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FORTEZZA ITALIA

Post n°7 pubblicato il 31 Ottobre 2006 da paura_del_buio

Dopo un lungo giro nel centro storico, finalmente localizzai la sede di Forza Italia della mia città. Non era molto nascosta, ma si sa, le cose sono difficili da trovare quando ce le hai sotto il naso. Si trovava a due passi dalla cattedrale, praticamente in piazza.
C’erano diverse bandiere tricolore che si confondevano con le bandiere del partito sul balcone al primo piano. Dalle finestre si vedevano le luci accese.
Non mi restava che farmi coraggio e suonare al citofono. Però, dopo un’attenta osservazione dell’edificio, notai che non c’erano citofoni. C’erano solo un paio di vecchie porte in legno diroccate, che certamente accedevano a locali abbandonati del piano terra. Fissai ancora le finestre, nell’improbabile speranza di vedere qualcuno o di localizzare un’entrata. Feci un giro attorno al palazzo, nei vicoli bui e puzzolenti, ma niente.
Rimasi ancora un minuto a guardare, pensando al da fare. Poi mi decisi a chiedere al bar di fronte alla sede del partito.
Entrai, salutai, mi rivolsi al barista.
- Mi scusi, qui di fronte c’è il partito… ehm… Forza Italia… - sussurrai imbarazzato, sperando che i presenti non mi sentissero. – Ma da dove si entra?
- È qui, - disse il barista, - proprio qui di fronte.
- Lo so che è qui Forza Italia, ma voglio sapere dov’è la porta. Non sono riuscito a trovarla.
Due ragazzi che erano nel bar mi sentirono. Ad occhio e croce avevano non più di venticinque anni. Stavano sorseggiando qualcosa di scuro ed alcolico con ghiaccio in bicchieri bassi e larghi. Non erano tipi da Coca-cola.
- Ma sei proprio sicuro di voler entrare lì? Stai attento che ho saputo che stasera lo faranno saltare in aria, – disse uno. E l’altro: - Ma cos’è che lega un ragazzo di vent’anni a quel partito? Spiegamelo, ti prego!
- Ehm… Non pensate male, ragazzi. Devo solo chiedere un’informazione. Devo scrivere un articolo...
- E proprio su Forza Italia lo devi fare?
- Purtroppo sono costretto.
- Capito, - disse uno dei due. – Ti aiutiamo noi, vieni.
Andammo fuori dal bar, facemmo un giro attorno all’isolato, ma niente. C’erano solo quelle porte in legno e una porticina che avevo notato anche prima, ma alla quale non avevo voluto citofonare perché mi sembrava più la porta dell’abitazione di qualche anziano di quelli che abitano nel centro storico da generazioni.
Mi arrotolai una sigaretta e l’accesi.
- Guarda, - disse uno dei due ragazzi, - se non è quella, non so proprio che dirti.
- Secondo me si atterra direttamente sul tetto con gli elicotteri, - disse l’altro.
- Eh già!, in quel partito sono tutti del ceto medio, ce l’hanno tutti un elicottero, - commentai.
- Oppure si entra dalle finestre come i ladri. Stiamo parlando di Forza Italia, ragazzi!
Ringraziai i ragazzi, che andarono per la loro strada. Sentivo allontanarsi le loro voci sarcastiche e le loro risatine farsi sempre più lievi, fino a perdersi in una stradina. Sorrisi.
Rimasi ancora un po’ a pensare. Poi gettai la sigaretta e mi decisi a citofonare a quell’unica porta individuata. Salii i due gradini che portavano dalla strada alla porta, e guardai il citofono. C’erano due bottoni, e accanto, dove di solito si scrive un cognome o una qualche indicazione relativa agli occupanti di un locale, niente. Bianco.
Provai a premerli entrambi. Attesi qualche secondo. Ancora qualche secondo. Ancora due. Riprovai. Attesi ancora. Niente. Non rispondeva nessuno. Guardai ancora le finestre illuminate. Vidi un’ombra. Rimasi ancora qualche istante a guardare. Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa di strano, inquietante. Decisi che avrei riprovato il giorno dopo, e mi allontanai.

