che vuole
governare chi non ama, senza averne il consenso e
che perciò li può governare solo assoggettandoli e riducendoli a sudditi.
In una trasmissione televisiva un consigliere di
Berlusconi, politologo, don Gianni Baget Bozzo,
ha detto che ciò che è in corso in questa
campagna elettorale sarebbe un “regicidio”,
alludendo agli attacchi al premier e alla rapida
caduta del suo gradimento. Meno tragicamente
avrebbe potuto parlare di “deposizione del re”.
In ogni caso senza avvedersene Baget Bozzo, che è
un buon conoscitore di dottrine politiche, usando
questa parola definiva il regime politico che
Berlusconi ha di fatto introdotto in Italia come
un regime monarchico: cioè il potere di un uomo
solo, senza controlli, senza alleati (infatti
vorrebbe avere da solo il 51 per cento, più il
premio di maggioranza) e senza competitori; tale
potere sarebbe legittimato, come dice, dal fatto
che “nessun altro italiano ha fatto tanto per
l’Italia” come lui. Questa monarchia di fatto,
viene trasformata dalla nuova Costituzione
elaborata a Lorenzago, in una monarchia di
diritto. Il premierato assoluto che vi è
configurato, l’emarginazione del Senato, la
Camera dei Deputati spartita in due sezioni, una
Camera alta (formata dai deputati di maggioranza
che hanno “prerogative” negate a tutti gli altri)
e una Camera bassa (formata dai deputati
dell’opposizione che hanno solo il diritto di
parola e i cui voti sulla fiducia al governo non
verrebbero nemmeno contati), il Presidente della
Repubblica esautorato, il “Primo Ministro” che
può sciogliere la Camera quando vuole: tutto
questo farebbe della Costituzione repubblicana
uno Statuto monarchico, anche se senza
successione ereditaria, il che rappresenta
l’esplicita sconfessione dell’art. 139 della
Costituzione vigente, che poneva un limite
insuperabile al sovvertimento costituzionale,
prescrivendo che “la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale”.
Dunque deporre Berlusconi e poi respingere nel
referendum la Costituzione scritta dalla destra
sono due atti della stessa operazione: salvare la
Repubblica in Italia. Per i cittadini sembra
questo un interesse, oltre che un valore,
assolutamente prioritario. Come diceva un grande
costituente, Giuseppe Dossetti, la Costituzione
italiana era stata generata da una grande
tragedia storica, conclusasi con la sconfitta del
nazismo e del fascismo. Si può aggiungere che
essa, come tutto il costituzionalismo
internazionale postbellico, nacque perché la
tragedia non avesse a ripetersi, ciò che oggi non è affatto sicuro.

Nessun capro espiatorio. Nell’agone per il
ripristino e per il rilancio dell’ordine
democratico non deve figurare alcun accanimento
nei confronti di chi l’ha violato. In effetti è
tutta una classe dirigente, solidale nel potere
oltre ogni dissenso, e non una persona sola, che
va giudicata. Ci si dovrebbe anzi preoccupare che
l’eccessiva esposizione mediatica di Berlusconi
non finisca per ricapitolare su di lui tutto il
bene e tutto il male, il che è un meccanismo ben
noto nella fabbricazione del capro espiatorio,
come del resto già si intravede nel comportamento
dei suoi alleati, col rischio di far perdere di
vista i gravissimi danni da questo ceto politico
provocati. Al di là della provocatoria iperbole
di Gianni Baget Bozzo, quanti amano la convivenza
civile non possono che opporsi all’ostensione di
figure che attirino su di sé ogni encomio ed ogni
oltraggio. Berlusconi si è messo in gravi
difficoltà, fin quasi a voler procacciarsi il
dileggio, ma non per questo devono venire meno il
rispetto e la cura dovuti ad ogni creatura.
Piuttosto deve essere aiutato a uscire e
l’elettorato può farlo da una situazione
divenuta insostenibile, dato che per lui, con
tutte quelle televisioni e quelle aziende, la
politica si è rivelata incompatibile con le sue
ricchezze, per quel conflitto sempre denunciato
che altro non è se non l’avverarsi dell’antico
monito secondo cui “nessuno può servire a due padroni”.

