Gentile Signora,
al ritorno dalla sgambata mattutina, con addosso una confortevole coperta
e nella quiete del mio box, sento il bisogno di scriverLe.
Lei conosce il mio nome, Zaccaria e la mia professione al servizio di un
padrone che amo e che seguirei ovunque, perfino nella bocca di un vulcano:
Quivi giunto il caval nero
Contro il ciel forte springo'
Annitrendo; e il cavaliero
Nel cratere inabisso'.
Ma la ragione di questa lettera gentile Signora, e' proprio Lei.
Vede, a lungo andare il cavallo diventa un confidente che, senza presunzione,
definirei ideale; riservato, silenzioso, grande ascoltatore. E piu' spesso
di quanto Lei creda, magari nei lunghi intervalli al passo dopo un lavoro
ben fatto, un padrone si lascia andare non solo a considerazioni sui massimi
sistemi, ma a svelare i moti dell'animo, le emozione e i sentimenti, a farci
partecipi delle suggestioni di uno sguardo,
di un incontro.
Proprio l'incontro con Lei, gentile Signora, e' stato oggetto di un lungo
racconto che ne ha descritto la casualita' e la magia.A dire del padrone,il
suo animo e' lo specchio di un'anima bella e intelligente.
Abituati come siete ai superlativi assoluti, bello e intelligente potrebbe
sembrarvi poca cosa, ma per me e, credo anche per chi mi sta in sella, questi
termini conservano ancora tutto il loro valore semantico: se fossi il cavallo
di Orlando paladino, definirei Lei graziosa, ossia ripiena di grazia e di
doni che la natura ha voluto conferirLe. Proprio questi doni furono l'argomento
di un lungo e accorato ritratto che di Lei mi fece il padrone. Lo fece a
me e a nessun altro, ma intuii quanto egli avesse voglia di gridarlo al
mondo; soprattutto di sussurrarlo a Lei. A Lei che egli non ha mai visto,
ma che prova ad immaginare con gli occhi del cuore e col linguaggio dei
sogni; a collocare fisicamente in un ambiente, in un mondo dal quale egli
e' escluso; a cristallizzare il ricordo di ogni sua frase,ogni suo silenzio.
Della sua persona, l'unica certezza e' il nome: "Estrella". "Estrella" e'
un universo infinito e indefinito nascosto da un velo; e' l'idea
del Dio che si manifesta attraverso la voce del sacerdote celato nell'oscurità
del tempio; e' una sagoma appannata dietro una finestra battuta dalla pioggia;
e' il forziere protetto da una possente porta di quercia. La chiave per
aprire quella porta e per entrare nel mondo di "Estrella" il mio padrone
non la possiede ancora, ma e' mia intenzione convincerlo a cercarla. Anche
se so che, trovare quella chiave significa uccidere l'immagine e, con essa,
la sfera dell'innocenza che si alimenta attraverso la fantasia, il vagheggiamento,
l'illusione. Anche se so che trovare la chiave significa
annientare l'attimo, non cogliere il momento magico della luminescenza,
il raggio verde che si rivela per un solo istante quando il sole si immerge
nel mare. Anche se so che, il ricordo, ossia la custodia del cuore, e' grande
soltanto nell'assenza dell'oggetto, che permane con un'eco di dolcezza infinita,
come le note antiche di un canto di Natale.
Mi creda, Suo dev.mo