 
 
 

I FUNGHI

Post n°6 pubblicato il 26 Novembre 2005 da isotropico

(autore del racconto: isotropico)

Oggi sono andato in montagna con Riccardo. In Cadore, più precisamente. L'idea era quella di farsi una bella passeggiata in mezzo ai boschi, e magari andare in cerca di qualche fungo. Le condizioni, infatti, erano ottimali: la luna crescente, la pioggia caduta la settimana scorsa, i valori di umidità, temperatura, pressione eccetera.

Arriviamo al bosco. Fermiamo la macchina. Smontiamo. Calzini, scarponi, bastone: tutto pronto. Partiamo.
Seguiamo il sentiero che ci porta al Rifugio Padova. Ad un certo punto Riccardo dice:
"Proviamo ad allontanarci dal sentiero ed entrare un po' nel bosco, per vedere se riusciamo a trovare qualche fungo!"
Ci inoltriamo nel bosco. Ci stupiamo del fatto che non c'è un fungo neanche a vendere l'anima al diavolo. La cosa ci pare molto strana, dal momento che prevedevamo di trovarne sporte intere. Bah.
"Proviamo ad andare un po' più nel profondo del bosco, dove la selva è più oscura: magari lì ce ne sono", dice Riccardo. Io sinceramente dubito che ci sia qualche forma di vita in quel bosco: ma Riccardo è un idealista.
Ci addentriamo ancor più nel fitto del bosco. Il terreno si fa accidentato, il cammino impervio. Scivoliamo, cadiamo, i nostri piedi si riempiono di vesciche.
"Forse è meglio se torniamo indietro", gli dico.
"Forse è meglio, sì."
Torniamo al sentiero. Proseguiamo per una mezz'ora, in salita. Alletiamo la nostra passeggiata con discorsi ridenti e gioiosi. Riccardo mi chiede:
"Ma se tu dovessi scegliere come morire, sceglieresti la malattia o la morte improvvisa?"
Io, in tutta risposta, mi tocco i coglioni.
Ad un tratto Riccardo si ferma.
"Che c'è?", gli chiedo.
"Siamo sul sentiero sbagliato."
"Eh?"
"Non è la strada giusta, questa: non è la diritta via."
"Ma eri sicuro che fosse questa!"
"Sì, ma dopo essere ritornati dal bosco mi sembra quella sbagliata."
"E qual è la strada giusta, allora?"
"Quella", mi dice, indicandomi col dito un sentiero su un'altra montagna, dall'altra parte della valle.
"Scegli tu, ora", gli dico, "come vuoi morire: malattia, morte improvvisa o ginocchiata sui coglioni?"
Era lui quello che conosceva la strada.
"Vabbè, dai", faccio. "Torniamo indietro e ricominciamo da dove siamo partiti."
"Neanche morti. Adesso attraversiamo il bosco fino a giù, poi il torrente a guado, e poi saliamo nel bosco fino all'altro sentiero."
Io inizio a contare tutte le vesciche dei miei piedi.

