L'idiota

Viaggio verso Auschwitz


Le persone non fanno i viaggi,sono i viaggi che fanno le persone.John Steinbeck - Viaggio con Charley
I chilometri che separano Auschwitz da Cracovia sembrano sempre interminabili. Sono sessanta ma potrebbero essere seicento. Ti lasci alle spalle una città piena di vita per attraversare delle campagne silenziose, in un viaggio automobilistico lento e cadenzato. Sessanta chilometri sono un buon viatico, una giusta attesa in una direzione percorsa da molte migliaia di persone, verso quel nome tedesco che soverchia l'originale polacco e marchia inesorabilmente una zona di terra polacca. Verso Auschwitz.Attraversi Oświęcim, ma sfugge via. Non ti sembra nemmeno essere Auschwitz. Forse anonima, sicuramente diversa. Non cerca di colpirti, di farsi ricordare, non vorrebbe il peso della memoria. Forse non si tratta solo di differenze linguistiche, di due parole diverse per indicare lo stesso luogo. Eppure quando giungi a Oświęcim uno dei luoghi cardine per "la soluzione finale della questione ebraica" è oramai a porta di mano.Poco più avanti, questione di pochi minuti ad attenderti c'è un grande parcheggio. Non è lì per te. Ha visto passare tantissima gente e, speriamo, ne vedrà passare ancora tanta altra, ma in fine è solo una distesa di cemento con qualche pianta. Null'altro. Nulla ti induce a capire che quello sia il posto che l'Unesco ha inserito nella lista dei patrimoni umanità per non fare dimenticare uno tra i peggiori capitoli della storia recente dell'umanità.  Nulla ti introduce a ciò che ti aspetta. Potresti essere ovunque.In verità non ti accorgi di essere veramente Auschwitz fin che non vedi il famoso cancello. L'ingresso, la cassa, tutto il resto potrebbero quasi essere cornice e sfondo di un qualunque museo. Solo quando vedi le ignobilmente famose parole "ARBEIT MACHT FREI" capisci veramente di essere ad Auschwitz. Sono solo una copia, ma il significato originario resta sempre immutato "Il lavoro rende liberi". Estrema beffa. Impossibile che dei deportati da mezza Europa potesse avere la minima speranza di qualche forma di libertà.E' il primo segno fisico che ti incide, che ti fa toccare la fisicità del luogo.Non condivido l'emozione di fermarmi proprio sotto quella scritta e quella sbarra alzata per una foto, in una foto. Non capisco quella voglia di essere immortalati, di avere una prova per affermare la propria presenza. Non comprendo questo desiderio di quella prova come in una foto vicino ad uno dei tanti gioiosi monumenti che tempestano le varie città mondiali. Non è questione di giusto o sbagliato o semplicemente di rispetto, è solo che non ne sento il bisogno. Non credo che sarà difficile scordarsi il luogo dove oltre 1.000.000 di persone trovarono la morte.(fine parte prima)