Creato da gruppoalidaquila il 25/02/2010

Ali d'aquila

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Il vescovo Lafranconi, Cremona 2007: "Giusto pregare per chi soffre per una causa ignobile e ingiusta come l'omofobia"

Da Acqua di Fonte n.46 del Febbraio 2008, pp.3-5, stralci delle riflessioni di Sergio di Alle querce di Mamre, gruppo di Cremona

Settembre 2004: incuriosito da quanto leggo sul sito internet della Fonte, mi avvicino al mondo dei gruppi di omosessuali credenti.
Mi trovo subito a mio agio, mi rendo conto che si tratta di realtà importanti, lì trovo parte di quanto avevo già maturato per conto mio. Ho modo di conoscere altri gruppi partecipando agli incontri del Coordinamento (ndr dei cristiani omosessuali italiani a Roma e poi Catania, l'ultimo).

Primavera 2005: inizia il mio dialogo personale col vescovo (ndr cattolico romano) di Cremona, un po' casualmente. Non sono uno di quelli che "sbavano" dietro le tonache, se ci vado è perché lui, il vescovo, per ben due volte mi ha chiesto un colloquio.
Una volta sola, in occasione dell'ingresso del nuovo parroco, non m'è bastata! Gli ho detto di sì, ma poi ho pensato: "Che ci vado a fare? sicuramente è stato un invito di cortesia, visto che avevo curato l'ingresso del parroco, sicuramente con tutti gli impegni che ha, figurati se gli va veramente di parlare con me!".

Decido di non andarci. Poi lo rivedo, alcuni mesi dopo, a una veglia di preghiera con i giovani. Mi avvicino, al termine, per salutarlo e con tutta la semplicità che lo contraddistingue mi dice: "non mi avevi detto che saresti venuto a trovarmi?"... imbarazzatissimo rispondo: "ehmm sì veramente" (una delle poche volte in vita mia in cui mi sono mancate le parole!)

"Ha ragione signor vescovo (non ci riesco proprio a chiamarlo "eccellenza", ma lui non si offende per queste cose!), mi scuso, ma non pensavo che fosse importante comunque le prometto che la prossima settimana prenderò appuntamento con il suo se-gretario".
Stavolta non ci scappo più! Una domanda mi attanaglia: "ma perché proprio me? E non una, ma ben due volte?"

Qualche giorno dopo vado in vescovado; ci sono già entrato altre volte, ma è la prima in cui ci vado la sera, quando il portone è chiuso. Chiamo al numero a cui mi ha risposto il segretario del vescovo, mi risponde il vescovo in persona e mi dice: "aspetta che ti apro" mentre si spalanca il cancello elettronico lo vedo scendere dalle scale; questo per rendere un po' l'idea della persona: con la semplicità dei grandi uomini, con l'attenzione di chi sa riconoscere il tuo volto in mezzo a una folla, con la cultura e l'intelligenza che non vengono esibite, ma che traspaiono ad ogni parola.

Subito capisco che il suo invito era finalizzato a conoscere come mai, uno impegnato come me in parrocchia e nel volontariato, non avesse mai preso in considerazione una proposta vocazionale.
Sgombro subito il campo da ogni suo pio desiderio, con i miei modi un po' bruschi e diretti: "Sono già stato in seminario e ne sono uscito anni fa, ora ho una relazione con un altro ragazzo e sono felice così".

Senza fare una piega, mi chiede di raccontargli di me. Parliamo per circa due ore e al termine mi dice che gli piacerebbe capire perché, secondo quanto gli ho detto, c'è urgente bisogno nella chiesa di dialogo con il mondo omosessuale.

Mi invita una seconda volta e poi altre 5 o 6 volte fino all'autunno 2006, sempre per una discussione via via più approfondita e franca, non sull'omosessualità o sulla teologia morale della chiesa, ma sul mio modo di essere omosessuale e cristiano, con un'attenzione sempre puntata sulla mia persona e alla mia vicenda personale e, attraverso la realtà filtrata dalla mia esperienza, arrivare poi a parlare anche di morale e sessualità. Questo mi ha già insegnato qualcosa: se vuoi parlare veramente con qualcuno, fallo parlare di sé stesso e non fargli discorsi astratti!

Ottobre 2006: muore mio papà. Il vescovo mi manda un biglietto di condoglianze. Ringrazio di cuore e con tono un po' provocatorio, quel tono che ti viene quando tocchi la morte da vicino e ti rendi conto di quanto siano importanti i brevi giorni della vita, gli scrivo: "Perché non si vuole il dialogo con questa realtà? Io mi sono sentito un privilegiato in un certo senso, ho avuto modo di parlare con Lei, ma quanti non hanno non dico un Vescovo, ma neppure un prete o un amico cristiano o un luogo dove potersi confrontare su questi problemi?".

Giugno 2007: pellegrinaggio diocesano a Fatima. Sei giorni a contatto col vescovo. Il dialogo è continuo, intensificato non solo dal fatto che si è gomito a gomito tutto il giorno, ma anche dalla preghiera in comune, dalla suggestione del luogo e da quella presenza dolce e forte, rispettosa e pervasiva, piccola nella sua nicchia di vetro, ma pesante sulle mie spalle durante la processione, della Madonna.

Il 28 giugno (2007) i gruppi italiani avrebbero celebrato una veglia di preghiera per le vittime dell'omofobia. Io mi trovo a Lisbona, nella chiesa costruita sulla casa natale di Sant'Antonio da Padova (che lì naturalmente chiamano Sant'Antonio da Lisbona!). Ho tanta voglia di partecipare in qualche modo a quella preghiera.

Non so se è il caso... il pellegrinaggio è costituito per la maggior parte da persone piuttosto su con l'età... Capiranno? Darò solo motivo di scandalo e di mormorazioni? Mi esporrò troppo? Non so che fare.

Chiedo consiglio al vescovo che ben lungi da tutti i miei scrupoli mi dice: "Perché no!? È giusto pregare per qualsiasi defunto, ancor più se si tratta di persone morte o che hanno sofferto per una causa così ignobile e ingiusta come l'omofobia. Sono sicuro che nessuno si farà problemi per questo". E così è stato!

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