L'idiota

Diaro apocrifo di una vita normale

 

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Viaggio nel cuore dell'inferno

Post n°3 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da ilpresidente_77
 

 

Forse la terra è l'inferno 
di un altro pianeta.
(Aldous Huxley)

Il silenzio ad Auschiwzt è denso, intriso di un peso che rendono i rari e inopportuni schiamazzi non solo fastidiosi, ma insipidi nella loro inutilità. È una sensazione strana, un connubbio tra la realtà del presente e la realtà storica, che rende il percorso da compiere in parte irreale. È un passeggiare, un piccolo viaggio tra costruzioni metodiche, ordinate in un sussugguirsi di vuoti e di pieni, un volere dare un ordine a tutto a tutti i costi. Però non ti accorgi del peso di quel luogo fin che non senti la guida parlare, fin che non la senti ripetererti le stesse cose che conosci da sempre, ma che lì assumo un significato diverso. 

Sento la storia di padre Massimiliano Kolbe  per l'ennesima volta e mi accorgo di essermi commento. La conosco da più di vent'anni, è mia da sempre, ma quel giorno ha un significato diverso, profondo, vero. È in quel momento che capisco di aver toccato, compreso l'orrore del posto. Il percorso e le sale sono state costruite, pensate per turbare , per sconvolgere i visitatori ignari del peso che è prendere coscienza di ciò che avventuo. É una presa di coscienza che sconvolge, turba, che non puoi programmarla, metterla in conto, avviene e questo è tutto.

È poi il ripetersi, il prendere vita nella mia mente della pagine di Primo Levi che rendono questo percorso quasi irreale. Quelle pagine lette nella gioventù, mattoni del mio animo, si riprongono vivide scolpite nelle loro parole, nel loro pieno significato. Primo Levi che passeggia e ripete a memoria la Divina Commedia, il canto di Ulisse, non è un fantasma lontano più di mezzo secolo, ma qualcosa che aleggia e mi segue da vicino. Allo stesso modo la piazza degli appelli non è così vuota, ma piena di una moltitudine ancora in piedi che aspetta per l'eterntà di essere chiamata.

La visita ai forni è l'ultima delle immagini di Auschiwzt, l'ultima stazione di una via crucis, ma è solo un'immagine sconolgente come non lo potevano essere la sala dei capelli, il muro delle fucilazioni, o le miniscole celle. Nulla può essere così sconvolgente come la storia che ti entra nelle ossa, nell'animo, nel cuore. Una volta che si prende finalmente coscienza di tutta la realtà, che lì è avvenuta, anche la veritiera frase di Theodor Adorno si rileva nella sua cruedele verità e forse capisci qunata verita potesse essere nascosta in poche semplici parole: "dopo Auschwitz non è più possibile la poesia".

 

 
 
 

Viaggio verso Auschwitz

Post n°2 pubblicato il 16 Ottobre 2010 da ilpresidente_77
 

Le persone non fanno i viaggi,
sono i viaggi che fanno le persone.
John Steinbeck - Viaggio con Charley


Auschwitz

I chilometri che separano Auschwitz da Cracovia sembrano sempre interminabili. Sono sessanta ma potrebbero essere seicento. Ti lasci alle spalle una città piena di vita per attraversare delle campagne silenziose, in un viaggio automobilistico lento e cadenzato. Sessanta chilometri sono un buon viatico, una giusta attesa in una direzione percorsa da molte migliaia di persone, verso quel nome tedesco che soverchia l'originale polacco e marchia inesorabilmente una zona di terra polacca. Verso Auschwitz.
Attraversi Oświęcim, ma sfugge via. Non ti sembra nemmeno essere Auschwitz. Forse anonima, sicuramente diversa. Non cerca di colpirti, di farsi ricordare, non vorrebbe il peso della memoria. Forse non si tratta solo di differenze linguistiche, di due parole diverse per indicare lo stesso luogo. Eppure quando giungi a Oświęcim uno dei luoghi cardine per "la soluzione finale della questione ebraica" è oramai a porta di mano.
Poco più avanti, questione di pochi minuti ad attenderti c'è un grande parcheggio. Non è lì per te. Ha visto passare tantissima gente e, speriamo, ne vedrà passare ancora tanta altra, ma in fine è solo una distesa di cemento con qualche pianta. Null'altro. Nulla ti induce a capire che quello sia il posto che l'Unesco ha inserito nella lista dei patrimoni umanità per non fare dimenticare uno tra i peggiori capitoli della storia recente dell'umanità.  Nulla ti introduce a ciò che ti aspetta. Potresti essere ovunque.
In verità non ti accorgi di essere veramente Auschwitz fin che non vedi il famoso cancello. L'ingresso, la cassa, tutto il resto potrebbero quasi essere cornice e sfondo di un qualunque museo. Solo quando vedi le ignobilmente famose parole "ARBEIT MACHT FREI" capisci veramente di essere ad Auschwitz. Sono solo una copia, ma il significato originario resta sempre immutato "Il lavoro rende liberi". Estrema beffa. Impossibile che dei deportati da mezza Europa potesse avere la minima speranza di qualche forma di libertà.
E' il primo segno fisico che ti incide, che ti fa toccare la fisicità del luogo.
Non condivido l'emozione di fermarmi proprio sotto quella scritta e quella sbarra alzata per una foto, in una foto. Non capisco quella voglia di essere immortalati, di avere una prova per affermare la propria presenza. Non comprendo questo desiderio di quella prova come in una foto vicino ad uno dei tanti gioiosi monumenti che tempestano le varie città mondiali. Non è questione di giusto o sbagliato o semplicemente di rispetto, è solo che non ne sento il bisogno. Non credo che sarà difficile scordarsi il luogo dove oltre 1.000.000 di persone trovarono la morte.

(fine parte prima)

 

 
 
 

Manifesto

Post n°1 pubblicato il 05 Settembre 2010 da ilpresidente_77

Nel 1867 Dostoevskij ammise di essere, da un punto di vista artistico e anche umano, sedotto, tormentato e terrorizzato da un’idea che poteva essere alla base di un ovvero raffigurare un uomo assolutamente buono.
L'uomo assolutamente buono è scandalo, scandaloso, perché è diverso, estraneo al mondo che lo circonda, ma anche perché vede il mondo in modo con occhi diversi.
L'uomo assolutamente buono non è Dostoevskij stesso anche se il suo protagonista ne condivide alcune ossessioni e alcune idee. Il suo sguardo è diverso, il suo agire appare banale, irrazionale quasi stupido ai nostri occhi, perché noi non siamo uomini assolutamente buoni.
Pochi sono gli uomini assolutamente buoni e pochi hanno uno sguardo diverso su ciò che ci circonda. Io non ho alcuna pretesa neppure di avere uno sguardo diverso di essere un uomo buono né di avere uno sguardo, non dico privilegiato, ma diverso. In fondo tutto tutto ci circonda, non serve essere più bravi o più intelligenti, talvolta basta avere il torci collo per distogliere lo sguardo da dove tutti guardano e  accorgersi di altre cose che magari stiamo calpestando.

William Xerra - Io mento (raccolta documenti) – Legno, 2007

 
 
 
 
 

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Un blog di: ilpresidente_77
Data di creazione: 03/09/2010
 

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