Rischia di finire in carcere chi fornisce sul web una falsa identità. Lo si evince da
una sentenza della Cassazione, con la quale è stata confermata la condanna inflitta dalla Corte d'appello di Firenze a un uomo accusato del reato di sostituzione di persona, perchè "al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno" a una donna, "creava un account di posta elettronica apparentemente intestato a costei e, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete Internet e induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti".La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso dell'imputato, rileva infatti che "oggetto della tutela penale, in relazione al delitto previsto dall'art.494 c.p. è l'interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali". Nel caso di specie, "il soggetto indotto in errore - si legge nella sentenza - non è tanto l'ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona, in realtà inconsapevolmente si sono trovati ad avere con una persona diversa".Per i giudici di Piazza Cavour, infatti, "non è affatto indifferente, per l'interlocutore, che 'il rapporto descritto nel messaggiò sia offerto da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo, per di più di sesso diverso".