In memoriam

Post N° 27


 Il dilemma: da che parte stare?L’odissea dei Trentini, sudditi dell’Impero Austro-ungarico,  spediti a Est per combattere contro la Russia zarista 
Quando l’Europa fu travolta dalla Prima Guerra Mondiale, una vasta comunità alpina di lingua italiana prosperava ancora al di fuori dello Stato con capitale Roma. Il Trentino, insieme a Trieste e all’Istria, era l’ultimo residuo dei domini italiani dell’Austria, che fino alle guerre del 1859 e 1866 avevano compreso anche il popoloso Regno Lombardo-Veneto. I Trentini vivevano così da oltre 550 anni. Fin dal lontano 1363, infatti, la regione era entrata a far parte dei possedimenti del Duca d’Austria Rodolfo IV d’Asburgo. Nel 1914 l’ultraottantenne Francesco Giuseppe (era nato nel 1830) regnava ancora sull’Impero. Soprannominato affettuosamente “Cecco Beppe”, l’Imperatore asburgico era forse il più amato sovrano d’Europa, con quei suoi rassicuranti baffoni. Come devoto servitore del Cattolicesimo, il monarca era inoltre un simbolo che riuniva in sè paternalismo e fede, retaggio di un mondo in via d’estinzione. UN MANIFESTO CATTURA I SUDDITI
Insieme ai più vari popoli dell’Impero, come i Bosniaci musulmani o gli Slavi ortodossi, i Trentini e i Triestini cattolici affronatavano ora una guerra che non comprendevano per un Paese che, al di là della devozione per il sovrano, appariva un contenitore più che una vera patria. Sui muri di Trento, di Rovereto e dei più piccoli villaggi, venne affisso il 31 luglio 1914 il manifesto in lingua italiana che chiamava alle armi gli abitanti della provincia. “Sua Maestà Imperial e Regia Apostolica si è degnata di ordinare la mobilizzazione generale”, così esordiva il bando, che poche righe più in basso intimava a tutti gli uomini di età compresa fra i 21 e i 42 anni di presentarsi entro le successive 24 ore ai più vicini distretti militari per la visita di leva e l’arruolamento. Ben 40.000 furono i soldati trentini incorporati nelle forze armate imperiali fin dal primo anno di guerra. La cifra sarebbe salita nel 1915 a un totale di 60.000 uomini, dopo che l’allargamento del conflitto, spinse gli Austro-ungarici a estendere l’età di arruolamento fino ai 50 anni. Molti Trentini lasciarono testimonianze scritte delle loro esperienze nell’Armata Imperiale, a cominciare dall’arruolamento. Il muratore Mario Raffaelli, del villaggio di Volano, si trovava ad Arco nei giorni della mobilitazione e solo il 1° agosto si rese conto di quanto stava succedendo. Leggiamo i suoi ricordi: “Non appena incominciato il lavoro vidi un gironzio di gente, un sussurrio, un distramento nel popolo che dava qualcosa d’aspettare. E cos’è successo! Era circa le 8 quando si appressò a me una guardia interogandomi se anch’io avessi fatto militare una volta. Sicuro! Io gli risposi. L’anno scorso ho fatto 2 mesi in Innsbruck”. Il gendarme invitò Raffaelli a salutare la sua famiglia e ad affrettarsi a raggiungere in treno il suo reggimento. “Era le 4 e mezza - prosegue il diario - quando arrivò il treno in stazione. Circa 90 eravamo per la partenza. Saliti in treno che fummo, tutti auguravano un presto ritorno. Chi piangeva, chi urlava, chi era stupidito a vedere una cosa così spaventosa”. Di questo muratore si sa che fu ferito sul fronte orientale, rimpatriato e assegnato alla Milizia Territoriale. Ne approfittò per scrivere, nel 1916, le sue memorie. Ma quanti che erano sul suo stesso treno finirono invece a decomporsi nel sottosuolo delle Russie?A EST LOTTA FRA TITANI
La maggior parte dei Trentini arruolati tra gli Austro-ungarici fu mandata a Est contro i Russi, soprattutto dopo l’entrata in guerra dell’Italia, forse per sottrarli a diserzioni etnico-politiche. Il loro avversario doveva dimostrarsi coriaceo. Guidato dallo Zar Nicola II, l’Impero Russo disponeva di forze numerosissime, grazie all’inesauribile potenziale umano dato dai 150 milioni di abitanti di quello Stato mastodontico. L’esercito russo era stato assai lento a mobilitarsi ed era meno moderno di quelli occidentali, ma una volta avviata, la sua massa si rivelò minacciosa. Sull’ala Nord del fronte orientale, contro la Germania, i Russi erano già lanciati verso Berlino nelle prime settimane di guerra. I Tedeschi erano riusciti però a fermarli con le celebri battaglie di Tannenberg, tra il 26 e il 30 agosto 1914, e dei Laghi Masuri (9-15 settembre). In particolare