Ilsilenziodeimusei

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A due passi da Cortina. 40 anni dopo il disastro, lungo un itinerario in cui si perdono le proporzioni dello spazio e del tempoUna storia tanto semplice quanto drammatica. Una diga progettata in un luogo inadatto, ripetuti e inascoltati segnali d?allarme e il monte Toc che precipita nel lago artificiale. Longarone è spazzata via assieme a 2000 persone.Sono passati quasi 40 anni dalla tragedia del Vajont, ma non è possibile dimenticare. La diga che allora fu considerata un capolavoro di ingegneria, è rimasta al suo posto unendosi indissolubilmente a milioni di metri cubi di terra e trasformandosi in un ?monumento? di oltre 260 metri in memoria dell?avidità umana.Dove siamo? Cortina è là, a due passi. I turisti che transitano per Longarone, per raggiungere la perla delle Dolomiti, non possono non vedere la diga, incastrata nella gola rocciosa. Ma per rendersi davvero conto di cosa successe, per capire che dopo il disastro nulla è rimasto al suo posto tranne la diga, è necessario deviare di qualche km dalla strada principale (seguire le indicazioni per Pordenone all?ingresso del paese) e inerpicarsi un poco sulla montagna. La strada, con i suoi tornanti, sale rapidamente e passate alcune gallerie siamo già sopra la diga.Teatro Il disastro del Vajont è tornato alla ribalta pochi anni fa, per merito di Marco Paolini e Gabriele Vacis che hanno ricostruito in un?orazione civica la storia del disastro. Inizialmente spettacolo solo teatrale è diventato un evento televisivo che ha tenuto inchiodati al piccolo schermo milioni di telespettatori. Chi avesse perso la trasmissione in tv, può acquistare la videocassetta e il libro allegato. Ed. Einaudi.CinemaFra poco uscirà nelle sale cinematografiche italiane il film Vajont di Renzo Martinelli, girato sui luoghi del disastro. Vedendolo riconoscerete certamente i luoghi che avete visitato. Libri Oltre al libro "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe." di Tina Merlin, per capire il carattere degli abitanti di questa valle, consigliamo la lettura dei libri di Mauro Corona. E? un personaggio singolare: montanaro, scalatore, scultore e di recente anche scrittore. Sfollato dopo il disastro, quand?era ancora un ragazzo, è voluto tornare tra i suoi monti. Storie vere di uomini, rocce e animali. Sullo sfondo la montagna ferita.. "Il volo della martora". Ed. Vivalda "Finché il cuculo canta". Ed.Biblioteca dell?Immagine. Qui, dove ci si aspetterebbe di trovare un bacino artificiale, conviene fermarsi. C?è una piccola cappella in ricordo di quanti morirono e l?acqua non è al suo posto. Dove c?era il lago ci sono milioni di metri cubi di detriti. Ritornando a piedi per la strada appena percorsa, si può vedere da vicino la grande diga e la gola spaventosa nella quale s?incanalò l?onda di morte. Neppure la terra su cui si sta camminando è al suo posto. La terra era lì, sul monte Toc di fronte a noi, proprio dove adesso c?è una "M".Non occorre essere geologi per capire che quella "M" è la grande ferita da cui si staccò la frana. E sembra impossibile che si sia potuta spostare, ma lo fece.Rimontiamo in macchina. Anche la strada non è al suo posto. La vecchia non c?è più e quella nuova si insinua tra i massi e la terra che 40 anni fa era da un?altra parte, molto più in alto.Sulla sinistra notiamo una palestra di roccia che riflette il carattere forte degli abitanti di questa valle. Ancora qualche centinaio di metri e sulla sinistra troviamo il bivio per Casso, il paese parzialmente salvato proprio dalle rocce che poco più sotto abbiamo ammirato. Anche gli abitanti di Casso, come quasi tutto nella valle, non sono al loro posto: il paese è semi abbandonato, ma noi scendiamo dall?auto e camminiamo percorrendolo tutto. Il percorso non è faticoso. E? un sentiero facile facile, ma qui non arriva molta gente, tutti si fermano in basso. Così superiamo la chiesa e continuiamo per il sentiero in costa che ci conduce sopra la diga. Vicino alla diga, dove eravamo poco fa, si perdono le proporzioni visive. Ma venendo fin quassù, percepiamo quelle proporzioni che poco più sotto apparivano falsate. Ora è più facile immaginare cosa successe quella notte del 9 ottobre 1963. Ora facciamo silenzio. Di GIOVANNI SONEGO