Ali d'aquila

«Come chiese, siamo oggi chiamate ad imparare l'imprescindibilità della tutela dei diritti». Intervista ad Alessandro Esposito.


Stralci dell'intervista di Sabato 14 Maggio 2011 di Anna Claudia Dioguardi ad Alessandro Esposito, valdese, su LiveSicilia quotidiano online: "Il pastore e la veglia anti-omofobia: In questo modo si tradisce l'evangelo"Una veglia per le vittime dell'omofobia si è tenuta lo scorso giovedì davanti la chiesa di S. Lucia di Palermo, tanti i presenti e tra questi anche il Pastore della chiesa valdese di Marsala e Trapani, Alessandro Esposito.Pastore Esposito facciamo subito una distinzione, dalla chiesa cattolica-r
omana l'omosessualità e la diversità in genere vengono vissute spesso come un peccato, cosa cambia nella visione della Chiesa Valdese di cui lei è rappresentante?"Cambia qualcosa di sostanziale: l'omosessualità, in seno alla chiesa valdese, non è considerata un peccato, ma una condizione umana del tutto naturale, che la chiesa - ogni chiesa - ha soltanto il dovere di riconoscere e di rispettare".E lei, come definirebbe l'omosessualità?"Incomincerei riformulando la terminologia correntemente in uso e parlerei di omoaffettività anziché - solamente - di omosessualità: e questo per il semplice fatto che due persone dello stesso sesso unite in un rapporto di coppia, si scambiano l'affetto, di cui la sessualità rappresenta una componente importante ma non esclusiva. Dopodichè, risulta piuttosto evidente che le realtà - ecclesiastiche e non - che discriminano le persone e le coppie omoaffettive lo fanno, anzitutto, in ragione della dimensione sessuale, rispetto alla quale i clichè omofobici sono, ahimé, ancora prevalenti. Ciò detto, provo a rispondere alla sua domanda, per quanto sia restio a formulare delle ‘definizioni' di qualsivoglia realtà, giacché la realtà, fortunatamente, eccede ogni tentativo di riduzione al concetto: ebbene, ritengo che l'omoaffettività rappresenti un libero e naturale orientamento sessuale ed affettivo e, oltre a ciò, un diritto inalienabile della persona, seppure, spesso, non venga riconosciuto come tale ma, al contrario, apertamente e ripetutamente violato".Che importanza ha avuto secondo lei il fatto che la veglia per le vittime dell'omofobia si sia tenuta ugualmente al di fuori della chiesa di S. Lucia?"Sotto il profilo simbolico la valenza del gesto è indubbia: si è deciso di riunirsi di fronte ad un luogo che, coerentemente ai dettami evangelici, dovrebbe caratterizzarsi
come luogo dell'accoglienza e che ha invece - non so se inspiegabilmente, ma comunque ingiustificabilmente - chiuso le sue porte ad un'assemblea ecumenica che si riuniva per ricordare le vittime della violenza omofoba. Ho apprezzato il fatto che il parroco abbia deciso di manifestare la propria solidarietà con l'iniziativa e con i suoi organizzatori lasciando accese le luci della chiesa ed aperto il portone dietro il cancello chiuso. Chi, a mio avviso, dovrebbe riflettere sull'accaduto sono, da un lato, il cardinal Romeo, che ha negato il permesso relativo alla fruizione dei locali di culto per un avvenimento che nulla aveva di offensivo nei riguardi della chiesa cattolica e del suo - legittimo, sebbene opinabile - orientamento morale; dall'altro, il cattolicesimo palermitano, che spero sia in grado di elaborare una fede adulta, capace, quando occorre, di esprimere un dissenso motivato in ordine ai pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche".