Facciamo come dice lui. Di nuovo scivoliamo, cadiamo, ci facciamo venire altre vesciche. Poi scivoliamo attraversando il fiume, e cadiamo in acqua. Sbuchiamo infine al sentiero giusto da un cespuglio: così facendo spaventiamo un gruppo di turisti che stavano camminando. Siamo sporchi, accaldati, bagnati e spettinati.
"Scusate", ci chiede uno dei turisti, "è per di là il Rifugio Padova?", indicando dove il sentiero si perdeva nel buio del bosco, verso l'alto.
"Sì", risponde Riccardo. E' meglio che sia così, dopo quello che abbiamo passato per arrivare fino a qui.
"Perché noi siamo andati avanti parecchio, e non l'abbiamo trovato."
"Ah", fa Riccardo.
"Uh", faccio io (male alle vesciche).
"Eh", fa il turista.
Vabbè. Ci salutiamo. Loro vanno verso giù, noi verso su. Io e Riccardo camminiamo per un bel po', sempre in salita.
"Pensi che riusciremo mai ad arrivare al Rifugio Padova?", gli chiedo.
"Senti che buon profumo di sottobosco!", si finge tonto lui.
Io mi batto una mano sulla fronte.
Dopo un po' incontriamo un secondo gruppo di turisti.
"Scusate...", incomincia a dire Riccardo.
"Non possiamo, abbiamo fretta", ci rispondono, e vanno giù velocemente.
Vabbè, tipi strani.
Si ammassano dei nuvoloni grigi in cielo. Minaccia di piovere.
Incontriamo un terzo gruppo di turisti. Stanno quasi correndo giù. Si direbbero... spaventati, sì: spaventati è il termine giusto.
"Scusate...", fa Riccardo. Loro continuano ad andare giù senza badarci, indaffarati a scendere velocemente. Tipi strani anche questi, evidentemente. Camminiamo ancora un po'.
Quarto gruppo di turisti. Urlano, gridano, si disperano, corrono giù quasi rotolando.
"Scusate...", fa Riccardo.
"SALVATEVI, SALVATEVI FINCHE' SIETE IN TEMPO!", ci urla uno, con tutto il fiato che ha in gola.
Scappano via. Rimaniamo io e Riccardo soli. Ci guardiamo senza sapere cosa dirci: vedo che lui ha paura.
"E' colpa mia", mi dice infine: e scoppia in lacrime.
"Come, scusa? E' colpa tua di cosa?"
"Ricordi quando mi hai chiesto come volevo morire?"
"Sì: ebbene?"
"Ecco... ho scelto di morire di morte improvvisa."

I nuvoloni grigi sono sempre più vicini e più bassi: tra poco pioverà forte.
"Ma insomma", dico dopo molti istanti di silenzio, "perché in tutto il bosco non c'è un solo cazzo di fungo, oggi? E' strano, non ti pare? Ha piovuto la settimana scorsa, cazzo, c'è la luna crescente: qui qualcosa non va, qualcosa non va, qualcosa non..."
Il primo rimbombo mi azzittisce.
Qualunque cosa sia, sta arrivando.

(19.8.2005)

 
 
 

NUOVE

Post n°5 pubblicato il 22 Novembre 2005 da paura_del_buio

Da ora in poi chiunque vorrà scrivere un racconto, potrà farlo senza il fastidioso onere di mandarmi una e-mail.
Con permesso, mi dissolvo...

 
 
 

CHI C’È PER CENA STASERA?

