In memoriam

Post N° 16


4 NOVEMBRE 1921: un povero soldato senza nome viene tumulato a Roma...IL MILITE IGNOTO, EROE SENZA RETORICA DELL'"INUTILE STRAGE"Scelto da una donna friulana tra 11 salme senza nome riesumate sui nostri più terribili e sanguinosi campi di battaglia, il soldatino fu adottato da tutti e divenne il simbolo di un Paese orbato della sua gioventùdi Elena Percivaldi
Alla fine, il rombo del cannone tacque. E arrivò il momento di piangere i morti. La Grande Guerra  era finita, e in quasi cinque anni i caduti su entrambi in fronti erano stati quasi 10 milioni. Un’ecatombe dalle proporzioni mai viste, difficile da comprendere e ancor più da metabolizzare, sia a livello di singoli che come collettività.  ALLA RICERCA DELLE SALMEAl termine della Grande Guerra in tutte le nazioni belligeranti si procedette all’opera pietosa di ricerca delle salme dei caduti e alla tumulazione dignitosa sia degli insepolti che di coloro ai quali i commilitoni avevano offerto una sepoltura  di fortuna. In Italia allo scopo fu costituita una Commissione nazionale per le onoranze, composta  da 150 ufficiali, 35 cappellani e circa 7mila soldati, in parte di Sanità, agli ordini di un colonnello. Il lavoro da svolgere era immane: i soldati italiani morti in battaglia erano stati circa 680mila, ma tra i compiti della Commissione vi era anche quello, altrettanto pietoso, di recuperare i corpi dei caduti alleati ed anche avversari. Un compito che fu svolto con grande partecipazione e dignità.ONORE AGLI EROI NAZIONALIFu in questo clima toccante e composto che venne fu partorita un’idea  davvero geniale e destinata a grande successo anche fuori dai nostri confini nazionali:  onorare gli eroismi e i sacrifici dell’intera comunità  tumulando nel Pantheon,  a Roma, quale simbolo di tutti i combattenti caduti e viventi, la salma di un soldato sconosciuto. Un povero ragazzo come tanti, morto su un campo di battaglia, destinato a diventare per tutta la nazione il figlio, il padre, il marito che aveva dato la vita per la Patria. A maturarla fu il colonnello Giulio Douhet, e a ricostruirne la storia è stato   il colonnello Lorenzo Cadeddu in un libro davvero esemplare: “La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria” (Gaspari Editore, pp. 218, e 10.33). Ecco come andarono le cose.11 CAMPI DI BATTAGLIAIl primissimo passo fu quello di costituire un’apposita commissione  incaricata di ricercare sui nostri campi di battaglia più tristemente famosi - Castel Dante presso Rovereto,  Monte Pasubio, Monte Ortigara, Monte Grappa, Montello,  Basso Piave, nei pressi di Cortina, sul Rombon, sul San Michele,  a Castagnevizza (oggi Kostnjevika, Slovenia),  alle Fonti del Timavo  - undici salme di soldati sconosciuti.   In ciascuna località, la Commissione ricercò dapprima salme di  dispersi. Riuscì a rinvenirne solo sul San Michele e a Castagnevizza: sugli altri campi, invece, si dovette ricorrere all’esumazione dei corpi dai cimiteri di guerra che erano stati improvvisati nei pressi. Una volta composte le salme, riposte ciascuna in una cassa di legno identica alle altre e scortata da un picchetto d’onore, gli undici feretri furono trasportati tutti insieme a Gorizia, «città martire». UNA MADRE, UN FIGLIOQui un’altra commissione ebbe il compito di scegliere, tra le tante, la madre di un caduto che, nella Basilica di Aquileia, avrebbe indicato, fra le undici bare, quella che avrebbe dovuto raggiungere Roma. La prescelta fu Maria Bergamas, nata Blasizza, un’umile popolana originaria del Friuli, che però aveva vissuto quasi sempre a Trieste; suo figlio Antonio, nato a Gradisca, volontario irredento, sottotenente di Fanteria, Medaglia d’oro, era caduto nel 1918 sul Cimone. Il suo corpo, dapprima inumato, era poi scomparso in seguito a un violento bombardamento, che aveva sconvolto i tumuli. L’indicazione della bara rappresentò l’episodio più straziante delle intere celebrazioni; e nella basilica furono moltissimi, non solo le donne, anche gli uomini, che non riuscirono a trattenere le lacrime. Terminata la cerimonia, le salme dei dieci «militi ignoti» raggiunsero, accanto a quello del maggiore Giovanni Randaccio, amico di Gabriele  D’Annunzio e morto nel 1917, il sacello che le avrebbe custodite per sempre.  Per il «Milite Ignoto» ebbe inizio il lungo viaggio verso Roma; un apposito carro ferroviario era stato realizzato, in modo che l’affusto di cannone sul quale era collocata la cassa risultasse visibile da ogni lato. Venezia, Bologna, Firenze, Arezzo: ben 120 furono le soste, più o meno ampie, sempre tra fittissime ali di popolo silenzioso e commosso; gli organizzatori avevano fatto in modo che l’intero Paese divenisse teatro della manifestazione.
IL «MILITE IGNOTO» Il 4 novembre 1921, terzo anniversario della vittoria  per l’Italia, a Roma, presenti il Re e tutti i principi della Casa Reale, le cerimonie toccarono l’apice anche della solennità, sempre al suono dell’«Inno al Piave», composto nel 1918 da Giovanni Gaeta, un impiegato viaggiante del Ministero delle poste, sotto lo pseudonimo di E.A. Mario. La cerimonia religiosa si svolse nella Basilica di Santa Maria degli Angeli in Piazza Esedra; poi Piazza Venezia a l’«Altare della Patria», monumento del ricordo.Al Milite Ignoto fu concessa la medaglia d'oro con questa motivazione: «Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria». 
 L’onorevole Luigi Gasparotto (volontario a 42 anni, 3 medaglie d’argento, una di bronzo) all’epoca ministro della Guerra, affermò che, con quelle onoranze tanto sentite da tradursi in una partecipazione davvero corale, il presidente Ivanoe Bonomi aveva realizzato l’«unità morale di tutti gl’italiani». È un fatto che intorno al simbolo del «Soldato sconosciuto», un popolo intero, dimenticando per quel momento tutte le ideologie contrastanti s’era trovato come amalgamato. Fu la prima e unica volta che, anche a livello politico, si riuscirono a superare le divisioni. Anche tra chi, nel terribile “maggio radioso” del 1915, era stato contrario alla guerra. In quel giorno lo spirito  rimase uno solo: ricordo, ammirazione, commozione, cordoglio, riconoscenza nei confronti di quanti avevano perso la vita in un conflitto tanto inutile quanto sanguinoso.  E che oggi, a novant’anni di distanza,  non possiamo né vogliamo  dimenticare.  Per approfondire: Lorenzo Cadeddu, "LA LEGGENDA DEL SOLDATO SCONOSCIUTO ALL'ALTARE DELLA PATRIA", Gaspari Editore