In memoriam

Post N° 23


I soldati dimenticati della Valle ImagnaIl piccolo comune di Sant’Omobono Terme, in provincia di Bergamo, ha recentemente dedicato un'accurata pubblicazione in memoria dei suoi caduti e reduci delle guerre del Novecento. Un esempio da imitareNella Valle Imagna, poco più a Nord di Bergamo, sorge Sant’Omobono Terme, un piccolo comune che oggi conta circa 3200 abitanti. Un posto relativamente tranquillo, lontano dal caos delle metropoli moderne. Circa 90 anni fa, quando la Grande Guerra svolgeva le sue sanguinose trame sui fronti di mezza Europa, l’attuale Sant’Omobono era frazionato nei tre comuni di Selino, Cepino e Mazzoleni, che sarebbero stati unificati in una singola entità amministrativa solo nel 1927, in epoca fascista. I tre villaggi dovevano essere centri agricoli collinari come tanti altri in quell’ameno angolo di Lombardia Orientale, dove al tempo degli antenati avevano prosperato i Galli Cenomani. Pochissimi, probabilmente nessuno, i veicoli a motore, ancora rari e preziosi come gemme misteriose e inquietanti. Sentieri e strade sterrate percorsi da carretti trainati da cavalli o buoi, e guidati da contadini carichi di fatica. Nell’Anno Domini 1915, i paesi bergamaschi in seguito uniti sotto il nome Sant’Omobono dovevano formare uno dei quei luoghi in cui ancora si viveva un tempo quotidiano senza catene, scandito dal susseguirsi dei cicli naturali, dal rincorrersi del sole e della luna, come dal carosello delle stagioni. Uno di quei paesi, insomma, in cui mai e poi mai uno si immaginerebbe che la guerra possa arrivare. Gli abitanti della zona proseguivano la loro placida vita anche se da diversi mesi giungevano notizie sul conflitto che dall’agosto 1914 vedeva già impegnate le maggiori potenze europee. Mentre si campava ripetendo gesti antichi, come intagliare il legno o cavar pietre dal sottosuolo, si sentivano le lontane eco di una catastrofe incredibile. Dai pochi giornali circolanti in quei tempi si apprendeva che da qualche parte, molto lontano dalla propria casa, la tal nave era stata affondata da uno strano battello che navigava sotto la superficie del mare. Altrove, nella mitica Parigi, gli abitanti si erano spaventati a morte perchè un tedesco dal nome difficile era arrivato fin sopra alle loro teste a bordo di uno di quei nuovi affari che volavano come aquile...aeroplani li chiamavano, o qualcosa del genere. In un altro posto, dove correva un fossato lungo molto più che da qui a Bergamo, tanti soldati erano morti soffocati da un diabolico fumo che bruciava gli occhi.  “Dove si sarebbe andati a finire?”, pensavano quei contadini, quegli artigiani, quei minatori...I segnali si fecero sempre più preoccupanti, finchè da una capitale lontana si decise che anche quei tranquilli villaggi sarebbero stati scagliati nel disastro. UN BRUTTO GIORNO DI PRIMAVERA...Arrivò così quel brutto giorno di primavera, il 24 maggio 1915, in cui il Regno d’Italia non volle essere da meno delle altre potenze e si buttò a capofitto nella gigantesca rissa fra nazioni. Nei seguenti tre anni e mezzo anche i giovanotti di Sant’Omobono parteciparono loro malgrado a quel macello e alla fine della guerra si contarono i morti. Dagli elenchi ufficiali, per la Prima Guerra Mondiale i caduti dei villaggi riuniti successivamente in Sant’Omobono Terme assommano a 66. Uomini e ragazzi strappati ai loro cari, con gravi conseguenze anche sui bilanci famigliari, data la sottrazione all’economia locale di decine di giovani lavoratori, molti dei quali erano già padri. Il più “anziano” tra coloro che non tornarono più era un certo Angelo Manini, nato il 2 agosto 1879, che morì sulla soglia della quarantina. Il più giovane era invece poco più che un ragazzino. Si chiamava Fioravante Frosio ed era venuto al mondo il 4 dicembre 1900, all’alba di quel secolo XX che doveva suscitare speranze di progresso, ma che invece si rivelò una foresta di lupi. Questi due caduti rappresentano in piccolo, per il comune della Valle Imagna, gli estremi anagrafici del generale assottigliamento numerico che subì in quei tempi la popolazione maschile europea. Con la Grande Guerra, infatti, l’Europa vide praticamente decimata un’intera generazione di giovani uomini in età militare, quelli nati più o meno fra il 1870 e il 1900, e che quindi durante il conflitto 1914-1918 avevano grossomodo fra i 18 e i 48 anni.
