Gocce di Vita

Tommasino


 Quando era piccolo, a volte i suoi compagni di scuola lo prendevano in giro, dicendo che era senza madre. Ma apparentemente lui non ne soffriva, si girava a guardare il cielo e sorrideva, con una luce particolare nel viso, quasi sognante. Tommasino era stato un bambino mite, tutti in paese lo conoscevano. Anche mentre ancora andava a scuola, in quell'Italia dell primo dopoguerra quando la vita era davvero dura, come raccontano i vecchi... era un bimbo timido e gentile, con quei suoi capelli neri e crespi, gli occhi grandi e vivaci che scoprivano i misteri del mondo. E la maestra, la signorina Maria era sempre paziente e disponibile, sorrideva sempre quando spiegava. Tommasino la ricordava sempre cosi', sorridente e bellissima, con quei suoi nastri colorati tra i capelli e la gonna lunga, austera, la camicetta immacolata. Era incuriosito dal cielo, voleva sapere tutto sulle stelle, la luna.. le comete. A scuola ci ando' poco, purtroppo, come molti bambini di quel tempo. Nonna Elisa era andata via, gli avevano detto. Nonna Elisa, che era stata tutta la sua famiglia, che lo aveva cresciuto da quando era in fasce. Lui, bambino, non capiva il perche'. Si ricordava delle discussioni tra paesani. Il parroco, il signor sindaco... tutte quelle persone che parlavano fitto. Cercavano una soluzione ad un problema troppo grande da capire, troppo difficile... troppo difficile... In realta' Nonna Elisa non era la sua vera nonna, ma a lui questo non importava. Lo aveva trovato una famiglia di sfollati, dopo una notte di bombardamenti incessanti. Era avvolto in un fagotto lurido che doveva essere stato un lenzuolo, in mezzo alle macerie di un casolare distrutto dalle cannonate Americane. Erano brutti giorni, allora gli Alleati ercavano di colpire le postazioni Tedesche di Monte Cassino. E lui era nudo, magro e spaventato con le braccine sporche illuminate dai primi raggi di sole... e piangeva, piangeva forte con gli occhi spalancati verso il cielo... Della sua famiglia non rimaneva nulla, niente nome, niente provenienza... solo poveri stracci intorno a corpi straziati e sangue che impregnava il terreno torturato. Nessuno chiede di nascere, succede e basta. Nessuno, uomo o animale che sia vorrebbe mai nascere se solo fosse consapevole del dolore che lo aspetta. Nasciamo tutti piangendo, dicono i vecchi. Ma il pianto di Tommasino era qualcosa di piu' profondo, che graffiava l'anima di chi lo ascoltava. Si percepivano la paura e l'impotenza racchiuse nelle grida di quella creaturina sfortunata. "Povero figlio", dicevano tutti... "senza nessuno che possa occuparsi di lui". Era stato allora che Nonna Elisa l'aveva preso in braccio per la prima volta, e non l'aveva piu' lasciato. Nonna Elisa, che aveva perso i suoi due figli in Albania. Lo accolse come fosse suo, gli dono' l'amore che poteva, l'amore che solo una madre e' in grado di dare. Lo porto' nella sua casetta, appena fuori del paese. Niente di che, una piccola stalla rabberciata e ripulita alla meglio all'ombra di una piccola collina, ma per quei tempi di terrore e tormento era piu' di una reggia. Lo curo', giorno dopo giorno, finche' quel pianto disperato divenne solo un richiamo d'attenzione, subito seguito da enormi sorrisi quando la vedeva. L'amore, la migliore medicina del mondo. Lei non si curava delle chiacchiere del paese sul suo bambino “strano” che guardava il cielo. I dottori, quei pochi che aveva potuto consultare, dicevano che si trattava di un trauma, colpa delle bombe... che il bambino non sarebbe mai stato del tutto normale, nemmeno crescendo. E infatti, Tommasino fu sempre il suo bimbo speciale, finche' una polmonite decise di portarsela via. E Tommasino fu solo. Solo ad affrontare il mondo.. e non aveva ancora dodici anni. Visse per qualche tempo ospite della parrocchia, aiutando in tutti i servizi che un bambino della sua eta' potesse svolgere. Ma trovava sempre il tempo per correre in cima alla collinetta, guardando ad est, le braccia dritte verso il sole come per chiamarlo a se... quel posto era come un paradiso per lui. Amava il sole sul viso, gli ricordava le carezze calde ed affettuose di Nonna Elisa. Alcuni paesani di buon cuore gli diedero una mano, offrendogli lavoretti semplici ma dignitosi, che gli permisero di tirare avanti, fino a quando fu abbastanza grande da poter badare da solo alla casa della Nonna. Era bella quella casa: bella