Perché ha voluto far sentire la sua partecipazione? C'è un messaggio particolare che ha voluto dare agli omosessuali e alle loro famiglie che hanno preso parte?"La partecipazione mia e delle comunità presso le quali servo voleva attestare la nostra piena solidarietà riguardo allo scopo e ai contenuti della veglia. Ricordare le vittime di una violenza causata dal pregiudizio che le chiese, più di qualsiasi altro attore sociale, hanno contribuito ad ingenerare e ad alimentare, ci è parso un gesto dovuto: un modo silenzioso ma eloquente di esprimere la nostra partecipazione attiva ad un cambiamento in atto che speriamo possa coinvolgere appieno tanto le chiese quanto la società. Quanto al messaggio che vorrei indirizzare alle donne ed agli uomini omoaffettivi, forse uno c'è: vorrei dire loro che la battaglia per il pieno riconoscimento dei loro diritti, personali e di coppia, è una battaglia di tutti, anche - e forse prima ancora - di noi che omosessuali non siamo ma che sentiamo violato, insieme con il loro diritto, anche il nostro, poiché la discriminazione nei loro riguardi costituisce un'offesa alla dignità umana a cui tutti quanti abbiamo il dovere, morale e civile, di porre rimedio".Quali sono state le sue sensazioni ed emozioni nel prendere parte alla veglia?"Ho trovato, come di consueto, molto accurata la scelta dei testi e la meditazione propostaci tanto dal gruppo Kairòs, quanto dal gruppo Alidaquila: mi è parso ottimo l'equilibrio tra le sollecitazioni emotive e l'invito alla riflessione che la traccia liturgica ci ha proposto. Tra questi due elementi trovo che sia sempre opportuno stabilire una mutua e proficua relazione: ed i due gruppi sono senz'altro stati capaci di instaurarla, di approfondirla e di restituirla a noi partecipanti. La mia sensazione personale, comunque, rimane quella secondo cui, ad un'iniziativa di questo tipo, saremmo dovuti intervenire in maggior numero: è l'unica nota dolente, l'unico piccolo rammarico".C'erano altri rappresentanti religiosi che come lei hanno preso parte?"Certamente: hanno preso parte alla veglia padre Cosimo Scordato, della comunità di San Saverio; il pastore valdese della chiesa di Palermo di via Spezio, Giuseppe Ficara; ed altri ancora. Anche la chiesa evangelica luterana di Palermo figurava tra gli organizzatori della veglia. Ma dovremmo incominciare a ragionare in termini diversi, che travalichino il concetto tradizionale di ‘rappresentanza'. Provo a spiegarmi meglio: chi, come me, riveste un ruolo di responsabilità - e non, come qualcuno crede, di autorità - dovrebbe fare un passo indietro e fare in modo che il
protagonismo venga restituito all'unico vetro soggetto dell'annuncio evangelico come messaggio di giustizia: la comunità. Dovremmo tornare a mettere lei al centro: e, insieme con lei, le tante donne che, spesso, ne rappresentano l'anima, la componente pensante, agente, trasformatrice".Cosa vorrebbe dire a tutti coloro, religiosi e non, che si sono fermamente opposti alla celebrazione?"Vorrei dire loro che il cammino che tutte e tutti, cristiani, atei, agnostici e diversamente credenti, dobbiamo compiere, è quello di una progressiva umanizzazione dell'uomo: poiché ‘essere umani' è un compito, non una condizi
one. Mi sembra inutile sottolineare come si tratti di un compito troppo spesso disatteso, anche e soprattutto dalle chiese, le quali si manifestano, in tal modo, come luoghi in cui l'evangelo viene sovente tradito anziché inverato. Ecco perché, come chiese, siamo oggi chiamate ad imparare l'imprescindibilità della tutela dei diritti dalle tante donne e dai tanti uomini che in tal senso si spendono al di là di ogni appartenenza ecclesiastica e che, attraverso il loro impegno, mostrano di aver inteso assai meglio di noi quale sia il cuore del messaggio evangelico, al di là delle sue interpretazioni moralistiche e delle asfittiche prospettive dottrinali entro cui, non di rado, le istituzioni religiose lo confinano e lo snaturano. Chi si oppone a celebrazioni come questa, che si professi o meno cristiano, possiede una sensibilità amputata: a noi, alle ragioni con cui suffragheremo le nostre convinzioni, il compito di ripristinarla nella sua integrità spezzata".