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Il mio viaggio nella malattia


Nel suo "De profundis" il compianto Pre antoni Beline (mancato proprio quest'anno) ha scritto che prima o poi ogniuno di noi si dovrà confrontare con la morte e con la malattia che di solito la precede. E' una realtà a cui nessuno può sfuggire. Ma pre Toni ha scritto anche che non si deve pensare che la malattia sia la cosa peggiore di questo mondo. Spesso è la salute che fa emergere il peggio di noi, come la prepotenza e l'invidia, la bramosia, la violenza. La malattia fa emergere il meglio di noi come la pazienza, la solidarietà, la spiritualità, la sensibilità..An che se ogni malato è povero. Qualche volta di amici, qualche volta di speranza. Però anche ricco di tempo per riflettere, per pregare e per intraprendere quel viaggio lungo e impegnativo verso il suo profondo e ultimo destino. E per ironia della sorte, proprio mentre stavo leggendo il "De Profundis" lo scorso mese di agosto mi è stato diagnosticato e in seguito eradicato dal retto, dopo due delicati interventi chirurgici, un tumore maligno. Durante la mia degenza in ospedale ho riflettuto sul fatto che ogni cultura ha il suo modo di affrontare la malattia, la sofferenza, il dolore. Alla fine il viaggio alla ricerca di una cura risolutiva si trasforma in un viaggio interiore alle radici divine dell'uomo. E' questo che ci comunica Tiziano Terzani nel suo "Un altro giro di giostra" ma lui ci insegna anche che niente succede per caso nelle nostre vite e che la cura di tutte le cure è quella di cambiare punto di vista, di cambiare se stessi e dare in tal modo il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore, ma anche ci insegna a credere che i miracoli esistono veramente, solo che ognuno deve essere artefice del proprio.E leggere "la citta della gioia", il grande romanzo di Dominique La Pierre ha avuto per me l'effetto di un farmaco antidolorifico. Le sofferenze di Hasari Pal (l'uomo cavallo) hanno fatto si che i miei dolori fossero più sopportabili. E ha lenito i miei dolori anche solo il fatto di pensare a tutti gli abitanti della "Città della gioia" una bidonville di Calcutta, vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale cercano di sopravvivere in mezzo fame e malattie, tra la merda che scorre a fiumi, ma soprattutto solidali gli uni con gli altri.Non voglio dilungarmi oltre ne approffittare dell'ospitalità concessami gentilmente dal giornale per esternare e rendere pubblici i soliti ringraziamenti di rito (anche se doverosi), ma vorrei tanto mi fosse consentito qui ricordare la giovane infermiera che, dopo avermi visto in lacrime, accarezzandomi e senza dire una parola, ma con grande slancio di empatia, ha saputo alleviare non solo il mio dolore, ma soprattutto le mie paure e la mia solitudine.Vorrei tanto citarne il nome , ma preferisco custodirlo nel mio cuore. Gobbi Claudio