E’ per onorare la memoria di questi caduti, e di quelli delle altre guerre del Novecento, che il comune di Sant’Omobono Terme ha pubblicato, col patrocinio della Regione Lombardia, due volumi, abbinati in un cofanetto, che ricostruiscono mezzo secolo di storia italiana, quel mezzo secolo in cui sono comprese entrambe le guerre mondiali, vista attraverso gli occhi di una comunità della Valle Imagna. I volumi, intitolati rispettivamente “Caduti e dispersi” e “Combattenti e reduci”, raccolgono preziose testimonianze inerenti soprattutto la Seconda Guerra Mondiale e la lotta partigiana. Questo per ovvie ragioni dovute al fatto che i testimoni diretti e i protagonisti degli avvenimenti del 1940-1945 sono ancora vivi (o comunque lo erano ancora fino a pochissimi anni fa) e hanno potuto rilasciare recenti interviste ai curatori dei libri. Tuttavia non mancano notizie sulla più antica Grande Guerra, di cui i testimoni sono ormai scomparsi. Notizie che sono state desunte dagli elenchi dei caduti e dai numerosi documenti che trattano degli stati di servizio dei mobilitati, nonchè delle eventuali decorazioni. E così possiamo ricostruire varie storie di soldati che da quel grigio giorno di primavera (anche se in realtà soleggiato) furono costretti a 3 anni di lotta feroce contro l’Impero d’Austria-Ungheria.MORTE DI DUE FRATELLIDai fogli matricolari presi in esame emergono tanti destini di uomini del passato, nonchè perfino la loro descrizione fisica, dalla statura ai capelli, dal colorito allo salute dei denti. E’ una vera miniera non solo dal punto di vista della memorialistica militare, ma anche dell’antropologia. Ne emerge il quadro fisico della popolazione maschile della Valle Imagna di 90 anni fa, caratterizzato da una statura media di circa 1 metro e 67 (inferiore a quella di oggi), capelli di solito lisci e castani, pelle rosea, fronte alta e bocca di forma regolare con dentatura in genere sana. Un “ritratto” che, esclusa la statura (il cui aumento negli ultimi 40 anni pare dovuto ai miglioramenti nella dieta), si è mantenuto abbastanza costante fino a oggi (a parte, è ovvio, l’infiltrazione di popolazioni estranee). Riguardo ai dati sociali, apprendiamo che per la maggior parte i giovani di Sant’Omobono nati a fine Ottocento svolgevano il mestiere di contadino o boscaiolo, ma godevano del titolo di studio di terza elementare, dunque sapevano leggere e scrivere. Per alcuni di loro il maggio 1915 non rappresentò il battesimo del fuoco. Vi era chi già aveva fatto la Guerra di Libia del 1911-1912, anche se in quel caso non vi era stata una mobilitazione generale. E’ il caso ad esempio di Carlo Benedetto Cassotti, nato il 19 settembre 1890 nel villaggio di Mazzoleni, che dopo il servizio militare in artiglieria era stato  spedito in Africa. Era il 15 ottobre 1911 quando Cassotti si era imbarcato a Palermo col suo reparto, la 26° Batteria da Montagna, per raggiungere la Tripolitania a combattere contro i Turchi. Non immaginava che sarebbe stato richiamato alle armi il 9 maggio 1915 per lottare contro un nuovo nemico. Fu al fronte fino all’aprile 1916, per poi essere probabilmente assegnato ai servizi. In seguito, il 24 febbraio 1918, fu assegnato alla 22° Compagnia Presidiaria del Distretto Militare di Bergamo e, come si legge nei documenti, “lasciato a disposizione della Società Edison di Paderno d’Adda”, forse per fare da sentinella agli impianti idroelettrici e scongiurare eventuali sabotaggi. Per ironia della sorte, morì non per ferite di guerra, ma per malattia (come molti altri soldati dell’epoca) il 18 ottobre 1918. Anche suo fratello minore Vittorio era stato spedito in guerra, ma era morto in combattimento due anni prima di Carlo, con tanto di medaglia postuma. Nato il 21 giugno 1895, Vittorio Cassotti era di leva allo scoppio