Ali d'aquila
persone cristiane lesbiche, gay, bisessuali, transessuali di Palermo
DALLA "CARTA DEI VALORI" DEL GRUPPO ALI D'AQUILA
Il gruppo "Ali d'Aquila" nasce nel Natale 2008 col desiderio di creare un luogo di accoglienza e di preghiera per le persone omosessuali, per favorire una riconciliazione con se stessi, con Dio e con la Chiesa.
Ci incontriamo nell'ascolto reciproco, nella condivisione delle nostre esperienze, nell'accettazione delle nostre umane diversità, con l'amore dei fratelli, mettendo a frutto quei talenti, doni e carismi che Dio ha donato a ciascuno per la crescita del gruppo.
Poniamo Cristo al centro della nostra stessa esistenza, lasciandoci interrogare dalla Sua Parola per la nostra crescita, umana e spirituale, in una continua e instancabile ricerca della Verità che ci rende liberi.
Vogliamo percorrere un cammino di riconciliazione con la Chiesa, attraverso il dialogo, il confronto e la conoscenza reciproca, nella consapevolezza che la dimensione omoaffettiva è un valore e può ben costituire un percorso di crescita e di approfondimento per vivere, senza pregiudizi, una relazione autentica con l'altro.
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Convegno di "Mondo di comunità e famiglia" - Associazione di promozione sociale
Progetto "Ali per la famiglia" finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento delle politiche per la famiglia
Milano, 2 febbraio 2013
"CONDIVISIONE: STRUMENTO PER IL BENESSERE"
Confronto tra esperienze di «accompagnamento alla persona»
in gruppi che utilizzano il metodo del «reciproco ascolto della narrazione di sé»
La condivisione di sé nel gruppo "Ali d'aquila" di Palermo
Testimonianza di Fabio
Il gruppo "Ali d'aquila" nasce nel 2008 come luogo di accoglienza e di preghiera per persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali all'interno della Chiesa di San Francesco Saverio, nel quartiere Albergheria di Palermo. La caratteristica del gruppo non è esclusivamente nel condividere un diverso orientamento sessuale, ma anche nel riconoscersi come credenti in Cristo, sebbene le chiese di appartenenza di ciascuno possano essere le più varie, seguendo perciò un cammino interconfessionale. Questa peculiarità ha portato una grande ricchezza nell'unione di diverse sensibilità ed esperienze spirituali, all'interno di un Cristianesimo di base comune, ma è stata anche fonte di divergenze quando non si è sempre riusciti a canalizzare le visioni e le aspettative in una direzione e in un senso comune. L'esperienza del metodo di condivisione è stata adottata dal gruppo circa due anni fa all'interno del suo percorso di crescita umana e spirituale. Fare condivisione, attraverso il metodo del «reciproco ascolto della narrazione di sé», ha rappresentato la possibilità di una maggiore comprensione del vissuto, delle prospettive e delle realtà delle persone. Solo conoscendo a fondo il percorso compiuto da quell'individuo, particolare ed irripetibile, e l'attribuzione di senso che ognuno dà a sé stesso e alla propria storia, è possibile comprendere le motivazioni del suo fare e del suo essere. Per le persone lesbiche-gay-bisessuali-transessuali-intersessuali-queer, parole che definiscono le diverse identità e che nel linguaggio comune non sono differenziate ma incluse nell'unica etichetta di "omosessuale", la difficoltà è data anzitutto dalla possibilità stessa di darsi un nome e di potersi esprimere liberamente in relazione alla propria condizione. Per chi è omosessuale e anche cristiano, specie se vive in una realtà ecclesiale, il disagio rischia di essere ancor più forte per la tendenza a reprimere, se non a colpevolizzare, il diverso orientamento sessuale, visto non come "una variante naturale del comportamento umano", secondo quanto già riconosciuto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che nel 1994 ha tolto l'omosessualità dall'elenco dei disturbi del DSM (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), ma, spesso, è percepita ancora come una ricerca di trasgressione se non una malattia.
La possibile esistenza stessa delle diverse identità sessuali in molti casi viene negata, quando non esplicitamente contrastata: se in Russia è appena stata varata una legge che vieta persino di parlare di omosessualità, senza andare lontano, nella nostra cultura spesso le persone lgbtiq non sono considerate nei discorsi oppure vengono incluse in forme d'identità negative, come si impara sin da bambini con la parola "frocio", usata come forma onnicomprensiva di offesa, tale da prenderne le distanze, sino all'aberrazione più assurda delle cosiddette "teorie riparative". E se queste alla fine si sono rivelate inefficaci e non hanno effettivamente convertito gli omosessuali a un'eterosessualità forzata "secondo natura", allorché hanno allevato invece dei fondamentalismi, tutto ciò ha piuttosto prodotto nell'immaginario di molti, omosessuali inclusi, un'idea di natura "intrinsecamente disordinata", come ancora insegna, purtroppo, il Catechismo della Chiesa Cattolica, alimentando dei germi di intolleranza, che quando radicata e rivolta verso se stessi viene definita "omofobia interiorizzata". Le conseguenze di questa omofobia, ovvero l'avversione contro l'omosessualità, propria o altrui, vanno tenute in considerazione nel momento in cui diamo voce ad una persona omosessuale, la cui parola stessa è stata negata per secoli.