Post n°4 pubblicato il 31 Ottobre 2005 da paura_del_buio

Erano le nove in punto, quando arrivai a casa di Leo. Mi aveva chiamato quel pomeriggio, e mi aveva dato appuntamento quella sera alle nove a casa sua perché voleva parlarmi. I suoi genitori non c’erano, e avrebbe gradito la mia compagnia per cena. Accettai il suo invito senza alcuna esitazione. Eravamo amici da tempo immemore, fin da bambini, e dall’ultima volta che ci eravamo incontrati era passato più di un mese.
In verità ero piuttosto preoccupato per la sua salute. Durante quel mese di silenzio e assenza avevo cercato di contattarlo più e più volte, ma il telefono rimandava sempre e solo un ossessivo “tu-tu-tu”. Avevo deciso di recarmi comunque a casa sua per sincerarmi della sua integrità, ma fui ostacolato dagli impegni, e soprattutto dalla distanza. Infatti, Leo viveva in una immensa cascina distante qualche chilometro dal centro abitato, e questo per me è sempre stato un ostacolo. Eravamo amici da 14 anni, dalla prima elementare, ma sono stato a casa sua (escluse le feste di compleanno con i prelibati dolci preparati da sua madre) non più di tre o quattro volte, quando proprio non si poteva fare a meno. Solitamente ci incontravamo a casa mia, o comunque in città.
Tuttavia, pur essendoci stato di rado, ricordavo piuttosto bene la casa. O meglio, ricordavo l’impressione. Più che una cascina era una sorta di “castello rustico”. Era così grande che probabilmente alcune camere erano sconosciute anche allo stesso Leo.
Quel pomeriggio, quando sentii la sua voce al telefono, tirai un sospiro di sollievo, e il cuore mi sembrava molto più leggero. Temevo fosse malato, ma la sua voce sembrava piuttosto energica, anche se devo dire che notai anche una certa vena di… non so come dire… di “negatività”.
La telefonata non durò molto. Provai a strappargli qualche informazione, ma la sua unica risposta fu che quella sera mi avrebbe spiegato tutto.
Così, puntuale come un orologio svizzero, alle nove in punto parcheggiai la mia vecchia Fiat Uno, e mi avviai sul sentiero di brecciolina che dal cancello serpeggiava fino alla porta. Nero e Calcutta, i due mastini da guardia, dapprima abbaiarono come forsennati, poi credo mi riconobbero, visto che si calmarono.
Quando ero a tre o quattro passi dall’uscio, la porta si aprì, e apparve l’ombra di Leo. La luce alle sue spalle lo faceva apparire come un fantasma, tutto nero, con le lenti degli occhiali che brillavano come gli occhi di un gatto.
- Ciao, Davide!
- Leo! Come stai? Cazzo, è un mese che non ci vediamo!
Entrato in casa, constatai che non era un fantasma, ma il solito Leo. I capelli biondi erano molto più lunghi di come li portava di solito, arrivavano quasi a toccargli le spalle, ma a parte questo era il solito Leo. Sembrava in ottima salute, e sorrideva. Bastò la prima occhiata a convincermi che mi ero preoccupato inutilmente.
Mi fece accomodare sul divano. Lo stereo propagava le note di “Metropolis” dei Dream Theater. Era sempre lo stesso, il buon vecchio Leo. Ascoltava quel cd da quando aveva 16 anni. Cazzo, pazienza ne ha da vendere. Quattro anni di “Images and Words” sarebbero troppi per qualsiasi essere umano!
- Allora, di cosa volevi parlarmi?
- È una cosa importante – disse passando da una stanza all’altra – prima ceniamo, poi ti dirò.
La cena era veramente ottima. Io non alzai un dito per prepararla, anche perché in cucina sono una frana, ma devo dire che Leo aveva davvero del talento con i fornelli.
- Caro Leo, sei un cuoco coi cazzi! – mi complimentai.
- Un bicchierino di Padre Peppe?
- No, no. Il vino ha già detto il giusto.
- Dai, è il Padre Peppe di mia nonna, quello fatto in casa. Altro che Striccoli!
- Mmm… se è quello di tua nonna, allora col cazzo che rifiuto!
- Oh! Mo’ ci capiamo!
Bevemmo più di mezza bottiglia di ottimo nocino fatto in casa: era già iniziata. Se fosse stata nuova, l’avremmo vuotata comunque.
Leo si gettò sul divano e accese la tv.
- Oh, Leo! Allora, si può sapere che cazzo avevi da dirmi?
- Ah! – disse levando leggermente il capo sopra la spalliera del divano. – È vero… vieni sopra, che ti spiego tutto.
Salimmo su per le scale barcollando e sghignazzando ad ogni monosillabo che nella nostra mente si rivestiva di significati che ora non saprei spiegare. Al piano di sopra c’era un lungo corridoio costellato di porte tutte uguali, come quelle degli hotel. Camminammo un bel po’, o almeno così sembrava, e finalmente arrivammo nella camera di Leo.
- Aspetta qui. Vado un attimo in bagno e poi parliamo – disse Leo. Poi sorrise e scomparve nel corridoio.
La stanza di Leo non era molto grande. Era molto più grande della mia, che ci sta solo un letto e una scrivania, ma non era grande come ci si aspetterebbe che fosse una camera in una casa-castello come quella.
C’era un letto piuttosto alto, di quelli antichi col materasso pieno di lana vera, di quelli che ci affondi dentro, e che ormai possiede solo qualche nonna delle più attempate. Dev’essere molto confortevole, pensai, e mi sedetti. Affondai giù nel materasso, e faticai un po’ a rialzarmi.
Oltre al letto, c’era spazio sufficiente per una libreria, un armadio, un paio di sedie (di cui una con le rotelle) e una scrivania.
Mi sedetti sulla sedia con le ruote, e mi abbandonai ad insulse piroette nei pochi metri quadri a disposizione. Poi mi fermai. Notai sulla scrivania un quaderno aperto, e mi spinsi un po’ con la sedia fino a raggiungere il quaderno con la punta delle dita. Pian piano, tirando coi polpastrelli, riuscii ad afferrare il quaderno e nello stesso tempo ad avvicinarmi ancora alla scrivania.