del conflitto, in forza dal 19 gennaio 1915 al 21° Reggimento Fanteria. Conobbe presto le disgrazie del fronte carsico e trovò la morte nel tentativo di aiutare dei compagni. Era il 2 luglio 1916 quando, presso Monfalcone, cercò di coprire con un lancio di bombe a mano i commilitoni che tentavano di recuperare una mitragliatrice sotto il tiro austro-ungarico. Si espose e venne ferito così gravemente che spirò il giorno dopo. Gli venne concessa una Medaglia d’Argento con questa motivazione ufficiale: “Caduti alcuni serventi di mitragliatrice e stando questa per essere presa dal nemico, munitosi di bombe si lanciava in avanti per dar tempo ai compagni di salvare l’arma, ma veniva colpito a morte”. UN TELEFONISTA “KAMIKAZE”Una medaglia non poteva certo consolare i coniugi Giuseppe Cassotti e Caterina Dolci per la perdita del loro figlio, tantopiù che, come abbiamo visto, un paio d’anni dopo gli straziati genitori avrebbero pianto anche il primogenito Carlo.
La guerra, in un modo o nell’altro, ghermiva tante vite e le decorazioni potevano solo essere un riconoscimento esteriore della forza d’animo dimostrata da quegli uomini nel sopportare un inferno del genere. Diverse furono le decorazioni concesse agli uomini di Sant’Omobono Terme in quegli anni tremendi, troppo spesso per azioni senza dubbio coraggiose, ma alle quali i militi non erano purtroppo sopravvissuti. Come la terribile avventura di un soldato d’artiglieria che continuò fino alla fine a trasmettere col suo telefono da campo nonostante la sua postazione fosse cannoneggiata dal nemico. Carlo Tobia Frosio, questo il suo nome, era nato a Selino il 18 giugno 1894 da Melchiorre e da Angela Locatelli. Anch’egli stava svolgendo il regolare servizio di leva quando l’Italia era entrata in guerra. Operante col 9° Reggimento Artiglieria da Campagna, il ragazzo arrivò sul fronte del Carso il 27 maggio 1915, tre giorni dopo lo scoppio del conflitto. Al termine della sua giovane vita mancavano solo 6 mesi di trincea fangosa, di brulicanti pidocchi e di assordanti cannonate. Il 25 novembre 1915 moriva infatti a Gradisca, in seguito alle ferite riportate sul Monte San Michele. Frosio era stato assegnato come telefonista a uno di quegli osservatòri avanzati che fornivano utili informazioni alle batterie d’artiglieria italiane. Le trasmissioni erano essenziali per correggere il tiro dei nostri cannoni, senonchè anche un osservatorio costituiva di per sè un ghiotto bersaglio per cannoni e obici austriaci. Così, quasi ai limiti della missione “kamikaze”, il soldato bergamasco aveva seguitato a compiere la sua missione nonostante i colpi nemici diretti contro l’osservatorio si fossero fatti di volta in volta più precisi. Con la cornetta del telefono aveva trasmesso dati preziosi incurante del fuoco avversario, per poi ritrovarsi in fin di vita in una frazione di secondo. Una Medaglia d’Argento postuma era davvero il minimo, accompagnata dalla seguente citazione: “Quale telefonista continuava, per vari giorni, a prestare servizio con mirabile calma, benchè l’osservatorio dove egli si trovava fosse interamente battuto dall’artiglieria avversaria, fino a che non venne colpito a morte”. Non tutti i decorati lo furono in modo postumo. Antonio Perrucchini, del villaggio di Mazzoleni, ebbe una meritata Medaglia di Bronzo un anno prima di morire. Era nato il 5 novembre 1892, figlio di Antonio e Angela Borella, e aveva sotto le armi anche il fratello maggiore Elio (classe 1890), che aveva fatto la Guerra di Libia e che sarebbe morto nel giugno 1917 vicino a Gorizia. Dopo una leva prolungata e un periodo di guarnigione nelle colonie africane, Antonio era stato trasferito sul fronte delle Alpi Orientali il 10 luglio 1916. Divenne caporale della 121° Compagnia Mitraglieri, nell’ambito