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Finalmente il riposo

Post n°53 pubblicato il 28 Giugno 2008 da variazionegoldberg

Con quaranta gradi all’ombra, dimenticati gli acquazzoni delle ultime settimane, mi precipito in stazione lasciando a metà un paio di questioni non di secondaria importanza: perdo l’intercity per una volta puntuale, becco al volo l’interregionale per Bologna.
Scendo al volo mi faccio inghiottire dal sottopassaggio e riemergo mentre l’eurostar per Roma sta chiudendo le porte: blocco col metatarso la chiusura di uno sportello, infilo la borsa del computer e faccio leva con il trolley. Non mi curo dei frammenti di ossa, pelle e unghie che rimangono sul marciapiede della stazione e cerco il mio posto, sudato davvero, sull’eurostar.
Niente tritapalle, per favore, prego fra me e me: metto la valigia sul portapacchi e mi siedo.
Dopo due minuti quello di fianco a me verso il finestrino deve uscire. Con le mani aperte da palmipede trattengo ipod, due libri, un quotidiano e il portatile, mi alzo e lo lascio uscire.
Mi risiedo, ma dopo mezzo capitolo del libro il vicino ritorna: mi rialzo e lo lascio passare.
Trascorrono dieci minuti e di nuovo si alza: o soffre di prostata e deve pisciare ogni cinque minuti, o è morso dall’inquietudine e dal male di vivere (in realtà sembra unodddderoma che vuole andare a fare due chiacchiere col suo amico nell’altro scompartimento).
Insomma, arrivo a Roma, dove mi attende lei: agriturismo, aspettaci, arriviamo.
Scopro, dopo i primi chilometri di raccordo intasato, che andiamo in Toscana; ma che bello, certo, non è vicinissimo.
Insomma, me ne torno verso casa per circa trecento chilometri.
Ma ne vale la pena, il posto è bellissimo, i gestori ospitali, tanto che appena posate le valigie ce ne andiamo a mangiare: la cena è come il primo allenamento di preparazione atletica dopo la pausa estiva. Non si riesce mai a veder la fine, e dopo gli assaggi delle varie pizze (solo mezza, solo mezza…..) penso di simulare un attacco di colite o un attacco cardiaco. Va beh, il tempo di trangugiare un caffè corretto alla sambuca (ma ti vuoi accontentare di quello? No di certo, lo seguono due o tre limoncini, e un grappino… e bevi questa che è più morbida….) e l’attacco di colite mi viene davvero. Mi maledico per avere evocato la colite mentre rannicchiato attorno alle mie budella in fiamme, a piccoli passettini per non scuotere troppo, riguadagno la camera e il confortevole bagno. Sarà stata l’aria condizionata, ma insomma, dopo un po’ sto meglio.
Vado a salutare e insieme a lei ce ne andiamo in camera.
Siccome non mi faccio mancare nulla percepisco l’aritmica presenza di qualche fibrillazione, ma non ci faccio caso.
Crollo in un sonno senza sogni, ma domani è un altro giorno.
Nel mattino azzurro e ancora fresco facciamo colazione: abbondante anzichenò, ma senza esagerare.
Poi ci attendono circa trenta chilometri di statali, provinciali, vicinali di uso pubblico e vere e proprie carraie, per raggiungere una bellissima caletta: raggiungere, per modo di dire.
Il parcheggio, manco a dirlo senza un albero, dista circa due chilometri dalla spiaggia. Ci incamminiamo insieme a questa specie di teoria di dannati che si dirigono all’Acheronte, spalle basse, sole cocente, sentiero a saliscendi. Famigliole con ombrellone, sdraio, frigobar e bambini; anziani con la canottiera bianca (lui) e il vestito a fiori (lei). Seguendo la lunga coda variopinta di sfollati finalmente giungiamo al termine del bosco e alla spiaggia, mani due spugne, fronte perlata, lingua appiccicata al palato. C’è un camion adibito a punto di ristoro, imploriamo qualche goccia d’acqua come il ricco Epulone, estraggono due bottiglie di naturale da una botola che probabilmente è collegata direttamente con il polo nord: strappo con i denti la linguetta di plastica, addento il tappo e lo svito, ma un attimo prima di trangugiare il litro odo il lontano urlo delle budella: fermati fermati, un’altra colite no!