31 ottobre ’05

Era il diario di Leo. Chi l’avrebbe mai detto che Leo scrivesse un diario!
Diedi un’occhiata alla porta. Non si sentiva rumore di passi. Decisi di leggere.

31 ottobre ’05 

Caro diario,
questo pomeriggio ho finalmente telefonato a Davide, e l’ho invitato a casa. Lo faccio bere, vado a prendere la cara vecchia ascia, e lo faccio fuori.

Fui percorso da un brivido, guardai ancora verso la porta. L’idea era di fuggire di corsa, ma cazzo, è una vita che siamo amici, è il 31 ottobre, sarà uno scherzo. Sfoglio il quaderno a ritroso.

30 ottobre ’05

Caro diario,
Davide è il prossimo.

26 ottobre ’05

Caro diario,
Davide è il prossimo.

10 ottobre ’05

Caro diario,
Davide è il prossimo.

1 ottobre ’05

Caro diario,
Davide è il prossimo.

30 settembre ’05

Caro diario,
finalmente mi sono liberato di quei due scassacazzo di mamma e papà. Nero e Calcutta gradiranno, e credo che anche Davide gradirà. A proposito, te l’ho detto? Credo proprio che il buon vecchio Davide sarà il prossimo…

Gli scherzi si fanno il primo d’aprile, pensai.
Che schifo! Leo mi aveva cucinato i suoi genitori! Sentii che stavo per vomitare. Dovevo resistere. Dovevo riuscire ad arrivare alla macchina.
Mi scaraventai fuori dalla porta e vidi Leo che arrivava brandendo l’ascia. Non c’era un istante da perdere. Leo iniziò a correre, e più si avvicinava, più sembrava grande e feroce. Quegli occhiali con la spessa montatura nera, quel camicione grunge a quadrettoni, i suoi capelli svolazzanti. La lama scintillante dell’ascia.
Il corridoio era più lungo di quanto ricordassi, e si che mi era parso lungo qualche minuto prima…
Correvo, correvo, correvo e il corridoio non finiva mai. Più correvo, più mi sembrava di vivere un incubo. Alle spalle Leo urlava come una belva. Sentivo rimbombare i suoi passi scanditi dai pesanti anfibi. Sentivo già la lama nella mia carne. Maledetto corridoio, non finiva più!
Mi ritrovai la ringhiera nell’inguine. Un dolore cane, ma non avevo tempo per contorcermi. Non avevo neanche il tempo di scendere le scale: saltai direttamente giù.
Per qualche istante mi mancò il fiato. L’urto col pavimento deve aver nociuto al diaframma, o qualcosa di simile, e dovetti faticare un po’ a rimettermi diritto.
Leo era già a metà delle scale.
- Daaaavideee! Dobbiamo fare due chiaaacchieree! – cantilenò Leo sfoderando un ghigno malefico.
Col cazzo, pensai, e corsi a perdifiato verso l’ingresso, e poi giù per il vialetto, con i tacchi che mi urtavano la schiena.
Arrivai al cancello, ce l’avevo fatta! La macchina era li, oltre quell’esile struttura di metallo!
Uscii, e mi trovai davanti qualcosa che davvero non mi aspettavo: Nero e Calcutta, i due mastini, erano li, con la bava che colava dalle fauci. Ringhiavano, e i loro occhi brillavano come quelli dei gatti. Come gli occhiali di Leo.
- Cazzo! – mi sfuggì ad alta voce.
Mi accorsi che da quando ero uscito dalla casa, non avevo più Leo alle costole. Quel maledetto doveva aver addestrato i suoi cani.
- Daaavideeeee!
Cazzo, è qui!, pensai, e mi voltai istintivamente.