per i suoi occhi, intendiamoci. E poi c'era la collinetta, e ad est la valle si perdeva nella foschia del giorno. Ci passava intere ore... amava perdersi nei suoi pensieri guardando le nuvole cambiare forma nell'azzurro. Tendeva le braccia al cielo e rideva, rideva, rideva... L'uomo col furgone passava ogni settimana in paese, a mezzogiorno del venerdi'. Tommasino era sempre ad aspettarlo, con i suoi cesti intrecciati ed i mazzetti di lavanda, raccolti nelle sue passeggiate sulla collinetta. Piccole cose, ma gli davano da vivere e a lui bastava. Era felice, passavano gli anni e lui era contentissimo della sua vita. Aveva tutto quello che gli serviva: il cielo, un tetto, qualche soldino per le sue spese. Ed aveva una grande responsabilita'. Infatti da anni era lui che tutte le mattine doveva far nascere il Sole. Tutto il paese dipendeva da lui... i paesani lo fermavano in strada e gli dicevano, "Tommasi' domani mi raccomando eh' fai uscire un bel sole! ", e lui inorgoglito, li rassicurava ampiamente che avrebbe fatto di tutto. Si alzava sempre prestissimo, infilava gli scarponi raggiungeva veloce la sommita' della collinetta e iniziava il rituale. Si volgeva verso est, le braccia protese verso il cielo, e aspettava speranzoso. Puntualmente, dalla grigia foschia dell'orizzonte, cominciavano a distinguersi i bagliori rosati del nuovo, giovanissimo Sole, che fino alla sera avrebbe brillato luminoso. E ancora una volta per merito suo. Tutti in paese lo sapevano, che era merito suo. E le feste che gli facevano... chi gli regalava del vino, chi del pane, a volte anche delle ottime uova... E quando non ci riusciva, pazienza. Gli dicevano “grazie lo stesso, Tommasi', prenditi un bicchiere di vino” e sorridevano, consolandolo. Solo il parroco, ogni tanto, gli diceva cose incomprensibili, parlava di “peccati”, di “superbia”, tutte cose strane che lui non capiva molto bene. Ma era sicuramente in malafede o invidioso. Infatti, pensava, era l'unico che non si complimentava mai. Nemmeno una volta. Ma Tommasino sapeva benissimo che far nascere il Sole era compito suo, e di nessun altro. Lo svolgeva con dedizione e precisione matematica, esattamente come doveva essere per un incarico cosi' delicato ed essenziale. Certo, al passar degli anni, Tommasino dovette alzarsi sempre piu' presto per arrivare in cima alla collina. Con l'avanzare del grigiore nei suoi capelli, la cosa gli richiedeva sforzi sempre maggiori, tanto che in un paio di occasioni rischio' quasi di non fare in tempo, con gran preoccupazione di tutto il paese! Figurarsi, sprecare una bella giornata per qualche minuto di ritardo, quello si che sarebbe stato un vero peccato, un vero peccato... E il fiume della vita scorse tranquillo per lui, con le sue albe e le sue passeggiate finche' una mattina, una come tante, apri' gli occhi e stranamente senti' un peso opprimente sul petto. Doveva alzarsi, ma non ce la faceva. -beh, altri cinque minuti, penso'. -poi devo andare! Devo assolutamente! Ma i minuti passavano e lui non si sentiva affatto meglio, anzi il peso si tramuto' gradualmente in dolore, un dolore strano, che lo stringeva e lo soffocava, sempre piu' forte, sempre piu' fitto. Provo' a sedersi, ma le braccia non risposero e rimasero inerti, mentre sentiva l'aria entrare e uscire a fatica dai suoi polmoni... Guardo' fuori della finestra, ad est... e vide solo il buio. -altri cinque minuti... altri cinque minuti... altri cin... In quella cupa mattina , la gente che usciva per andare nei campi rimase molto meravigliata che non albeggiasse ancora. Lo stupore generale aumento' quando la torre del municipio rintocco' per sette volte, mentre la sua mole si stagliava nel cielo piu' nero e senza stelle che fosse mai stato visto a memoria d'uomo. Alle otto e mezzo, i contadini visibilmente preoccupati ed increduli, fecero ritorno alle loro case brancolando nel buio della notte profondissima, e vi rimasero per tutta la giornata... alcuni pregavano,alcuni semplicemente guardavano con occhi sgranati il nero orizzonte che non schiariva. E ancora oggi, nessuno ha mai avuto il coraggio di dirlo, ma e' certo che in molti pensarono al vecchietto un po' pazzo che dormiva nella piccola stalla rattoppata ai piedi della collinetta. Ma io lo so che in quelle ore senza sole, molti pensarono a lui, a Tommasino "il matto" che quel mattino non aveva pututo alzare le vecchie braccia verso il cielo. M.