Patchwork

8 marzo - Non solo pizza e mimose.


Esiste ancora il movimento femminista in Italia?
L’uccisione di Hina, la ragazza pakistana sgozzata dal padre, venne accolta molto tiepidamente dalle femminista italiane. E al suo funerale le donne erano solo due, il suo avvocato e l’onorevole Daniela Santanchè. In sede processuale nessuna organizzazione di donne si è costituita parte civile. Si ha quasi l’impressione che prendere rigidamente posizione contro le violenze avvenute nell’ambito di comunità di immigrati, appartenenti a culture diverse, possa venir giudicato come comportamento razzista e possa venir valutato come comportamento “politicamente scorretto”. È una sensazione sbagliata?  In Italia fra le prime cause di morte violenta sono rappresentate da  delitti di carattere familiare, oppure  avvenuti nell’ambito di persone legate da rapporti di parentela o da vincoli di carattere sentimentale. Gli assassini e i loro complici non possono e non devono godere di nessuna attenuante. Non si può e non si deve fare appello a convinzioni morali, religiose o di qualunque altro genere per cercare di ottenere un qualunque sconto di pena. Non c’è niente che possa giustificare la violenza sulle donne e la responsabilità deve essere considerata di carattere assolutamente personale. Il punto nodale della questione è rappresentato dalla condizione attuale delle donne, in Italia e nel mondo. E di queste problematiche si è fatta interprete e portavoce Amnesty International, con la sua campagna “Mai più violenza contro le donne”. In questo senso la giornata dell’8 marzo dovrebbe offrire molti spunti di riflessione. Oggi si parla di mimose, di auguri e di cene in pizzeria. Ma alcune interviste passate nei vari telegiornali, hanno mostrato che non sono tanti gli uomini e le donne che conoscono  il significato e l’origine di questa “Giornata Internazionale della donna” , arricchita anche da un personale, appassionato intervento del nostro Presidente della Repubblica. Si parla di quote rosa e di pari opportunità, ma non si ricorda mai abbastanza che non tutte le donne aspirano ad essere elette in Parlamento, ma che, invece, proprio tutte rivendicano il diritto di poter uscire di casa, anche senza dover essere accompagnate, anche senza doversi coprire dalla testa ai piedi. Purtroppo si ha l’impressione che quel che ancora rimane del movimento femminista sia anch’esso fortemente condizionato dal timore di essere tacciato di razzismo e di comportamento “politicamente scorretto”. È possibile?