Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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CRITICA DELLE TEORIE AFROCENTRICHE: ASPETTI GENETICI – PARTE 3

Se poi, oltre al discorso della struttura generale degli alberi evolutivi, si affronta il tema della loro "taratura" temporale e la definizione del ritmo di quello che è stato definito l’  “orologio molecolare”, i problemi non sembrano minori.

Cavalli Sforza ci ricorda che la stima della data nella quale si sarebbe verificata una certa mutazione è necessariamente un elemento ipotetico; ciò è conseguenza del fatto, come abbiamo visto per una certa tipologia di alberi filogenetici, che per tutte le popolazioni viene a priori reputato costante il ritmo dell’orologio molecolare, ovvero la velocità alla quale, nel corso del tempo, le mutazioni si accumulano nel DNA umano. Ma questo assunto è ben lungi dall’essere dimostrato ed infatti da più parti sono stati espressi seri dubbi sulla reale profondità temporale da attribuire alla cosiddetta “Eva mitocondriale” (come dicevamo, individuata più di vent’anni fa con i lavori di Alan Wilson), ovvero l’ipotetica rappresentante del nostro genere dalla quale sarebbero partite tutte le linee mitocondriali attualmente presenti, con varie mutazioni, nel mondo. La difficoltà attuale di ancorare saldamente gli “orologi” biochimici ad eventi datati in modo sicuro ed indipendente permane tuttora; a tale proposito, è stato rilevato come, ad esempio, l’Eva mitocondriale potrebbe anche non corrispondere ad una rappresentante di Homo Sapiens Sapiens, ma ad una femmina di Homo Erectus (come sostengono Thorne e Wolpoff, in ottica “multiregionale”), specie che secondo i paleoantropologi sarebbe anch’essa uscita dall’Africa, ma in tempi ben precedenti rispetto alle ipotetiche migrazioni che la teoria “Out of Africa” ipotizza per gli uomini anatomicamente moderni. Vi sono infatti grosse incertezze sul punto nel quale collocare Eva: si parla in genere di 150-200.000 anni fa, ma altri ricercatori hanno proposto 400.000 anni, altri ancora fino a 1 milione di anni….

Più probabile sembrerebbe invece l’ipotesi di una velocità di mutazione non omogenea per tutte le popolazioni mondiali ed in tal caso potrebbe, a nostro avviso, essere anche  maggiormente intuitivo il concetto che alcune popolazioni odierne si siano geneticamente allontanate più di altre dal tronco ancestrale comune, o perché staccatesi prima, o perché sottoposte in ambito molecolare, per vari motivi, ad un ritmo evolutivo (o involutivo ?) più sostenuto.  

In effetti, recenti studi sembrano dimostrare che il tasso di evoluzione (ricordiamo sempre che usiamo il termine “evoluzione” non nel senso darwiniano, cioè di un continuo andamento ascendente, ma semplicemente quello di un percorso seguito) sembra già essere disomogeneo tra diversi raggruppamenti di organismi e ciò si evidenzia ad esempio nel fatto che, per molti phyla biologici, le date di apparizione iniziale desunte sulla base dei ritrovamenti paleontologici sembrerebbero essere molto diverse, posteriori anche di centinaia di milioni di anni da quelle in teoria ipotizzate per via molecolare. Se alcuni studi hanno quindi evidenziato che il tasso di mutazione del materiale genetico varia a seconda della specie considerata, ciò sembrerebbe esser stato verificato anche all’interno di una stessa specie in funzione dei vari geni analizzati; è chiaro che, con queste variabili in gioco, l’attendibilità dell’orologio molecolare viene seriamente messa in dubbio. E’ ad esempio rilevante la notizia (Le Scienze – giugno 2006) della scoperta di una generale velocità doppia di fissazione delle mutazioni genetiche alle latitudini tropicali rispetto a quelle medie; a nostro avviso non è quindi insensato considerare, a fianco della parallela osservazione di una minore biodiversità nelle zone polari rispetto a quella delle latitudini più basse, la possibilità che popolazioni migrate in prossimità delle zone equatoriali possano dare oggi l’erronea impressione di essere più antiche (perché con un genoma maggiormente mutato) rispetto magari ad altre, coeve ma rimaste a latitudini più elevate.  

Quindi, concludendo sull’orologio molecolare mtDNA, ricordiamo che la velocità stimata è stata estrapolata sulla base, secondo noi ipotetica ed evoluzionisticamente pre-orientata, della data di separazione tra uomo e scimpanzè (vi avevamo già rapidamente accennato) e poi ribadita da un altro elemento fortemente incerto, cioè quello del tempo di fissione dei nativi americani dalle popolazioni siberiane, valutato attorno a 12.000 anni fa (valore probabilmente troppo basso: torneremo sull’argomento quando affronteremo il tema, che si sta rivelando sempre più complesso, del popolamento del continente americano). Riteniamo, quindi, che anche la modalità di taratura dell’orologio molecolare abbia seguito logiche pregiudizialmente evoluzionistiche ed afrocentiche, dal momento che proprio l’Africa è stata scelta come area di riferimento per l’asserita ininterrotta serie di fossili che coprono gli ultimi 3 milioni di anni con forme “intermedie” dalla scimmia all’uomo, ma con la significativa ammissione, sottovoce, che un limite di questa impostazione può essere rappresentato dalla totale assenza di fossili umani in Africa occidentale...

 
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