Patchwork

GENITORI E FIGLI


  Non esiste nessuna relazione umana che sia più profonda di quella che unisce genitori e figli, eppure non c’è, forse, al mondo nessun conflitto che sia più drammatico di quello , eterno, tra generazioni.E di questo conflitto una delle testimonianza più esemplari è rappresentata dalla confessione che Franz Kafka  affidò alle celebri pagine di “Lettera al padre”. Il padre, l’uomo dell’autorità, dell’azione pratica ed efficace cui tutto, anche la vita presente, va sacrificato; il figlio, che chiede comprensione per le attività “infantili” (la lettura, e più tardi la letteratura), che costituiscono l’essenza del suo essere, ma che il padre non accetta in nome del perseguimento del vero scopo della vita, la costruzione di un avvenire solido e sicuro. Franz Kafka voleva intitolare tutta la sua opera “Tentativi di evasione dalla sfera paterna”, e  se i “tentativi” del grande scrittore praghese sono andati a buon fine è proprio grazie alla funzione catartica di quella disciplina, la letteratura, che proprio suo padre tendeva ad ostacolare. Ma che riguardi uomini di genio come Kafka, o noi comuni mortali, l’evasione dalla sfera familiare è possibile solo al prezzo che tutti noi conosciamo: le ferite che, loro malgrado, i figli devono infliggere ai loro genitori. Ma perché deve succedere questo? Perché ogni figlio "uccide" il proprio padre? La risposta appare di una banalità sconcertante, ma è la risposta: perché i figli stanno coi genitori, ma non sono contemporanei dei genitori; essi vivono in un altro tempo, entro un’altra società, con un’altra storia, che è lo loro storia. I figli imparano più dai coetanei che dalle rispettive famiglie: è la tremenda verità che la psicologa infantile Judith Rich Harris enunciò qualche anno fa in un libro che fece epoca: "Non è colpa dei genitori". Una rivelazione che colpì al cuore i papà e le mamme di tutto il mondo, svelando una realtà che decenni di teorie educative conservatrici avevano sottaciuto o relegato nel novero delle teorie bizzarre e antiscientifiche. Non c’è dubbio che i principali fattori in grado di determinare la formazione della personalità di un individuo sono rappresentati dal  patrimonio genetico, dall’educazione familiare,dall’ambiente. Ma quanto realmente conta  ognuno di essi? Se stabilire delle percentuali è pressoché impossibile, una cosa è certa: l’educazione familiare incide molto meno di quanto si è sempre pensato. Tanto per cominciare, la socializzazione del bambino non avviene quasi per niente attraverso  la famiglia. Quando il bambino cresce, il travaso di linguaggio, regole e comportamenti appresi dal gruppo si accentua. I  rapporti fra gli esseri umani sono determinati anzitutto dall’età, e, per i bambini,  i comportamenti derivanti dai contatti con i nuovi compagni riescono a soppiantare rapidamente anni di "imprinting" familiare, perché è dai coetanei che i bambini imparano il primo linguaggio “libero”, è con loro che fanno le prime esperienze su come creare e mantenere dei rapporti sociali. I bambini moderni imparano molte cose dai genitori, ma se la cultura della famiglia è in contrasto con quella dei compagni, è quasi sempre quest’ultima ad avere la meglio. I  nostri figli vogliono essere come i loro amici, non come le figure ideali che noi adulti proponiamo loro. Purtroppo quello che viviamo è il  tempo delle ansie e dei rimorsi. Il senso di colpa per non aver dedicato sufficiente attenzione agli interessi dei bambini, sentimento che oggigiorno ossessiona i genitori e gli addetti alla loro cura, è in realtà un sentimento del tutto nuovo e particolare della nostra epoca moderna. Ma la cosa migliore che i genitori possano fare  è quella di frenare il più possibile  ansie e sensi di colpa, perchè è proprio è dimostrato che il compito di allevare i figli è risulta  facile e proficuo quando non si è troppo condizionati dalle preoccupazioni relative alla “costruzione” del loro futuro. I bambini hanno bisogno di comprendere è come poter diventare membri competenti della società che frequentano,  e tale società, cioè il loro gruppo, ha linguaggi, cultura e regole proprie, che non coincidono quasi per niente con quelle in uso nel mondo degli adulti. E, come sempre accade, l’intuizione poetica arriva prima delle scoperte della scienza. Kahlil Gibran ha anticipato la moderna psicologia infantile negli stupendi versetti del "Profeta", che racchiudono tutto il senso e tutto  il dramma del rapporto fra genitori e figli. I vostri figli non sono figli vostri.Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,e benché vivano con voi non vi appartengono.Potete donar loro l’amore, ma non i vostri pensieri:essi hanno i loro pensieri.Potete offrire rifugio ai loro corpi, ma non alle loro anime:essi abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:la vita procede, e non s’attarda sul passato."I vostri figli non sono figli vostri…",  parole forti, dissacranti, ma vere, perché sono proprio i figli a scuotere le nostre certezze, le nostre pretese, la nostra incapacità di capire.