ORIGINI BOREALI

LA RAZZA ROSSA – PARTE 3


In ogni caso, non ci sentiremmo nemmeno di escludere che, sia il rutilismo che una colorazione cutanea tendente al rossastro, possano essere stati a suo tempo presenti contemporaneamente nella prima umanità, scindendosi poi e riemergendo occasionalmente nel mondo come elementi separati ed indipendenti. Ne sono forse testimonianze dirette alcune popolazioni pigmee, che peraltro sottolineano spesso la loro netta diversità rispetto a quelle negroidi e sostengono di non essere di colore nero; il concetto peraltro pare confermato dall’osservazione delle relative pigmentazioni, che effettivamente appaiono piuttosto bruno-rossastre, non molto scure, e dalla non rara presenza di individui con occhi azzurri e capelli biondi, o tendenti al rosso. Forse si tratta delle stesse popolazioni, o similari, raffigurate in certe pitture rupestri del Sahara e risalenti al neolitico, nelle quali si notano popoli cacciatori dalla pelle scura ma con capelli biondi o rossicci. Per cambiare continente – confermando, quindi, una diffusione antica di tali caratteristiche ben superiore a quella attuale – si potrebbe citare l’antica razza sudamericana di Lagoa Santa che Renato Biasutti segnala contraddistinta, contemporaneamente, sia da capelli che da pelle tendenti al rosso. Ma anche al di là del rutilismo, vi sono ulteriori elementi antropologici e culturali per ipotizzare un’arcaica diffusione della razza rossa su larghissima scala.   In Africa, a parte le già incontrate popolazioni pigmee odierne, o anche quelle più genericamente pigmoidi, vi sono significative testimonianze provenienti da un passato mitico: Bertaux segnala infatti che gli attuali negridi africani (in particolare i Dogon del Mali) fanno spesso riferimento ad enigmatici “uomini rossi” – non senza una relazione diretta anche con i Pigmei attuali – che furono un popolo a loro preesistente e caratterizzato dalla piccola statura. Più a oriente, avevamo già accennato alle particolarità antropologiche delle popolazioni etiopiche, che presentano caratteristiche scheletriche e facciali di tipo decisamente europoide e la cui pelle scura denota, rispetto ai negroidi classici, un tono decisamente più rossastro; non va poi dimenticato il fatto che gli stessi Etiopi definiscano sè stessi come “i rosei”.   In Asia, nella vicina zona meridionale della penisola arabica, i popoli dell’Hadramaut, ovvero gli himyariti – che nella loro lingua significa appunto “i rossi” – avrebbero in tempi antichi risalito il mar Rosso, che proprio da loro avrebbe preso l’attuale nome, e si sarebbero stabiliti in Libano, da cui i Fenici – “i rossi” anche loro – ne sarebbero i discendenti. Per restare nel Mediterraneo, ricordiamo che anche i Cretesi erano chiamati “i rossi” dagli Egizi, ma, come loro, un po’ tutte le popolazioni del continente europeo – che Guenon ci segnala aver rappresentato miticamente la “Terra del Toro” – sembrano essere state delle multiformi propaggini della onnipresente razza rossa. Per Julius Evola, tali gruppi sono di origine occidentale ed atlantidea, quindi nella sua visuale non realmente primordiali, ma purtuttavia, va ricordato, anteriori e di “substrato” rispetto ai più recenti Arii (sul problema indoeuropeo avremo comunque modo di ritornare più avanti): Pelasgi, Egizi, Cretesi, Subarei, “Indomediterranei” vari, fino a gran parte delle popolazioni mesopotamiche e del vicino oriente. Ma se, a nostro avviso, appare convincente l’idea di un contributo fondamentale della razza rossa, nel caso specifico, al popolamento dell’area mediorientale, meno sicura sembra invece esserne la provenienza da ovest, almeno per gli antenati di Sumeri e Caldei: in una significativa nota lo stesso Herman Wirth ipotizza, infatti, una loro provenienza non dall’area nordatlantica (che sembra invece aver originato i Tuatha de Danann) ma piuttosto da un settore nordorientale. Si sarebbe trattato di gruppi iperborei noti come “esquimesi bianchi”, “uomini del sole”, o anche “gente di Tanara”, il cui ricordo sembra ancor oggi presente tra gli Inuit. E un elemento simile a quello che avrebbe generato i Sumeri, sembra presente ancora più ad oriente, in India, dove Evola accenna al ritrovamento di resti di civiltà simili anche all’elemento Maya e databili a prima dell’arrivo degli avi degli indù, che al tempo erano ancora stabiliti nel nord eurasiatico. Proseguendo ulteriormente verso est, e ritornando su aspetti più prettamente bio-antropologici, va ricordata la razza indonesiana, la cui pelle presenta un pigmento bruno-rossastro, e che un tempo dovette essere molto più diffusa rispetto alla sua attuale estensione, con propaggini spintesi fino all’arcipelago giapponese. Significativamente, è stato notato che le sue caratteristiche la avvicinano alla razza mediterranea, mentre sembra denotare anche la presenza un importante elemento ainuidico. Ma pigmentazioni con componenti rossastre, sono frequentemente rinvenibili anche tra le popolazioni australiane (che di tanto in tanto segnalano anche sporadici casi di biondismo) e la cui varietà più pura è la Carpentaria, che presenta una pelle di colore nerastro con sfumature verso il rosso cinabro e l’arancione. Nella zona dell’Oceano Pacifico, pigmenti cutanei rossastri sono spesso presenti nella razza melanesiana ed anche in quella polinesiana, mentre in America caratteristiche analoghe, a fianco di una base bruno-giallastra, si ritrovano soprattutto tra gli amerindi della razza amazzonica e della razza fueghina. Già sulla base di questi elementi, sembrerebbe quindi delinearsi una vastissima area di continuità antropologica e culturale mediterraneo-pacifico-americana, passando per i già incontrati Ainu del Giappone; area che probabilmente rimanda ad un’ancor più vasta – quindi planetaria – dispersione di quello che dev’essere stato il ceppo umano originario di tutte le attuali popolazioni mondiali. Una forma forse inizialmente avvicinabile alla tipologia Combe-Capelle, da qualcuno definita come “archeo-mediterranea” ed anteriore agli stessi gruppi Cro-Magnon, o forse anche ad essa precedente ma non molto dissimile nell’aspetto.