Io non soffro affatto di colite, ma la cacarella in agriturismo, con il bagno a disposizione, è un conto: è ben diverso isolarsi in qualche anfratto in mezzo al bosco, stare all’erta per vedere che non arrivi nessuno, nettare il tutto con una certa approssimazione e magari con l’ausilio di qualche vegetale sufficientemente ampio e morbido.
Non volevo rischiare insomma.
Stendiamo i teli e mi butto a capofitto nella lettura. Pochi minuti e si comincia: dai vieni a fare un bagno? No vai tu, ti raggiungo…Ma dai, vieni in acqua che non resisto al sole….Guarda non me la sento ora, ti raggiungo fra poco….insomma però potresti anche fare un bagno insieme a me…..hai ragione cara, ma non me la sento, ti raggiungo poi, va bene?
Questa conversazione si riproduce pressoché sempre nella stessa maniera ogni mezz’oretta, salvo quando il bagno lo faccio davvero.
Dopo qualche ora, verso le quattro del pomeriggio, decidiamo di andare. Mi sposto appena dalla posizione nella quale sembravo scolpito e sale l’ululato di un tricheco: le spalle sono viola, chiazzate di decorative macchioline bianche in bassorilievo, la pancia striata di rosso, la schiena uniformemente fucsia.
Ho dimenticato che non è più il sole di una volta, e anche la mia pelle, per quanto spessa e olivastra, pare soffrire di più di un tempo.
Percorsi i due chilometri di trekking in mezzo al bosco arriviamo all’auto, che ormai ha raggiunto la temperatura di fusione. Indossando due tute d’amianto da vulcanologo entriamo nell’abitacolo: l’aria rappresenta la più realistica simulazione della venefica atmosfera di venere.
Ci accodiamo ad altre auto che attraverso carraia, vicinale d’uso pubblico e provinciale vogliono arrivare alla statale.
Non mi interessa il paesaggio, l’unica cosa che cerco con lo sguardo è una croce verde lampeggiante, ovunque essa sia: per fortuna capitiamo proprio addosso a una farmacia e mi rifornisco di pomate emollienti, sali minerali, spruzzi termali.
Lenito il dolore con una prognosi di quaranta giorni, ci prepariamo ad uscire a cena in un grazioso paesino medievale (uno dei mille) a poca distanza dall’agriturismo.
La piazzetta accogliente, proprio di fronte alla cattedrale, ci consiglia di sederci. Rimaniamo seduti per un’ora e mezza e riusciamo a mangiare tortelli alla maremmana sui quali i NAS avrebbero nutrito qualche riserva.
Una passeggiata, un gelato e poi di nuovo verso l’agriturismo.
Chiedo l’intervento dei vigili del fuoco che, con la massima cautela e con l’utilizzo di argani e scale, mi calano sul letto: per tutta la notte l’unico movimento, limitato, è quello della cassa toracica che si alza e si abbassa impercettibilmente. Cerco di scacciare le zanzare con la forza del pensiero, un pensiero-zampirone.
Al mattino sto un po’ meglio: le poche ore di sonno e gli unguenti di cui era cosparso il mio corpo mi danno sollievo.
Facciamo colazione e…..via in piscina! Per la verità ho insistito io per rimanere almeno al mattino (dovevo finire di leggere il libro). Mi sono rifugiato sotto un ampio ombrellone e sono sprofondato nella lettura. Dopo qualche minuto odo una voce: dai vieni a fare un bagno? No vai tu, ti raggiungo…Ma dai, vieni in acqua che non resisto al sole….Guarda non me la sento ora, ti raggiungo fra poco….insomma però potresti anche fare un bagno insieme a me…..hai ragione cara, ma non me la sento, ti raggiungo poi, va bene? Verso l’una e mezza siamo partiti per tornare a Roma, circa trecento di chilometri di asfalto e aria smerigliata dall’afa.
E io che pensavo che il riposo fosse Villa Borghese, un libro, un cine alla sera, ‘na pizza…..

 
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