era stata cocente la sconfitta di Tannenberg, dove la II Armata Russa del generale Samsonov era stata accerchiata e letteralmente disintegrata dal generale tedesco Hindenburg, che aveva ripreso l’identica trappola a tenaglia ideata dal condottiero cartaginese Annibale nel 216 avanti Cristo. A Sud le cose andavano diversamente ed era l’Impero Asburgico ad avere la peggio. Fra l’8 e il 12 settembre 1914 i Russi batterono gli Austriaci nella battaglia di Leopoli (oggi L’vov, in Ucraina) e avanzarono in Galizia, attestandosi a svernare sulla catena dei Carpazi. All’esercito dell’impero slavo si apriva ora la pianura ungherese e solo a prezzo di furiose lotte i soldati asburgici avrebbero potuto scongiurare il pericolo. In primavera il feldmaresciallo Conrad von Hotzendorff, Capo di Stato Maggiore austriaco, propose un’offensiva nel settore compreso fra i villaggi di Gorlice e Tarnow. Su una linea di 50 km furono così concentrate due armate austro-ungariche e una tedesca. L’attacco iniziò il 1° maggio 1915 e dopo 24 ore le linee russe già crollavano, tanto che si fecero 17.000 prigionieri. Entro il 14 maggio gli Austro-Tedeschi erano avanzati di 100 km e a fine settembre il fronte si era stabilizzato passando presso il Fiume Dnestr. In quel calderone di sangue e fango tanti Trentini soffrivano e morivano pensando ai loro affetti e alle loro case fra le lontanissime valli dove erano cresciuti. INSUBORDINAZIONENella furia degli scontri a Oriente, molti stolti ufficiali condannavano a morte certa i loro uomini spingendoli assurdamente ad avanzare contro fitti sbarramenti di pallottole. In tali frangenti non erano pochi i soldati trentini che preferivano disertare o farsi catturare dal nemico pur di avere salva la vita. Accadde ad esempio il 3 settembre 1915 ad Alfonso Cazzolli, nato a Tione nel 1887 e nella vita civile tipografo, che così ricordò: “Vedo uno spettacolo orribile, gli Austriaci cadevano a frotte, fra l’artiglieria russa, le mitragliatrici e le armi (...) vedo l’ufficiale magiaro a pochi passi da me, con la rivoltella in mano costringeva tutti a proseguire oltre, fu allora che mi venne decisione, presi la mia arma, la punto ben bene e lascio partire il colpo, altro non so, è caduto...morto?...non so altro”. Dopo aver abbattuto l’ufficiale ungherese, il soldato Cazzolli, insieme al compagno Luigi Malpocher, progettò di consegnarsi ai Russi una volta calata l’oscurità “e terminar così quella vita triste”. Riparatisi in una piccola buca a 100 metri dai Russi, aspettavano la notte, ma mentre era ancora chiaro, verso le 17.00, una fucilata improvvisa uccise sul colpo Malpocher. Strazianti le parole dell’amico: “Il povero Luigi era morto, ma non ero persuaso, mi sembrava impossibile che fosse morto, così senza pronunciare una parola, senza un lamento, senza un sospiro, senza una parola al suo compagno che lo amava tanto più che fratello. Di nuovo tento la prova, provo il cuore, tento di aprirgli la bocca, era inutile, le sue carni erano fredde, il povero Luigi era morto! La palla russa era penetrata sopra l’orecchio sinistro e sortita fra l’orecchio e l’occhio destro, era passata dalle cervella”. Alfonso Cazzolli riuscì invece a sopravvivere nei campi di prigionia russi. Sarebbe tornato a casa, vivendo fino al 1969 e forse pensando spesso all’amico Luigi che non ce l’aveva fatta. La guerra dell’Est, dopo la stasi del secondo inverno, stava intanto per conoscere nuove vette di impeto e brutalità. L’Armata dello Zar si preparava a scatenare una nuova offensiva che avrebbe travolto lo schieramento austro-ungarico.    LE ORDE DI BRUSILOVUn po’ più a Sud delle inospitali paludi del Pripet, il generale russo Alexei Brusilov concentrò massicce forze e fece scattare dal 4 giugno 1916 una possente avanzata che sorprese gli Austriaci. Sfondate le linee avversarie, i Russi attaccarono senza sosta fino al 15 agosto, mentre il nemico in ritirata si lasciava dietro ben 200.000 prigionieri. La Bucovina e gran parte della Galizia furono di nuovo occupate, prima che l’esercito zarista si arrestasse esausto, essendosi troppo allungate le sue linee di rifornimento. Fra i Trentini che in quei giorni terribili tentavano invano di fermare le orde infinite di Brusilov c’era anche un “richiamato” relativamente anziano che lasciò un dettagliato diario della sua biennale esperienza sul fronte orientale, durata dal 1915 al 1917.
