Liberi e giusti

La follia è una benedizione per l'arte


Ho visto l'ultimo film su Van Gogh, è un film che rende lidea, Vincent è un mistico che trova nell'arte il sublime che i santi trovano nell'incontro mistico con Dio. L'arte riempie ogni vuoto dell'anima, la materia osservata e riprodotta non è più materia, è puro spirito, emozione, sguardo sull'infinito. Ma la santità è anche dolore, follia, estraniazione dal mondo, emarginazione, ghetto, stigma, insulto. E Vincent Van Gogh li prova tutti, più è intenso è il dolore, più intensa è l'estasi e la consolazione dell'arte. Come un mistico e un ispirato ha il senso della sua missione, se Dio gli ha dato il dono della pittura vuol dire che dipingere in quel modo è il suo compito sulla terra e non importa la sofferenza e l'incomprensione che ne deriva, se non vende un quadro è "perché sono nato troppo presto, dipingo per le future generazioni", c'era un altro uomo, un filosofo, suo coevo, che scriveva come un artista e che aveva la stessa percezione di sé: "Sono venuto troppo presto", aveva  scritto, quel filosofo era Neatzsche e come lui andava in giro per l'Europa  in cerca di ispirazione e conobbe l'orrida esperienza del manicomio.  L'angoscia dell'artista incompreso che sa di dover fare una rivoluzione a costo della sua salute mentale, è un dramma ricorrente del secondo Ottocento, l'età cosiddetta del Decadentismo.