Patchwork

Post N° 106


UN SOGNO
SAPESSI QUANTE VOLTEdi Paola Tiscornia (Milano)Ho un sogno, sai? Rincontrarti. Una volta sola, magari, basterebbe. Vederti di nuovo, prenderti la mano. Prenderti sottobraccio e fare di nuovo ancora un po' di strada insieme. Prendere il telefono, la mattina, fare il tuo numero così, solo per niente, soltanto per sentire la tua voce. Come facevo prima, come facevi tu. Parlare del tempo, della notte passata, di quella che verrà.Oppure no, prenderti in giro, un po' per gioco e molto per il gusto di rischiare, in bilico sul precipizio, col cuore in gola come un funambolo alle prime armi. Portarti al punto che conosco così bene in cui cerchi di non arrabbiarti e non ci riesci, e poi non cerchi neanche più. Finivamo col litigare, con parole già viste e già sentite che darei non so cosa adesso per poter ripetere e sentire. Invece adesso c'è il silenzio. Allora ti tendevo la mano e questo bastava per ricominciare. Mi piaceva cedere, mi dava un senso di potere. Era la forza contro la forza, la mia contro la tua.Non ci sono più scontri, adesso. Né incontri.Sapessi quante volte, ora che è finita, mi sorprendo a pensare che mi manchi. Sapessi quante volte mi pare ancora di vederti per la strada. Le corse che faccio, con il cuore in gola, per stringerti all'angolo, spiarti dalla vetrina di un negozio, arrivare prima di te, voltarmi come per caso e poterti guardare bene in faccia. Le rincorse che prendo per mettermi al passo con te, arrivare quasi a sfiorarti, controllare la tua camminata, se davvero è la tua, osservare il modo in cui tieni la borsa stretta al fianco, verificare come un parrucchiere il colore dei capelli, se ancora è lo stesso. Ah, è ridicolo, e forse lo sono anch'io mentre mi fermo di colpo, cerco di darmi un tono, osservo se qualcuno per caso mi ha osservato, ritiro la mano e ti guardo allontanare.Non ti ho chiamata, non ti saresti voltata.Chissà poi come sei adesso, come sarai bella, di chi sei e a chi appartieni. Chissà chi ami, se ami. Chissà chi guardi, se guardi, se sai guardare e con che occhi.Chissà se ci sono ancora io, per te. Se faccio parte del tuo passato o del tuo presente. Chissà se anch'io ti manco, cara.Io continuo a parlarti tentando di imbrogliare il tempo, a porgerti come fiori e colori tutte le parole che non ti ho mai detto quando eravamo insieme. Non perché non sapevo dirtele, anzi. Non ho proprio voluto. Rimandavo. Mi pareva poco importante, e avevo sempre qualcosa di più urgente e di diverso, qualcosa o qualcuno da mettere davanti a te. Non avevo voglia, non l'ho cercata, tante cose invece di dirle a te le ho dette ad altre persone che hanno diviso la mia vita per un minuto o solo per un giorno. Ora che le parole fra noi non servirebbero, vorrei legarle, farne una collana lunga come il mondo e avvolgertela attorno. Per non farti scappare, per farti ritornare.Facile, eh? Diresti tu. Diresti, come un tempo: forse non ricordi tutte le volte che mi hai fatta piangere. Quando mi provocavi per vedere se stavo male e quanto, quando mi sfidavi, quando fuggivi, le notti in cui ti ho atteso, sveglia, contando il ritmo del mio respiro. Lo so, lo sai? ma era amore anche quello. Ora rivorrei indietro persino quegli sbagli, per rifarli ancora. Per usarli contro di te. Ancora insieme, noi due. Rivorrei le tue mani, i tuoi occhi: "Vedi? Ho gli occhi di mio padre", dicevi. Alla luce hanno riflessi d'oro. Vedevano così male, sapevano vedere così bene.Facciamo un gioco? Come ai tempi dell'infanzia. Mi siedo sul letto e ti cerco con la mente e con il cuore. Ti chiamo, tu arrivi. Me l'avevi promesso: "Io per te ci sarò sempre". È vero, ma era così tanto tempo fa. Vieni ugualmente, ti avvicini, non proprio come vorrei ma abbastanza perché io veda che sei tu. Allunghi una mano per toccarmi. "Quanti capelli bianchi hai, adesso", dici in un sospiro.Non ti rispondo, ora che ti vedo, non ho niente da chiedere, da dirti. Puoi anche stare zitta, a me basta solo che non te ne vai.Riapro gli occhi e accanto a me vedo mia figlia. È di corsa, è sudata, ha fretta ma si ferma sulla porta. Come altezza non arriva al Comò, ma ha già l'intuito di una donna. Mi guarda con affetto, come se tra noi due la più indifesa fossi io. Alla luce, sembra che i suoi occhi abbiano riflessi d'oro. Mi chiede, piano, con chi sto parlando."Con mia madre", rispondo al suo sorriso. "Le ho appena detto quanto le voglio bene".