Dove stanno i cristiani. Molti si chiedono dove
stanno i cristiani in questo confronto. Poiché la
domanda fa riferimento a una categoria religiosa
e non politica, è evidente che la risposta non è
affatto scontata: possono trovarsi da ogni parte.
A volerli localizzare seguendo la pista indicata
dal Vangelo, bisognerebbe sapere dove hanno il
loro tesoro: “dov’è il tuo tesoro là sarà anche
il tuo cuore” (Mat. 6,21). Allora si dovrebbe
sapere qual è il tesoro di ciascuno, e così si
saprebbe dov’è il suo cuore e anche il suo voto.
E tuttavia nessuno ne potrebbe giudicare le
intenzioni, perché si potrebbe sbagliare.
Dunque, per sapere dove stanno i cristiani,
bisogna ricorrere a criteri più empirici. E qui
sta la difficoltà. Perché, a guardare ai due
schieramenti, si ha l’impressione di una
situazione asimmetrica. Infatti in uno dei due,
quello di centro-destra, ci sono molti che si
professano “devoti”, atei o credenti che siano,
c’è un partito che si fa chiamare cristiano, c’è
chi rivendica a proprio favore l’autorità della
Chiesa e gode di frequentazioni ecclesiastiche, e
in tanti fanno a gara per accreditarsi come
pronti a tradurre in leggi le indicazioni della
CEI. Nell’altro schieramento, che Berlusconi
sommariamente definisce la “sinistra”, tutto
questo non c’è, i cristiani come tali non si
fanno riconoscere per nome; essi partecipano
senza ostentazioni alla condizione comune, mentre
per contro vi sono piccoli gruppi e partiti che
per il meccanismo elettorale non potrebbero
correre da soli, i quali si rifanno a un acceso
militantismo laico, o accelerano su temi
immaturi, pur sottoponendosi al vincolo di
coalizione. Ciò potrebbe far pensare che in tale
schieramento i cristiani non ci siano o non siano
interessati a far valere con energia i valori in
cui credono. Ma così non è. Vaste aree elettorali
e ceti politici che si rifanno alle tradizioni
del cattolicesimo democratico e del cattolicesimo
sociale sono presenti nel centro-sinistra, sia
nei partiti che si definiscono moderati, sia nei
Verdi, sia tra i socialisti, sia nelle sinistre
che in diversi modi si rifanno alla tradizione
comunista, che del resto ha praticato a lungo in
Italia il dialogo con i cattolici. La Democrazia
Cristiana non c’è non perché sia stata dissolta
da “Mani Pulite” ma perché, fallito il tentativo
di Buttiglione di impadronirsene, interpretò con
rigore la fine dell’unità politica dei cattolici
sancita dal Concilio, e volle affermare una
discontinuità anche nel nome. Dunque i cristiani
ci sono, parte costituente e costitutiva della
democrazia italiana, ci sono i cristiani nel
centro-sinistra, come sempre ci sono stati nella sinistra.

Che cosa si sceglie. La scelta di schieramento è
anche una scelta per Prodi. Si tratta di un
investimento su una competenza, su una integrità
politica, su un programma, non della fede in un
uomo, che non è cosa cristiana. È però
l’affidamento a una persona che per storia e
identità ha tutti i titoli per governare l’Italia
nei prossimi cinque anni. La scelta di Prodi, del
resto già esercitata nelle primarie, né ha
l’intenzione di accaparrarselo, né ha nulla a che
fare con il “culto della personalità”, estraneo
alla prassi democratica; però gli dà atto di aver
preso le difese della Costituzione repubblicana,
ferma restando la quale ci possono poi essere
idee diverse sulla futura evoluzione del sistema politico.
La presenza di cristiani nella sinistra e
nell’Unione in questa campagna elettorale non ha
alcun carattere confessionale, e non ha alcuna
pretesa di coinvolgere le autorità della Chiesa,
che si vorrebbe anzi salvaguardare dal trovarsi
coinvolte in questo scontro. Tale presenza è però
fortemente motivata dalla percezione che tra il 9
aprile e il successivo referendum per il
mantenimento della Costituzione si decide il
destino dell’Italia e il suo ruolo nel mondo, e
sono in gioco valori supremi anche per la Chiesa,
a cominciare dalla democrazia. Questo aspetto è
tenuto in ombra anche dal centro-sinistra, restio
ad ammettere il rischio di sistema; sicché nella
campagna elettorale ufficiale c’è molto furore
polemico, ma non affiora il dramma. Invece, come
dice un allarmato Leopoldo Elia, presidente
emerito della Corte Costituzionale,
nell’introduzione al suo libro “La Costituzione
aggredita”, “ha torto chi, pur da cattedre
istituzionali autorevoli, invita a non drammatizzare”.
Così stando le cose, la natura del voto non
consente di fare scelte determinate su singoli
problemi, TAV o PACS che siano. I temi specifici
che le autorità religiose hanno agitato più di
recente, riguardanti la traduzione legislativa di
specifiche istanze etiche, non sono oggetto
immediato della attuale contesa elettorale, che
propone invece una scelta globale e seccamente
alternativa sui fondamenti stessi della
convivenza civile e perciò anche religiosa. Essi
saranno oggetto con calma di una seria mediazione
politica, in cui posizioni diverse potranno
incontrarsi, essendoci sempre una soluzione
cristiana, nella laicità, che gli uomini di buona
volontà possono trovare anche sulle questioni più spinose e controverse.

