Spazio Libero

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Mi sto avvicinando a un'idea nuova della vita, a un'idea nuova, ma nello stesso tempo primordiale . Mi sembra ragionevole affermare come la percezione che l'uomo ha del dolore e della sofferenza risiede nell'impostazione rituale e sovrastrutturale che il genere umano usa per stare al mondo. Al genere animale, ad esempio, non risulta così terribile (salvo brevi momenti di scoramento) perdere  i propri figli, genitori o compagni, in quanto il genere animale vive nella consapevolezza istintiva (e non intellettiva) della crudeltà naturale, un concetto di crudeltà che sfugge del tutto al genere umano.  L'uomo col passare dei secoli si è fatto padrone delle proprie sorti, ha costruito vie di fuga da opporre al dolore, ha utilizzato la tecnica per creare farmaci in grado di prolungare la vita, di sconfiggere tumori, rimedi in grado di fronteggiare con successo la violenza propria delle leggi di Natura; per carità.. nulla da eccepire, anzi semmai c'è solo da da inchinarsi di fronte a chi riesce a rendere migliori le nostre vite. Eppure quando nemmeno l'intelligenza e la tecnica riescono a vincere la brutalità della Natura e i propri cari periscono di fronte alla violenza perfetta, o quando si perisce in prima persona, allora tutto appare all'improvviso  terribile, ingiusto, orrendamente crudele. Ad ogni angolo di strada, e persino sui social network che siamo abituati a frequentare, non si fa che predicare a buon mercato la preziosa vita oltre la morte. L'uomo è Dio... si sente Dio, fin quando l'accidente non gli strappa l'amore dei propri cari o fin quando la casualità brutale  della vita naturale non li colpisce in prima persona; allora all'improvviso Dio è ingiusto, Dio non esiste, Dio è un bambino che si diverte a vederci soffrire, Dio si è dimenticato di noi o peggio ce l'ha con noi  (".. mio Dio.. perchè perchè proprio a me?"). Delle due l'una: o si può fare a meno di Dio (e dunque si può vivere della propria intelligenza), o Dio esiste.... ed esiste anche quando il dolore cieco colpisce e distrugge le nostre piccole vite. Per come la vedo io il discorso su Dio non ha alcun valore specifico se non quello di rendere meno amara l'attesa della fine ; ciò che invece ha valore e senso è arrivare a una visione della vita più vicina possibile alla Natura in quanto tale, disincantata rispetto a una volontà deliberata che valuta chi deve star bene  e chi deve soffrire, chi deve vivere e chi invece deve morire; ha senso cioè giungere ad afferrare con coscienza quanto il dolore e la sofferenza (come del resto il bene ed il piacere) non sono altro che stati d'animo di un tutto che non è pensato nè ragionato... ma semmai semplicemente esistente secondo leggi implacabili, leggi che presuppongono la vita e la morte,  senza alcun sentimento o percezione, senza alcuna forma di clemenza o di cattiveria. E' il concetto della morte.. a rendere la morte inaccettabile ai nostri piccoli occhi; la morte in se stessa, per come provo a pensarla, è un passaggio esistenziale che va appreso e vissuto al pari di altri passaggi esistenziali. Chissà se avrò il coraggio e la viirtù di tenere lo stesso tono e lo stesso petto in fuori... quando sarò immobile su una branda.. in attesa della fine!?Saluti a chi legge.