dell’81° Reggimento Fanteria, e si distinse nei combattimenti a Belpoggio, vicino a Gorizia. Era il 19 agosto 1917 e il caporale Perrucchini, stando alla citazione, “con sprezzo del pericolo e grande ardimento accorreva dove più forte era la resistenza del nemico, concorrendo a sopraffarlo e a metterlo in fuga”. Per sua sfortuna, sopravvisse solo fino al 21 agosto 1918. UN SERBATOIO DI ALPINIDalla Valle Imagna e dalle frazioni di Sant’Omobono in particolare, parecchie furono le reclute indirizzate nel Corpo degli Alpini. Due di costoro ebbero modo di distinguersi sul Monte Ortigara a poche settimane l’uno dall’altro. Infatti il 15 giugno 1917 l’Alpino Giuseppe Bedognè, nato a Cepino, si meritò la Medaglia di Bronzo prestando soccorso ai compagni feriti nonostante l’intenso fuoco nemico. Negli stessi luoghi, ma il 19 agosto, un altro alpino del paese, Davide Locatelli, di Selino, contribuì alla conquista di una postazione e alla cattura di alcuni austro-ungarici con una brillante azione così descritta a livello ufficiale: “Durante un’azione fu sempre fra i primi del suo plotone, dimostrando ardimento di noncuranza del pericolo. Con intelligente iniziativa si recò poi, solo ed attraverso una zona intensamente battuta, allo sbocco di una galleria, impedendo così la fuga di del presidio nemico, che fu fatto interamente prigioniero”. Anche la “Guerra Bianca” vide agire uomini di Sant’Omobono. Nel celebre scontro in alta quota del Passo Presena, avutosi il 25 maggio 1918, il caporalmaggiore Giuseppe Casari, di Cepino, salvò la vita a molti commilitoni del suo 5° Reggimento Alpini. Si appostò in posizione pericolosa, ma favorevole, con una pistola-mitragliatrice e fornì un’adeguata copertura. Ecco la cronaca dell’evento, che fruttò a Casari la Medaglia d’Argento: “Durante l’attacco di un’aspra e difficile posizione nemica, accortosi che una mitragliatrice impediva l’avanzata dei nostri, non esitava ad appostare una mitragliatrice-pistola in terreno scoperto per controbattere l’arma avversaria e, nonostantela perdita di alcuni uomini, non abbandonava il proprio posto se non dopo averla ridotta al silenzio. Più tardi, durante un contrattacco nemico, per poter svolgere più efficace azione di fuoco, appostava l’arma in luogo pericolosissimo, contribuendo in tal modo grandemente alla vittoria. Splendido esempio di eroismo e abnegazione”. Questi tre alpini santomobonesi sopravvissero al conflitto, ma non mancarono anche nelle famose truppe di montagna coloro che morirono, spesso a causa delle cattive condizioni di vita. Per esempio Ezechiele Rota, nato il 3 febbraio 1885 a Mazzoleni e richiamato all’età di 30 anni, nell’ottobre 1915. Promosso da caporale a caporalmaggiore, e poi a sergente, Rota prestò servizio nel 4° Reggimento Alpini ma si ammalò e spirò in un ospedale da campo il 3 ottobre 1917. La catastrofe aveva inghiottito tanti giovani dei villaggi della Valle Imagna e quando nel novembre 1918 tutto finì, parve come se il mondo, dopo essere disceso nella tenebra più profonda, fosse intenzionato a risorgere come un’alba dalle mille speranze. Ma nè i santomobonesi, nè chiunque altro, immaginavano che nel giro di vent’anni si sarebbe preparato un nuovo massacro, la Seconda Guerra Mondiale, col suo carico di ferocia. La piccola comunità avrebbe così attraversato una seconda volta l’abisso, costretta a vivere sulla sua pelle un calvario di dimensioni incredibili, le cui ragioni sfuggivano al di là di quegli orizzonti segnati dai monti...  M.M.Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia, Comune di Sant'Omobono TermeCaduti e dispersi. Notizie tratte dai documenti militari ufficiali sui soldati di Sant'Omobono Terme nelle guerre del NovecentoA cura di Angelo InverniciEdizioni Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, 2004