Da che cosa vi riconosceranno. Certo, sia su
questi temi specifici che nelle scelte di
sistema, i cristiani hanno qualcosa da dire, e
proprio come tali, per l’utilità comune. È un
peccato, ad esempio, che non ci sia nessuno che
dica che la Costituzione ci preme proprio in
quanto cristiani, non solo per le ragioni
validissime a tutti comuni, ma anche per ragioni
più proprie: per esempio per aver posto al
fondamento della Repubblica il lavoro, che Gesù
ha assunto quando ha preso “la forma del servo”,
e quindi ha assunto il lavoro, che era allora
l’operazione estenuante ed esclusiva del servo; o
per aver stabilito nella coscienza, come ha
asserito una famosa sentenza della Corte
Costituzionale, la fonte dei diritti
fondamentali, e perciò della stessa Repubblica,
facendo quindi della coscienza di ogni cittadino
il vero luogo dove i desideri di Dio e i diritti
posti dall’uomo si incontrano; o per quella
centralità del Parlamento che affida l’esercizio
della sovranità del popolo non all’azione, alla
lotta, al potere, ma alla Parola, e perciò non
ammette altro modello di comunicazione pubblica
tra gli uomini che il dialogo e quindi la pace;
ciò che fa della Costituzione la radice dell’etica civile.
Sarebbe bello queste cose poterle dire anche
proprio come cristiani; in ogni caso, se non come
cristiani, essi dovrebbero farsi riconoscere come
“Galilei”, cioè per l’amore, così come nella sua
felice enciclica Benedetto XVI dice che Giuliano
l’Apostata lo riconosceva e voleva emularlo nei
cristiani, da lui chiamati “Galilei”, pur mentre
voleva ristabilire i culti pagani. E
dall’enciclica si potrebbe ricavare un altro
criterio di identificazione per loro: quello di
attribuire allo Stato e alla politica, come unica
“origine, scopo e misura” il fare la giustizia,
senza la quale uno Stato si riduce a “un grande
ladrocinio”; di intendere la giustizia come il
garantire a ciascuno la sua parte dei beni della
terra; di sapere che nella “nuova situazione”
prodotta dall’avvento dell’industria moderna, “il
rapporto tra capitale e lavoro è diventato la
questione decisiva”; e che se, come è avvenuto,
“le strutture di produzione e il capitale” si
sono affermati come “il nuovo potere posto nelle
mani di pochi”, comportando “per le masse
lavoratrici una privazione di diritti contro la
quale bisognava ribellarsi”, compito della
società nostra, interna e internazionale, è di
offrire alla ribellione l’alternativa della
politica, della Costituzione e del diritto.
Questo sarebbe allora il modo e il luogo in cui i
cristiani potrebbero essere riconosciuti.

Riunioni e lettere. Non firmo questa lettera:
prima di tutto perché, nell’alleanza cui andrà il
mio voto, anch’io, come cristiano, sono anonimo;
e in secondo luogo e soprattutto perché questa
lettera da chiunque, se condivisa, può essere
fatta propria e mandata ad altri, con la propria
firma o sotto la propria responsabilità, e da
questi ad altri ancora, in una circolazione dal
basso, e così passare di sito in sito, di e-mail
in e-mail, di rivista in rivista, e magari
suscitare riunioni, incontri e dibattiti per
discutere queste cose, per far crescere
l’informazione e la coscienza collettiva intorno
alle grandi questioni in gioco, in tutta la
campagna elettorale, e fino al referendum
costituzionale. Sarebbe bello, così, che questa
lettera anonima fosse la più firmata di tutte, a
fare da scintilla che accende tutta la prateria.
Con i più fervidi auguri
Anonimo
cristiano

 
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