Quando aprii gli occhi, il muso del mio vecchio amico era a pochi centimetri dal mio naso. Stavo per svenire ancora.
Feci rapidamente il punto della situazione:
ero vivo, +1;
ero nella stanza di Leo, -10000000;
avevo mal di testa, -3;
dopo mezzo secondo ero ancora vivo, ancora +1;
ero legato alla sedia, -infinito;
è la sedia con le rotelle, +0,5.
Non era proprio un bilancio favorevole.
Credo che quando ero a un passo dalla macchina e dalle fauci di Nero e Calcutta, il buon vecchio Leo mi abbia stordito con un sasso. Poi deve avermi portato qui e messo a sedere, per poi andare a cercare una fune per legarmi. Quel sasso dev’essere stato bello grosso.
O forse non c’era nessun sasso.
Il fiato di Leo puzzava di alcol. Alcol e tabacco. A quanto pare ha ricominciato a fumare, il tanfo delle Pall-Mall rosse, anzi, New Orleans, è inconfondibile.
- Hai ricominciato a fumare? – chiesi, sperando di guadagnare qualche istante per pensare. Avevo mille cose per la testa, mille domande, e neanche uno straccio di risposta.
- Cazzi miei.
Quel miei lo pronunciò molto aspirato, alitandomi disgustosamente in faccia. Non riuscii a trattenere una smorfia di schifo.
- Bene, caro Davide – disse, allontanando finalmente quel brutto muso – è ora di fare due chiacchiere.
- Ok. Ma dimmi almeno perché…
- No! Ti farò saltare la testa, che cazzo vuoi sapere? Pensa a pregare!
Stavo per vomitare dalla paura. Ormai ero già rassegnato, speravo solo che finisse presto. Leo finalmente riprese l’ascia e iniziò a giocherellare, a farla volare, roteare in aria, ed acchiapparla al volo senza tagliarsi neanche un dito. Doveva essersi esercitato molto, pensai.
Poi si fermò, di colpo. All’improvviso si bloccò come un PC pieno di filmati porno. Mi fissava.
- È arrivato il momento di far saltare una bella testolina – sibilò luciferino.
Alzò l’ascia traendosi indietro più che potesse, poi si avvicinò svelto urlando come un gorilla furioso. Io istintivamente chiusi gli occhi, poggiando la guancia sulla spalla. Avevo tutti i muscoli tesi, tremavo, sentivo il cuore battere come un martello pneumatico, “tum-tum-tum-tum-tum”, pensavo avrei rivisto la mia vita, o almeno i due o tre momenti salienti, invece niente, solo buio, e l’urlo di Leo sembrava amplificato, cento volte più forte, sempre più forte, sudavo freddo, l’urlo mi entrava nel cervello ed echeggiava e si sovrapponeva a se stesso e tutto questo in un secondo o due.
Poi sentii un colpetto sulla guancia.
Aprii gli occhi. Solo un poco, però. Sbirciai e vidi Leo che mi mostrava il diario.

31 ottobre ’05

Caro diario,
questo pomeriggio ho finalmente telefonato a Davide, e l’ho invitato a casa. Lo faccio bere, vado a prendere la cara vecchia ascia, e lo faccio fuori.

Ahahah! Davide ci è cascato come un cazzone!

Lo guardai negli occhi.
- Vaffanculo!

scritto da jabawack85

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FUN TO HORROR

Post n°3 pubblicato il 26 Ottobre 2005 da paura_del_buio

Silenzio.

Non è facile trovare una tale assenza di suono.

Eppure sentivo di non essere sola.
Un silenzio roboante.

Mi premeva addosso come una presenza fisica. Ma non c'era nessuno oltre a me!

"Calma, stai calma. Non c'è nulla da aver paura! E' una semplicissima casa vuota. Nessun mistero, nessun evento cruento accaduto nel passato. E' solo la tua immaginazione. Tranquilla!" mi ripetevo, senza sosta.

Inutile. La sensazione persisteva.

