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« Cuor di leone..Pioggia d'Agosto »

L'altra faccia del crimine

Post n°100 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da GreatTeacherFrume

 


 


di Davide Frumento


 


 


 


Il disco terminò e decisi di buttare giù l’ultimo sorso che ancora stava nel bicchiere, quindi spensi lo stereo e presi la giacca, poi uscii di casa. Era pericoloso gironzolare per la città a quell’ora, e senza quasi accorgermene lo stavo già facendo. Le tenebre mi avvolgevano e la fioca luce dei lampioni illuminava qua e là il marciapiedi, dando l’impressione di trovarsi tra una moltitudine di fuochi fatui. Accesi una sigaretta ed entrai al Paradise come un’ombra, tanto che persino il buttafuori non mi notò. Mi sedetti al bancone ed ordinai una birra, continuando a fumare lentamente per ammazzare l’attesa. Ad un tratto il barman mi guardò ed indicò alle mie spalle; mi voltai e vidi entrare nel locale l’uomo che stavo aspettando; procedeva verso di me con andatura lenta, trascinata. Quindi salutò e sedette sullo sgabello accanto al mio dopo aver ordinato qualcosa di estremamente forte. Aveva l’aria scossa di chi è braccato e deve nascondersi, ma poco mi importava, d’altronde in quella situazione ci si era cacciato da solo.


 


“ Scusi il ritardo, – mormorò dopo essersi seduto – ho faticato a trovare il locale “


 


“ Non è niente. – risposi fingendo di credergli – Ha portato quello che ho chiesto? “


 


“ Naturalmente. – disse lui indicando la tasca destra dell’impermeabile – Lei non immagina i pericoli che ho corso per procurarmelo “


 


“ Non lo dirà per alzare il prezzo – feci io finendo la birra.


 


“ Certamente no, ma a questo punto vorrei farle una domanda. Perché proprio questo, ha qualcosa di speciale? – disse ingurgitando avidamente il liquore servitogli. I suoi occhi scuri avevano un che di interrogativo e le luci del locale gli illuminavano il capo dando un tono opalescente ai suoi capelli bianchi.


 


“ Non credo sia sicuro parlarne qui, – mormorai – usciamo e troviamo un luogo tranquillo “


 


Lui annuì e si alzò dallo sgabello, quindi pagai il conto e uscii da quel posto facendogli strada. Una volta fuori ci recammo verso il molo in tutta fretta, perché ciò che stavamo rischiando andava oltre il semplice soggiorno presso il penitenziario di Stato. Arrivammo a destinazione in una manciata di minuti.


 


“ Allora, - disse il mio fornitore spezzando il silenzio – perché proprio questo pezzo? “


 


“ Mi è venuta voglia di rivivere i tempi della gioventù. Contento? – risposi infastidito.


 


“ Era solo una piccola curiosità. Sa, dopo anni di contrabbando ogni tanto mi faccio delle domande ed è raro che qualcuno risponda. Lei è uno dei pochi “


 


Risi. Poi estrassi i contanti e li contai davanti ai suoi occhi, baluginanti di un brillio avido e opaco.


 


“ Okay ora mi dia l’articolo. – dissi tendendo la mano – Credo che questa sia una delle ultime volte in cui trattiamo un affare, sta diventando troppo rischioso “


 


“ Come lei crede – rispose.


 


Intascò il denaro e mi consegnò l’oggetto che teneva nella tasca destra dell’impermeabile, avvolto come di consueto in una sacca di tela verdognola, quindi salutò mentre lo osservavo allontanarsi nella nebbia come un fantasma. Un lampo improvviso e il rombo di un motore mi fecero sobbalzare, e vidi un’auto della Polizia sbucare a tutta velocità da una stradina, le sirene spiegate. Un manipolo di agenti d’assalto balzò attorno all’uomo che pochi istanti prima stava consegnandomi la merce, mentre l’auto gli sbarrava la strada. Cercò di correre verso di me ma una raffica di pallottole lo investì stendendolo a terra, esanime. Rimasi imbambolato ad osservare la scena, poi fuggii a rotta di collo non appena vidi gli agenti procedere verso di me. Corsi a più non posso e infilai un vicolo, mentre i proiettili fischiavano alle mie spalle e quei dannati si avvicinavano. Sentivo le tempie pulsare e i polmoni stavano per esplodermi in petto; stavo per cadere a terra stremato quando vidi che la fuga mi aveva portato al canale di scolo vicino alle condutture, nel quale mi precipitai inoltrandomi nella rete fognaria. 


