Liberi e giusti

Torino vista da Pavese


 Torino, città della fantasticheria per la sua compiutezza composta di elementi nuovi e antichi; città della regola per l'assenza assoluta di stonature nel materiale e nello spirituale; città della passione per la sua benevola propizietà agli ozi; città dell'ironia per il suo gusto della vita; città esemplare per la sua pacatezza ricca di tumulto. Città vergine in arte, come quella che ha già visto altri fare l'amore e, di suo, non ha tollerato sinora che carezze, ma è pronta ormai, se trova l'uomo, a fare il passo. Città, infine, dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia amante e non madre né sorella. E molti altri sono con lei in questo rapporto. Non le può mancare una civiltà, ed io faccio parte di una schiera. Le condizioni ci sono tutte............................   Così scriveva Cesare Pavese il 17 novembre del 1935 della sua amata città adottiva, lui che veniva da Santo Stefano Belbo nella provincia di Cuneo. Anch'io a Torino ci sono stato per circa 18 anni, le ho dato i miei anni migliori: lo stupore del nuovo, l'entusiasmo della giovinezza, la malinconia creativa delle sere d'inverno, la colpevole innocenza dei puri di cuore.   E forse quella città così altera e intrigante non l'ho mai capita né mi ha mai conosciuto davvero.