Il cuore sempre più irrequieto, iniziava ormai a galoppare.

Mi accostai allo scalone della vecchia casa che avevo appena ereditato: un lascito di un anziano parente che era venuto meno alla veneranda età di 97 anni.

Aveva sempre vissuto lì, fino a pochi giorni dalla morte e nessuno dei domestici (una cameriera e una donna che lo accudiva, oltre al giardiniere che era il marito della prima) si era mai lamentato di qualche stranezza.

Mi erano appena state consegnate le chiavi ed ero talmente curiosa di vedere il posto, che non avevo atteso che arrivasse mia sorella per entrarci, ma le avevo lasciato la porta di ingresso accostata: avrebbe capito che non avevo resistito ed ero entrata!

Raggiunto il pianerottolo del primo piano...

SBADANG!

Per poco non ruzzolo dalle scale! Caspita, la porta di ingresso si è richiusa violentemente a causa di qualche corrente d'aria. Mi devo fermare aggrappandomi al corrimano. Sarò anche piuttosto razionale, ma questi rumori improvvisi ti spaventano anche se sai essere una diretta conseguenza della tua sbadataggine!

Alcuni istanti e mi riprendo iniziando ad inoltrarmi nel corridoio.

E' buio, nonostante le luci che lo costellano...ah, gli anziani...hanno sempre paura che ci sia troppa luce...

Ci saranno sì e no tre, forse quattro, delle dieci lampadine delle lampade che abbelliscono il passaggio!

Comunque, arrivo alla prima porta sulla sinistra.

Entro. La stanza è vuota se si esclude il bel comò posizionato sulla parete verso le scale. Mi avvicino e inizio ad aprire i vari cassetti. Contengono solamente biancheria un po' ingiallita, ma molto bella, tutta ricamata, reperto dei tempi in cui le signorine solevano prepararsi 'il corredo' matrimoniale. Ma nel penultimo cassetto, sotto uno splendido asciugamano con monogramma (ST, chissà chi era, mi sarei informata, penso), che sollevo per poterlo ammirare meglio, c'è una chiave.

Tutta lavorata, sicuramente antica, fatta a mano. Chissà cosa apriva? Mi incuriosisce questa chiave e inizio a spostare anche il resto della biancheria, ma non c'è altra traccia dell'oggetto che possiede la serratura apribile con quella chiave... non un indizio, nessun biglietto con un accenno alla chiave, che so, un quaderno di appunti...no, assolutamente niente.

Esco dalla stanza continuando a pensare a cosa potesse servire il mio ritrovamento.

Entrando nella stanza successiva mi stupisce la scena che vedo: se la prima era stata quasi vuota, questa è letteralmente stipata di oggetti! Due enormi armadi, una toilette, un tavolinetto da scrittura, un bel letto antico...Oltre a ciò, tutte le superfici sono ricoperte di una miriade di oggetti, tutti disposti in ordine. Le pareti ricoperte di mensole sono piene di libri e oggettini vari. Che gioia per gli occhi!

Ad un tratto però mi accorgo di qualcosa di strano: l'angolo a fianco della finestra, sulla destra, è quasi spoglio rispetto al resto dell'arredamento.

Mi avvicino e vedo che c'è solo un mobiletto piuttosto stretto, ma alto almeno 70-80 cm. Il mio sguardo ne era stato attratto, come un pezzo di ferro da una calamita. Capisco subito che è ciò che stavo cercando, e provo ad inserire la chiave nella serratura. La giro... nessuno sforzo: come fosse ben oliata e usata spesso, si apre immediatamente.

Tiro lo sportello verso di me e... incredibile! Una scala scende a partire da sotto il pavimento che il mobile occupa: in pratica nasconde questo passaggio.

Mi chiedo dove sia finita mia sorella.
Accidenti, avrà almeno mezz'ora di ritardo!

Decido comunque di tentare la discesa di quello stretta scala a chiocciola. Sono troppo curiosa!

