Ricordi e tanto mare

Prima Guerra mondiale 24 maggio 1915


24 maggio 2015. L’Italia dichiara guerra all’Impero d’Austria-Ungheria. Il Re Vittorio Emanuele III invita i soldati ad essere uniti e completare quel percorso, che con il sacrificio del sangue, ha portato all’Unità nazionale. L’ormai vecchio Kaiser Franz Josef I invece si rivolge, come di consueto nei proclami emessi durante la guerra, “an Meine Völker” (ai miei popoli); quei popoli che formano il suo impero, così eterogenei, che stanno iniziando (in quel periodo soprattutto italiani e ungheresi, senza sottovalutare però i moti cechi e degli slavi del sud) a mal tollerare il dominio di Vienna, affinchè sia mantenuta l’unità per superare l’ennesima guerra, dichiarata da un “nemico vile e traditore”. Effettivamente, l’Italia era legata alla Triplice Alleanza, con Impero austro-ungarico e Impero tedesco, sin dal 1882. Era un’alleanza, molto particolare, sicuramente non destinata a durare: troppe province a maggioranza italiana erano sotto il controllo austriaco. Ci furono poi molte frizioni già nel 1908: l’Austria-Ungheria annettè la Bosnia e come compenso per controbilanciare il crescente potere austriaco sull’Adriatico si erano pattuite le cessioni all’Italia del Trentino e della Venezia Giulia, esclusa Fiume; ma il patto non fu rispettato. Al momento dell’entrata in guerra degli Imperi centrali contro la Triplice Intesa, nel 1914, la Germania propose all’Italia, tramite l’ambasciatore von Bülow, il Trentino e la Venezia Giulia. Ciò in cambio della neutralità italiana (la Triplice Alleanza non obbligava i contraenti ad entrare in una guerra di aggressione e la guerra l’aveva scatenata l’Austria); mancando però il consenso dell’Austria, interessata dalla cessione territoriale, l’accordo non andò in porto. In Italia però fibrillavano già le associazioni irredentiste, che prevalevano nei consensi nell’opinione pubblica italiana (soprattutto tra i borghesi e le classi medio-alte, dotate di istruzione e infarcite di ideali di Unità nazionale da intellettuali quali i futuristi e D’Annunzio). “Trento e Trieste devono tornare italiane!” Questo lo slogan nelle piazze delle maggiori città del nord e nelle università; i fautori della neutralità erano i socialisti, vicini alle classi più misere, specialmente del Sud, i cui figli sarebbero stati (e in effetti furono) carne da cannone. Inghilterra e Francia, già provate dall’inizio della guerra di trincea, fecero un’offerta che non si poteva rifiutare. In cambio dell’entrata in guerra, l’Italia avrebbe ottenuto il dominio dell’Adriatico, con l’annessione di tutta la Dalmazia fino a Cattaro e il riconoscimento dell’influenza italiana in Albania, nonchè l’annessione dell’Alto Adige (allora Sud-tirolo), terra a maggioranza tedesca. Arriviamo quindi al 24 maggio 1915, accolta con entusiasmo arriva la guerra per gli italiani. Fu lunghissima, quasi quattro anni, combattuta sul fronte alpino -il più duro dell’intero conflitto- dove le temperature furono quasi sempre sotto lo zero e sull’Isonzo, dove centinaia di migliaia di soldati di ambo le parti morirono scagliati da comandanti incompetenti contro le mitragliatrici. Ci fu Caporetto, ma gli Italiani in trincea si fecero un popolo e una nazione, difesero i confini e infine risorsero sul Piave, dove ci fu l’offensiva finale che culminò con la Vittoria, il 4 novembre 1918. Circa seicentocinquantamila soldati italiani e cinquecentomila soldati austroungarici non c’erano più, come non c’erano più le cime del Monte Lagazuoi e del Col di Lana,sulle Dolomiti, devastate dalla guerra di mine. Neanche l’antico Impero austro-ungarico era sopravvissuto al massacro, le sue etnie si erano rese indipendenti, formando nuovi stati nell’Europa Centrale, lasciando Vienna una capitale decaduta di un corpo atrofizzato, che sarà poi preda di Hitler nel 1938. I confini italiani si spostarono fino a Fiume, inizialmente non compresa nel Regno d’Italia e annessa nel 1924, e a nord fino al Brennero, annettendo un territorio popolato in maggioranza da popolazione di lingua tedesca, dando adito a un problema di integrazione che ha i suoi strascichi ancora ai giorni d’oggi. 24 maggio 2015. Cento anni dalla guerra, le province di Trento e Bolzano, nonchè molti relativi comuni, si rifiutano di esporre il Tricolore sugli edifici pubblici, come richiesto da una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La motivazione: non si può festeggiare l’evento che ha portato alla morte milioni di giovani europei. Sicuramente questo è vero, la guerra è stata una tragedia, ma è stata la prima guerra mondiale l’evento unificatrice della Nazione italiana (non a caso all’epoca se ne parlò come di “quarta guerra d’indipendenza”) e ciò non solo a livello territoriale, ma soprattutto a livello umano. Gli italiani ebbero modo di conoscersi nelle trincee, da nord a sud confluivano al fronte; essi non erano più sconosciuti, uniti in modo formale da uno stato giovane e ancora “piemontesizzato”. I dialetti si mescolarono e si misero da parte i regionalismi, si cominciò a pensare da Nazione unita come si può vedere nel bellissimo film “La Grande Guerra” di Monicelli con Sordi e Gassman. Nei panni di soldati guasconi, uno romano e uno milanese, essi diventano eroi loro malgrado, morendo senza tradire la loro Patria. L’Italia è nata dalle macerie della guerra, grazie al sacrificio di quei seicentomila che sono morti al fronte. Bisognerebbe spiegare questo ai trentini e agli altoatesini -ancora anacronisticamente legati al proprio singolo campanile-: non è una macabra festa della morte, ma è una festa della vera Unità Nazionale.Dall'Articolo: 24 maggio 1915. Ieri e oggi di Alessandro Sassoli