GRANELLO DI PEPE

Uomini Rabbia 2


La riflessione sulla mia rabbia continua. Quanto ho scritto di mio padre è riduttivo, rispetto alla creatura che è passata nelle sue spoglie per questo pianeta scuola. Aggiungo, a quanto già detto, che il mio papà sapeva esattamente cosa fosse l'ironia ed era bravissimo nel fare racconti sia comici sia drammatici. Era un'ottima penna e pochi dei suoi interlocutori riuscivano a tenergli testa. Amava la musica e aveva il senso del ballo. Amava l'arte e con lui potevo ascoltare l’Andrea Chenier o Jesus Christ Superstar. Desumo che non è stato lui la miccia che ha innescato la mia rabbia. Mentre crescevo, intendo quando ero adolescente, avevo poche amicizie femminili e le frequentavo uscendo da sola con loro, perché le uscite in compagnia le facevo col branco e il mio branco erano solo maschi. Cominciai ad avvicinarmi a quel mondo maschile di coetanei per me del tutto nuovo. All’inizio non era male, forse quando si è giovanissimi si ha ancora una sorta d'innocenza. Poi, diventando più grandi, le dinamiche si son fatte più pesanti. Il mio primo grande amore, avevo diciotto anni, quello che mi faceva sussultare solo a sentire la sua voce, non faceva parte del branco. Il nostro romantico e delicato amore naufragò quando sua madre gli disse che doveva prendere una decisione seria con me, perché io ero una ragazza speciale. Lui si spaventò e invece che dire a sua madre di lasciarlo vivere, che solo stando con me avrebbe capito cosa poteva venir fuori da noi, si ritrasse nel suo guscio come una lumaca. Per sei mesi non mangiai e ogni mattino mi svegliavo col magone. Un giorno mi guardai allo specchio e promisi a me stessa che da quel momento in avanti mi sarei concessa una settimana di dispiacere per un ragazzo e poi avrei voltato pagina. La prima volta che lo incrociai, dopo aver preso questa decisione, lo vidi con occhi diversi, era un debole, un remissivo. Io, ribelle da qualche tempo, come potevo volerlo accanto a me? Tornai nel branco con una ferocia che prima non avevo, ma in mezzo a quei maschi ero al sicuro, con me si confidavano, mi chiedevano cose che non avevano il coraggio di chiedersi tra di loro. Io continuavo a crescere, senza farmi problemi di parlare come un maschio e di ridere alle battute senza dissimulare la mia vivacità, come spesso vedevo fare alle mie coetanee. Con assoluta incoscienza imparai a guidare come loro, a fare i testa coda sulla neve, a passare tra macchina e macchina ad alta velocità per arrivare prima a destinazione, come se fosse una cosa necessaria. Il branco mi riteneva una di loro ed io mi adeguavo ai costumi. Ma non credo sia neanche qui la radice profonda della mia rabbia. Chiara