Patchwork

Post N° 8


 
Calcio e violenza. Vorrei fare anch’io alcune considerazioni, scaturite dai fatti appena accaduti a Catania. Lo faccio senza la pretesa di vantare soluzioni precostituite  e senza voler fare il riassunto inutile dei tanti testi di sociologia che hanno affrontato il problema, senza peraltro aiutare granchè a risolverlo, perché se soluzioni esistono, non possiamo certo sperare di trovarle nella testa di psicologi, psichiatri, studiosi del costume e sociologi.Vorrei partire da un dato di fatto. L’Inghilterra e il Regno Unito in genere, quanto a violenza nel mondo del calcio hanno precorso indiscutibilmente i tempi. Lì gli episodi di violenza nel football risalgono addirittura al 1885! Valutazioni sfavorevoli da parte di un giudice di gara portano i tifosi a prendersela prima con l’arbitro e poi contro i supporters della squadra avversaria. E incomincia a passarci di mezzo anche la polizia, che cerca di sedare gli scontri. Nel campionato scozzese del 1900, a Glasgow in uno scontro terrificante fra i tifosi cristiani del Celtic e quelli protestanti dei Rangers viene distrutta una buona parte dello stadio e viene messa a repentaglio la stessa incolumità degli edifici circostanti.Il fenomeno della violenza, come ingrediente scomodo e pericoloso delle partite di calcio, non è un fenomeno recente nemmeno in IItalia, anche se qui da noi l’escalation è un fatto che risale al secondo dopoguerra. Fino ad allora molto spesso i tifosi di una squadra si trovavano sulle gradinate accanto a quelli dell’altra e tutto si concludeva con  semplici tafferugli. Negli anni ’50 le cose incominciano a cambiare e i tafferugli si trasformano in violenza allo stato puro. Ci si scaglia contro la terna arbitrale, che ritenuta, spesso e volentieri,  responsabile di decisioni sfavorevoli, e, strano ma vero, ci si scaglia anche contro i giocatori della stesa propria squadra,  ritenuti a causa del loro  comportamento, del loro scadente impegno, della loro risibile combattività,  responsabili di una sconfitta cocente, che li espone al ludibrio  insopportabile dei tifosi avversari. Gli scontri abbandonano il contesto del campo di gioco e si trasferiscono all’esterno, gli autobus delle squadre avversarie vengono presi di mira da furiose sassaiole, con assedio di spogliatoi, e con vere e proprie aggressioni a dirigenti, allenatori e agli stessi giornalisti. Secondo il Roversi (1990) comportamenti di tal fatta non vanno tanto inquadrati nella cosiddetta “psicologia delle folle”, quanto piuttosto nell’affermarsi di una ben definita matrice culturale. L’atteggiamento tutto italiano di un campanilismo esasperato si è poi aggiunto ad aggravare ulteriormente la situazione. In questa fase i tifosi non sono ancora stabilmente organizzati, e in loro prevale una matrice culturale basata sull’esaltazione della virilità, della forza fisica, di un agonismo esasperato e di un ancor più esasperato campanilismo.  Nei malumori che sfociano successivamente in violenze non c’è niente di organizzato e tutto scaturisce da controverse situazioni di gioco o dalla problematica classifica della propria squadra. È a partire dalla metà degli anni ’70 in poi che il quadro appena descritto tende rapidamente e drasticamente a cambiare. I tifosi iniziano ad organizzarsi in formazioni di ispirazione barricadiera, e con nomi “di battaglia” che sono tutto un programma e che lasciano trapelare tutto un ben preciso substrato ideologico: Ultras, Fedain, Fighters, Commandos,Brigate, Katanga, Gruppo Autonomo, Ordine Nuovo, Regime, Fossa dei Leoni, Boys, Blue Tigers, Bad Boys, Wild Kaos, Sconvolts, Viking, Vigilantes e Warrior sono solo alcuni dei nomi di “battaglia” di questi tifosi, nomi che sottintendono ideologie ben precise. Di destra e di sinistra.Cambia tutto e, soprattutto la propria squadra viene incitata seguendo tutta una serie di nuovi rituali, dei quali le nuove tifoserie si compenetrano profondamente, come in una vera e propria “fede” e  nei quali le tifoserie stesse si riconoscono totalmente,  identificandosi e immedesimandosi in essi. L’individuo con i suoi valori, con la sua personalità e con la sua educazione scompare per annichilirsi nel gruppo, che diventa il suo valore, la sua vera forza, il suo “dio”. Questo  non è più il tifo di un tempo ormai obsoleto. Il tifo finisce adesso col pretendere e con l’ottenere, purtroppo, una visibilità nuova. Adesso non si va più allo stadio vestiti come capita. Adesso l’abbigliamento deve essere un “abbigliamento da stadio”. I cori vengono studiati con precisione maniacale, forse meglio di quelli che vengono proposti nelle chiese e studiati dai fedeli per eseguirli durante la Messa. E poi ancora, botti e petardi, fumogeni, razzi, “ole,” bandiere, striscioni tematici, coreografie spettacolari, trombe e battiti di mani  e rullo di tamburi, a scandire slogan quasi sempre offensivi e pieni di odio.Va comunque detto che ormai il nuovo tifo configura un universo giovanile  sicuramente permeato di  un  movimentiamo ribellistico, movimentista e contestatario, i cui comportamenti sono riorientati  da ideologie politiche distorte dalla loro mente, spudoratamente deliranti.In uno dei tanti blog visitati nei giorni scorsi, anzi, credo proprio in quello selezionato da Libero come “Blog del giorno”, ho trovato alcune affermazioni con le quali sono completamente d’accordo, ma, purtroppo, quella che lascia completamente a desiderare è la conclusione, nella quale, piuttosto a vanvera, l’autore del post afferma che “ Per un discorso di più lunga durata, per  combattere la violenza, credo che sia giunto in Italia il momento di reintrodurre l'educazione civica nelle scuole come materia dove insegnare l'educazione alimentare, medica,stradale,sessuale,che funga da prevenzione per droga, malavita e comportamenti sociali devianti. Per gli adulti forse bisognerebbe pensare a dei corsi di rieducazione fatti per televisione o all'interno delle strutture dove lavorano!”. Passi il discorso per gli adulti, ma quando mai l’educazione civica è stata eliminata dai programmi scolastici? A qualcuno risulta che nelle scuole l'Educazione civica non faccia più parte dei programmi scolastici? E, fra l'altro,  siamo ancora una volta alle solite. Quando qualcosa nella società non funziona a farsene carico chi deve essere? La scuola, naturalmente! Secondo parecchi è la scuola che deve farsi carico di tutti i mali che travagliano la società. Ma, a prescindere dal fatto che a scuola è possibile inserire nella programmazione di classe qualunque argomento venga ritenuto importante e utile per la crescita culturale e sociale dei giovani, a prescindere da questo mi chiedo e vi chiedo se a vostro parere è proprio questa la strada per eliminare la violenza che continua ad insanguinare  le domeniche dello sport? Forse non si è ancora ben capito che i fatti di Catania e, in genere, gli scontri con la polizia non hanno niente a che vedere col calcio. Possibile che si continui a parlare solo di stadi sicuri, di tornelli e di educazione?