Non si può prescindere da queste problematiche quando si fa condivisione con una persona lesbica-gay-bisessuale-transessuale-intersessuale-queer. Al "mondo omosessuale" per tanto tempo è stato vietato il diritto stesso all'esistenza, e oggi che si leva più alta la voce contro le discriminazioni si cerca di rimandare indietro le richieste di uguaglianza spacciandole per diritti privilegiati in più che non possono essere dati a una minoranza. L'uso del linguaggio è esemplificativo: basta cambiare nome alle cose per dargli un significato diverso. Così la "questione omosessuale" viene trattata secondo i diversi opportunismi, senza entrare nelle difficoltà vere delle persone omosessuali. Difficoltà che non sono solo di forma ma soprattutto di sostanza, e che impediscono alle persone lgbtiq una piena libertà di azione, di parola e persino di pensiero, poiché l'autocensura è un meccanismo molto forte e quando si introietta questa negazione di sé, essa stessa diventa il metodo di controllo sociale più sicuro, per cui la vittima si fa carnefice di se stessa, l'individualità è annullata ed il soggetto si è omologato a ciò che gli altri pensano debba essere o fare.
Il metodo di condivisione è stato uno strumento utilissimo anzitutto nel tirare fuori gli spettri e le paure che si nascondono dietro le parole lesbica-gay-bisessuale-transessuale-intersessuale-queer. La prima difficoltà che ha una persona omosessuale nell'accettarsi è anzitutto riconoscersi pienamente per quello che è. La condivisione è uno strumento che permette di dare voce anche a chi solitamente non riesce ad avere voce, a volte neppure in famiglia, per sentire la propria voce interiore. Il metodo del «reciproco ascolto della narrazione di sé» permette di parlare autenticamente ma soprattutto di ascoltare l'altro, che è un altro sé, e tutto questo senza il timore di essere giudicati poiché non vi è un dibattito successivo ma solo l'ascolto, in un donarsi reciproco. Il vivere in un contesto protetto di gruppo, dove tutto quello che si dice rimane all'interno di quel momento, permette a ciascuno di potere raccontare le proprie esperienze, al di là dei ragionamenti mentali, per entrare in comunione con l'altro che ci sta accanto. Per un gruppo cristiano, la condivisione è un altro modo di fare comunione con Cristo. "Dove sono riuniti due o tre nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (MT 18,20), dice il Signore. Ma non occorre scomodare Dio per stare insieme: la condivisione è già strumento di benessere tra le donne e gli uomini che la praticano, un modo per esplorare la nostra umanità, e, per noi credenti, per conoscere anche il Dio nascosto in ogni uomo. E' uno spazio/tempo profondamente spirituale, in cui si arrivano a toccare le corde invisibili ma palpabili del cuore. La radice indoeuropea della parola cuore deriva da [skar] che ha il senso di vibrare. Anche il ricordo, esperienza propria della condivisione, ha lo stesso etimo e passa dunque dal cuore, dalle vibrazioni interiori. Condivisione significa partecipare insieme, offrire del proprio ad altri. E' composto di [con] e [dividere], a sua volta dal latino [dis] separazione e [videre] vedere: vedere separato. Fare condivisione è come comporre un mosaico, ove la piccola visione separata non dice tutto a se stessa, ma unita alle visioni degli altri restituisce un quadro con-diviso, ovvero partecipato. Ogni tassello dell'altro aiuta a dare forma e senso al disegno più grande della vita. Ascoltare le esperienze dell'altro, con il loro carico di sofferenze, di gioie e di contraddizioni, permette di alleggerirne il peso e di restituirne una più giusta misura e collocazione. Così anche la parte oscura che ognuno si porta, a prescindere naturalmente dalla propria sessualità, può diventare oggetto di condivisione e, forse, fare meno paura. La luce che l'altro getta sul proprio vissuto illumina anche quelle parti che sono ancora oscure nella propria vita. Quando la condivisione arriva a fare questo, la storia dell'altro non è più riconosciuta come totalmente estranea, ma incorporata nella propria esistenza, sentendola propria pur nella sua diversità ed unicità. Ciò permette di prendersi a cuore il prossimo, percependo le vibrazioni interiori dell'altra persona e compiendo già il Regno dell'Emmanuele, il "Dio-con-noi". Questo stato beato, che noi credenti speriamo in Dio, lo costruiamo però tutti, ora, su questa Terra, tra le donne e gli uomini del nostro tempo, in ogni momento in cui realizziamo questo ben-essere che coinvolge tutti gli aspetti dell'esistenza e che dà maggiore qualità e senso alla vita di ognuno di noi.
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CRISTIANI OMOSESSUALI
prima parte:
seconda parte:
testimonianza di Mauro Vaiani, cristiano omosessuale:
VANGELO E OMOSESSUALITA'
intervista a Padre Alberto Maggi, O.S.M. su Chiesa, Vangelo e Omosessualità:
intervista a Pasquale Quaranta, giornatista e cristiano omosessuale:
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