Parole...Dal cuore

SULLE SPONDE DEL MAR CASPIO


La grande distesa d’acqua del Mar Caspio, grande più della nostra penisola intera, sembra proprio un Italia rovesciata. A Sud l’Iran e sul lato opposto all’Azerbaijan, il Kazakistan e il Turkmenistan. Scendendo dalla scaletta respiri il vento gelido del Caucaso, e sapere che avrò a che fare con quelle temperature, a me che ho lasciato il mare di Toscana, non rende felicissimo. Mi spinge la volontà, il sapere che porteremo dei sorrisi, che risolveremo il problema dell’acqua a tanta gente. La massa d’acqua, che il Mar Caspio racchiude in se sembra quasi una contraddizione. La gente di qui è vecchia seppur giovane; facce scavate dalla sofferenza, dal clima, da un futuro incerto. Per loro l’acqua è tutto. Siamo ospiti di una confraternita che ha dislocato qui il suo avamposto, la propria missione di sfida. Siamo vicini alla Città di Baky, eremo, lontano appiglio legato e fasciato dal tempo. Il primo giorno scorre via senza sussulti, non mi accorgo neppure della scorta armata, incontro tanta gente; diffida un po’ troppo, ma è normale; c’è chi cerca di vendere le poche cose sul carretto, ma lo sguardo è fiero per ciò che si espone, il frutto della vendita sarà cibo per la famiglia e con grande orgoglio mi pone davanti agli occhi un cappello di tela, sorrido, mi inchino, metto mano ai soldi, ma con un gesto mi indica il suo cuore ed un bicchiere di plastica vuoto e sporco… Ha capito chi sono e quello che poteva trasformarsi nel suo pranzo ed in cibo per la sua famiglia ora è sulla mia testa… Chi ci accompagna sorride e annuisce con la testa; il più bel regalo che potessi ricevere come benvenuto. Gli regalo il mio, in modo che possa rimediare qualcosa e gli lascio cadere in mano qualche spicciolo… Il suo sorriso, la sua faccia arida, le sue mani… Raddoppio le forze, su dai che qui c’è parecchio da fare. I giorni trascorrono lenti, non abbiamo pause, solo la sera raccogliamo le idee e realizziamo quanto fatto, ci sentiamo felici, e quanto ancora da fare, e questo c’impensierisce un poco. L’odore di pesce è forte e la cucina non sempre leggera, sopportiamo, sopportiamo tutto. Il lavoro è finito, abbiamo compiuto un’altra grande missione, stanchissimi, sporchi… L’ultimo giorno è sempre quello più triste, gli addii, le lacrime, gli abbracci con le persone che per un paio di settimane della tua vita sono state l’unico riferimento, con le quali hai sofferto, sudato, gioito. E’ sempre così, i vecchi della Città che si radunano ed il più anziano che si dirige verso noi, come in un rito remoto, come vecchie abitudini di questi popoli, ci stringe la mano, non può far altro, è una mano fiera e ferma ed il suo sguardo e dritto verso il mio. Scavalca persino le poche autorità in giacca e cravatta presenti. Mi dice qualcosa nella sua lingua, l’interprete si commuove e non riesce a tradurmelo, piange. Sull’aereo, verso casa, riesce a tradurre: con il vostro lavoro salverete la mia gente, il mio popolo; in questo posto così lontano dalla vostra vita, chi dirigerà la sguardo verso il mare vedrà i vostri occhi rispecchiarsi… Mi porto questo pensiero, con me, nella mia anima, nel mio cuore…