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La tenerezza dei lupi

Post n°57 pubblicato il 02 Novembre 2008 da variazionegoldberg

Bisognerebbe chiedere a Stef Penney il perchè di questo titolo: i lupi non c'entrano nulla, se non per una presenza costante ma discreta, per nulla invadente, lungo tutti i faticosi viaggi a piedi dei protagonisti; o per un attributo che viene assegnato a una dei personaggi.
E' un romanzo che ha del noir tradizionale lo schema fondamentale: viene commesso un delitto in una comunità del Canada, poco dopo il 1850. Poche famiglie, la caccia e la cattura di animali da pelliccia come fondamentale occupazione, una Compagnia che organizza e gestisce tutte le attività, compresa quella giudiziaria.
Scompare un giovane, che abitava vicino alla vittima e ne era amico, e ovviamente viene sospettato.
Le sue tracce, insieme a quelle di un altro misterioso personaggio, conducono verso un isolatissimo villaggio, al quale il giovane giunge stremato.
Verrà seguito prima da uomini della Compagnia, che dovevano indagare sull'omicidio, quindi dalla madre accompagnata da un mezzosangue sospettato di essere l'omicida.
In realtà, è un romanzo che non ha il passo e il ritmo del noir, piuttosto ricorda il primo Cormack McCarthy, quello di Oltre il confine o cavalli selvaggi; a volte ha il passo regolare ma per nulla urgente dei lunghi tragitti invernali dei cacciatori di pelli, che tracciano le vie lungo le quali anche i protagonisti si avventurano.
Sul paesaggio completamente bianco di neve i personaggi disegnano con pochi tratti i loro caratteri. Bisogna dire che le donne appaiono davvero ben costruire, sfaccettate, sfumate, tonali, mentre gli uomini sono di materia un po' più grossolana.
Una di loro è la voce che si alterna in soggettiva alla narrazione in terza persona, fornendo una prospettiva personale, a volte intima, alla vicenda.
Particolare è l'uso del presente: tutti i protagonisti agiscono in una serie di fotogrammi che si susseguono, e appunto questa modalità narrativa fa già pensare ad una sceneggiatura, anche se non serve a rendere più "urgente", immediata e partecipata la vicenda.
Non mi stupirei se ne facessero un film, come ormai accade molto frequentemente.
Non ho capito, senz'altro per un mio limite, la funzione di una vicenda che viene collocata un po' sullo sfondo, ma poi diventa prepotentemente attuale verso la fine, anche se rimane del tutto collaterale rispetto alla narrazione e, almeno all'inizio, pareva avere la sola funzione di introdurre un personaggio e magari dare una coloritura di mistero a quella monotona, piccola comunità.
In questo ambiente rarefatto, di poche persone, pochi colori oltre al bianco della neve, risalta la capacità di cogliere il gesto, la sfumatura di quanto non viene detto fra i personaggi, più che quanto viene espresso nelle conversazioni.
Diciamo infine che poteva magari accorciarlo di un centocinquanta pagine (ne è 450) e nessuno si sarebbe lamentato.
Ha vinto un importante premio letterario, come viene ricordato dall'immancabile fascetta che sadicamente strappo appena fuori dalla libreria.

 
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