 


L’acqua stava arrivandomi alle caviglie e accorgendomi di aver seminato gli inseguitori mi sostenni alla parete per riprendere fiato. La corsa mi aveva sfinito e la nausea cominciò ad impossessarsi di me non appena mi fermai; iniziai a tossire e vomitai appoggiandomi al muro con il braccio sinistro, mentre con il destro stringevo l’oggetto consegnatomi dal defunto contrabbandiere. Gli occhi mi lacrimavano abbondantemente per lo sforzo di stomaco. Sedetti a terra con la bava alla bocca e sputai molte volte prima di riprendermi almeno parzialmente e ragionare sul da farsi.


 


Li avevo alle costole e non sapevo dove andare; non sapevo se la mia identità fosse loro nota, ma non avevo mai avuto problemi con la giustizia e se fossi riuscito a non farmi trovare me la sarei certo cavata. La notte aveva nascosto il mio volto agli agenti, che probabilmente stavano seguendo solo l’uomo morto sotto il loro fuoco. Ma ora volevano anche me perché ero sul posto, dovevo essere colpevole almeno quanto lui e comunque avevo quel maledetto pacco sotto il braccio. Decisi di nasconderlo all’interno di un’apertura del pavimento che arginava il corso delle acque fognarie, per tornare a recuperarlo quando ne avessi avuto l’occasione. Quindi lo coprii con una pietra piuttosto grossa e mi allontanai all’interno del condotto per circa un chilometro, fiaccato dalla nottata. Non appena vidi un tombino sopra di me salii a fatica la scaletta sulla parete e sollevando la piastra di metallo spuntai in strada. 


 


Non mi trovavo molto lontano da casa ma conciato com’ero non avrei certo potuto passare inosservato. Camminai lentamente percorrendo vicoli bui, nella speranza di non essere visto da nessuno; era un periodaccio e chiunque avesse avuto sotto gli occhi un uomo ridotto nel mio stato avrebbe certo avvertito la Polizia. Avevo i vestiti fradici di acqua puzzolente, i capelli arruffati e la giacca ancora sporca di vomito, senza contare l’espressione malconcia del mio viso. Non appena vidi una fontanella, nascosta tra gli alberi nel bel mezzo dei giardini comunali, mi fermai a sciacquarmi la faccia quel tanto che bastava per riprendere un po’ di colorito. Aprii il rubinetto e non appena l’acqua cominciò a sgorgare ne presi abbondanti manate per lavarmi la bocca e bagnare il viso, poi mi asciugai con il fazzoletto che tenevo in tasca. Sentii delle urla lancinanti provenire da un appartamento nelle vicinanze, alcune raffiche di mitra e poi il suono di un furgone che si allontanava. La Polizia aveva ucciso qualcun altro, sequestrando le sue “pericolose armi”. Ci chiamavano sovversivi, nemici della democrazia. Ma i veri nemici erano loro, maledetti cani dello Stato, un giorno avrebbero pagato caro tutto ciò che avevano osato farci. Raggiunsi il mio appartamento e una volta dentro mi abbandonai sul letto, addormentandomi a pancia sotto, in un sonno profondo e senza sogni.


 


Mi svegliai in tarda mattinata, ancora scosso dalla rocambolesca fuga della sera prima, che mi aveva visto rischiare la pelle per l’ennesima volta. Mi alzai dal letto e feci una doccia, poi provvidi a radermi; ora ero decisamente più presentabile. Mangiai qualcosa per ristabilire lo stomaco e uscii a recuperare l’oggetto per cui avevo rischiato l’uccisione. Accesi una sigaretta mentre ancora scendevo le scale e quando fui in strada inorridii nell’osservare gli squadroni che pattugliavano il quartiere tutti armati sino ai denti, con uniformi nere e coriacee, il mitra spianato. Camminai a passo spedito per raggiungere il canale di scolo, unica zona in cui la ronda era meno serrata, in modo da raggiungere il punto esatto in cui era nascosto l’oggetto di tanti rischi. Mi addentrai nelle condutture per un lungo tratto e finalmente trovai ciò che cercavo sollevando la  pesante pietra dall’apertura sul marciapiedi. Sollevai da terra la sacca verdognola ed estrassi il contenuto. Si intitolava “ I fiori del male “, del grande Charles Boudelaire. Quei dannati volevano uccidere noi e i nostri libri, la nostra anima e la cultura, per renderci completamente schiavi ed annichilirci. Accarezzai la copertina e pregai in silenzio per tutti coloro che morivano per le strade ogni giorno, uccisi come cani randagi. Avrei continuato a leggere e a rischiare quanto necessario, per far vivere la rivoluzione che portava la conoscenza. Quante volte avrei rischiato la vita prima della Ribellione!


 


 

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