Fortunatamente la finestra illumina a sufficienza, di modo che posso scendere senza anche dover sopportare il buio (non ho mai veramente superato questa mia infantile fobia, anche se quando sono in compagnia tendo a sdrammattizzare e fingere di non aver paura) oltre allo spazio non esattamente ampio che ho per muovermi.

Dopo quella che mi pare un'eternità (ma al massimo saranno stati due minuti!) giungo in fondo alla scala e trovo un interruttore. La luce si accende subito!

Mi trovo in uno spazio circolare, il pavimento in terra battuta. Sul soffitto ad arco si creano ombre ogni qualvolta mi sposto lievemente. Di fronte a me s'apre un corridoio, anch'esso illuminato, che non pare essere infinitamente lungo. Mi muovo in quella direzione, quando... una luce intensissima mi avvolge, mi trasporta in un turbinio di immagini, che girano vorticosamente...mille e mille sfumature di colore che si rincorrono davanti ai miei occhi in spirali infinite, poi d'un tratto, il buio... completo, assoluto. Non un puntino di luce. Buio. Scuro, denso, inattaccabile.

E silenzio.

Di nuovo QUEL silenzio.

Ma qualcosa è diverso: ora so, sono sicura di non essere sola. Sento qualcosa che mi tocca, come una lieve carezza sulla guancia, che svanisce dopo un solo istante, però. Poi la sensazione di paura che mi riassale e subito... ecco, mi arriva un suono... 'qualcuno' che respira vicino a me. O almeno, mi sembra il suono di un respiro... lo spero!

Non sono più certa di essere al buio, sento la luce. Mi circonda e mi riempie come una forma di calore. Come se non avessi più bisogno di aprire gli occhi, come se penetrasse sotto la mia pelle da ogni mio poro, sento che c'è luce. Ma le palpebre sono serrate, non vogliono saperne di sollevarsi. Ci sto provando con tutta la concentrazione che riesco a raccimolare e finalmente... ecco... riesco a far breccia nel muro dei miei occhi e subito la luce mi colpisce, mi trafigge le pupille e devo richiuderli di scatto. Almeno so di poterli aprire! Credo di essere viva, se posso aprire gli occhi. Ma... e se fosse meglio non riaprirli?!?

E' tornato il silenzio.

Inizio ad odiare il silenzio.
Odio il buio e ora anche il silenzio.

Trascorrono secondi che mi sembrano ore o anni, non riesco ad avere una cognizione del tempo che scorre. So solamente che continua il suo corso anche se io non lo riesco a quantificare. Cosa sarà successo? Dove mi trovo? Sarò ancora nella stanza segreta? O qualcuno mi ha portato via? E chi? Cavolo, se solo potessi alzarmi...

Le domande si susseguono in gare senza fine nella mia testa, son talmente tante che non riesco ad afferrarle. Son troppo veloci ad arrivare, così come a svanire. Soprattutto penso: tante domande, non una traccia di risposta... credo che qualcosa non funzioni. Ma cosa?

"Lauraaaaaa! Ehi, Lauraaaaaaaa!"

Con un balzo sono in piedi, mi guardo attorno, nessuna traccia della casa, della stanza, nulla: sono in giardino, a casa di mia cugina!

"Laura, sarà un'ora che ti cerchiamo, sarà modo di scomparire proprio quando dobbiamo partire in missione per LA CASA?", mi apostrofa mia sorella, "Non dirmi che ti sei di nuovo addormentata sul dondolo!"

 ...

 

scritto da SunnyLallina

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Un blog di: paura_del_buio
Data di creazione: 01/10/2005
 

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il 23/03/2008 alle 17:44
 
Auguri di un felice, sereno e splendido Natale dal blog...
Inviato da: Anonimo
il 25/12/2007 alle 23:33
 
Salve a tutti, Napoli Romantica, continua anche in...
Inviato da: Anonimo
il 27/07/2007 alle 22:21
 
Terrorizzare, no. Però speravo almeno di suscitare un...
Inviato da: Anonimo
il 10/12/2006 alle 09:43
 
il racconto nn è brutto,ma cosa ci dovrebbe terrorizzare
Inviato da: Anonimo
il 08/12/2006 alle 15:35
 
 

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