Si trattava del contadino Massimiliano Sega, nato a Sega di Vallarsa nel 1873 e dunque più che quarantenne negli anni della Grande Guerra. Ecco la sua descrizione “naif” del fronte (l’originale era troppo sgrammaticato e ne abbiamo fatta un’approssimativa parafrasi): “La mattina arrivo nella trincea, vedendo i Russi e le bombe bombare. Girando tutta la notte arrivo in un paesello alle 6 di mattina. Resto tutto il giorno e parto alle 9 di sera. E vado in trincea a mezzanotte. Resto a guardare fuori dalle feritoie a sentir sparare i Russi. Comincio a faticare tutto il giorno e tutta la notte. Se continuo così mi toccherà morire in poco tempo di stenti. Povero Massimo, a che passi ti sei ridotto!”. Il fante-contadino prosegue lamentando il fatto di non poter comunicare coi compagni stranieri, che vengono dai quattro angoli del multietnico Impero Austro-ungarico e di cui ignora la lingua, nonchè la sua condizione di anziano in mezzo a tanti ventenni: “Non posso raccontare il soffrire che faccio quì a questi militari, non capisco la lingua, se non a gesti. E poi loro sono giovani di 22 o 25 anni e io un poveretto di 43 anni. Come farò, se non mi aiutano Dio e Maria?”. Mentre la morte aleggia su tutto e tutti, la fame accompagna il contadino, che ha con sè soldi inutili in un posto dove non esistono negozi: “In questi giorni patisco tanta fame, povero Massimo! In tasca si trovano 48 Corone, ma quì non si può spendere proprio niente”. IMPERI ALLO SFASCIOIl 21 novembre 1916 moriva l’Imperatore Francesco Giuseppe, cui succedette il giovane Carlo I. Era la prima, simbolica, avvisaglia del disfacimento dell’Impero Asburgico, anche se in quel momento si pensava ancora di vincere la guerra. Le offensive russe erano state bloccate e tra le fila del nemico serpeggiava la ribellione. Dopo la rivoluzione borghese del 12 marzo 1917 lo Zar abdicò e l’esercito russo, sbandato, iniziò lentamente a sfaldarsi. In novembre Lenin e i suoi seguaci dei Soviet, i consigli degli operai e dei soldati, presero il potere. Era la Rivoluzione Bolscevica. La Russia, non più imperiale, si ritirò stremata dal conflitto attraverso le trattative di pace a Brest-Litovsk, fra il dicembre 1917 e il marzo 1918. Tanti soldati trentini rimasero comunque all’Est fino al crollo del loro Stato, nel novembre 1918. Parteciparono infatti all’occupazione austro-tedesca di terre rumene e ucraine, utili come fonti di approvigionamento. Ma la guerra era persa e il condominio austro-ungarico ormai compromesso per sempre. I disertori cechi e slovacchi in Russia avevano formato fin dal 1917 la famosa Legione Cecoslovacca, che non aveva accettato la pace di Brest-Litovsk e nell’aprile 1918 si era messa in marcia verso Vladivostok, dove la Siberia si affaccia sull’Oceano Pacifico, per imbarcarsi e tornare in Europa a combattere contro l’odiata Austria-Ungheria. Dal canto loro, i prigionieri trentini e giuliani, pur non avendo progetti così precisi, si resero protagonisti delle peripezie più incredibili. Almeno 500 di essi arrivarono fino in Cina, a Tientsin, dove si arruolarono nei cosiddetti Battaglioni Neri, che fino al 1919 tentarono di arginare l’avanzata dell’Armata Rossa bolscevica nell’Estremo Oriente Siberiano. Ma questa è un’altra storia....M.M.Leggi anche:In ottocento sulle orme di Battistihttp://blog.libero.it/grandeguerra1418/2479539.html