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Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 19 Giugno 2008 da marca81

quello che mi è stato concesso è un privilegio che non molti possono avere: conoscere il giorno e l’ora della propria morte. Forse è per cercare di star meglio ed ironizzare un po’ che definisco privilegio la peggiore tortura che possa capitare ad un essere umano. Non c’è nulla di piacevole nel contare le ore che mancano a salire sulla sedia elettrica e l’attesa diventa insostenibile quando sai d’essere innocente ma ti sei rassegnato a pagare al posto di qualcun altro per un crimine molto grave.
Morirò per vendicare Peter Messner di cui ormai so vita, morte e miracoli ma soprattutto morte, senza averlo mai visto. Non ho nulla a che fare con quell’uomo, lui ha vissuto tutta la sua vita senza sapere della mia esistenza, è stato ucciso e io morirò pensando a lui… a quel cadavere senza volto che mi sta impresso nella mente dal giorno in cui mi hanno condannato.
Non mi hanno neanche fatto vedere una foto dell’uomo che ho ucciso. Mi sto quasi convincendo di averlo ucciso davvero, anche se ricordo bene dov’ero quella dannata sera.
Come potrei scordare Kate, che con la sua voce sensuale e decisa mi chiede di uscire con lei dopo tanto tempo? Andiamo a cena da Terence’s e poi, complice il vino, ci mettiamo a girare in macchina come sedicenni neopatentati, fermandoci a vedere tutto ciò che attira la nostra attenzione. Infine incontriamo un gruppo di vecchi amici e accettiamo di unirci a loro per andare a casa di un certo Carlos, dove “Ci sarà da divertirsi”, dicono. In effetti, ci divertiamo molto, del tutto ignari dell’omicidio che sta avvenendo nella villetta accanto. Alle cinque del mattino, sono appena rincasato e suona il campanello. Vedendo uno sbirro allampanato e serio davanti alla porta, ho pensato che mi avesse seguito e volesse multarmi per eccesso di velocità o guida in stato d’ebbrezza, invece, dopo avermi chiesto le generalità, ha snocciolato un bel “Lei ha il diritto di rimanere in silenzio” eccetera e mi ha portato via senza troppe spiegazioni.
Ero ubriaco mentre mi sottraevano per sempre dalla vita.
Tutti i miei compagni di baldoria quella sera avevano alzato il gomito, alcuni erano anche fatti e così le loro testimonianze sono valse quanto il mio dichiararmi innocente. Chi devo ringraziare di tutto ciò?! Forse Dio, ma lo farò solo dopo che mi avrà spiegato perché ha deciso questo destino per me. Almeno se potessi dire di essermi sacrificato per qualcuno o qualcosa sarei già più soddisfatto, se mi fossi tolto la vita saprei chi incolpare: in questo modo la mia vita perde ogni significato di fronte ad una morte ingiusta. La colpa è della pena di morte, dei giudici, di chi mi ha incastrato, del mio avvocato o chissà di chi altro. Fino a pochi anni fa il “braccio della morte” era solo un luogo orribile visto in qualche film e il tema della pena capitale lo avevo affrontato solo a scuola quando mi proclamavo contrario e dicevo che se qualcuno uccide deve soffrire fino a pentirsi per poi star male il doppio e mi atterriva l’idea che la legge possa sbagliare e uccidere degli innocenti. Credo di averlo scritto in un componimento, a pensarci mi viene da ridere, scrivevo quelle frasi e poi uscivo a farmi i cazzi miei con i miei amici o a sedurre ragazzine in discoteca anziché farmi sentire, parlare, agire contro una legge davvero bastarda.
Adesso tremo quando mi alzo dalla mia branda bassa, scomoda e fredda come il marmo, tremo anche per la paura che ho di Trevor, il mio compagno di cella. Trevor è un bel californiano biondo cenere dal volto abbronzato e i lineamenti dolci come il miele, che ha ucciso tre persone perché non si sentiva abbastanza considerato sul posto di lavoro. Lo guardo con timore e lo saluto sempre con tutti i riguardi cercando anche di conversarci perché non si sa mai, potrebbe sentirsi di nuovo denigrato e farmi fuori. So che è paradossale e inutile ma non voglio morire prima del giorno stabilito, un po’ perché spero ancora che qualcuno mi scagioni e in parte perché ormai mi sono abituato all’idea di morire il venti giugno, dopo aver compiuto trentacinque anni.
La vita qui dentro fa schifo ma oggi forse sarà un po’ diversa dagli altri giorni perché James il Rosso, un guardiano che chiamo così per distinguerlo dagli altri James che conosco in questo postaccio, mi annuncia che visto che manca poco al “gran giorno” e che mi sono sempre comportato bene mi concedono di avere un colloquio con qualcuno. Questo qualcuno, come speravo, è Kate che, bella da mozzare il fiato e felice di vedermi, mi parla attraverso un vetro opacizzato e pure un po’ sporco: “Mi manchi, Mark! - mi chiamo così - Tutti parlano sempre di te e di quanto è ingiusta questa situazione… Hai paura?”. Mi sembra una domanda stupida ma trattengo una risposta sarcastica e cerco di cambiare discorso: “Sono abbastanza preparato ma dimmi, non ci sono possibilità di trovare il vero colpevole e dimostrare l’errore prima che sia troppo tardi? Continuo a pensare che tra qualche anno, quando ormai sarò un mucchio d’ossa, i Tg titoleranno:. Sarebbe assurdo, non pensi?”.
Kate mi risponde guardandomi dritto negli occhi: “Non ci sono novità e come sai il tuo avvocato ha archiviato il caso. Sicuramente il vero colpevole deve restare nascosto… e poi t’hanno visto uscire da quel cancello e hanno trovato l’arma del delitto nel tuo bagagliaio, come dimostrare che non c’entri nulla?! Loro non sanno che Carlos lanciò le chiavi della tua auto nel giardino dei vicini e che solo per questo eri lì dentro…” smetto di ascoltare… sono un po’ deluso da Kate, dopo tutti questi anni non vedo più in lei un volto amico pronto a far di tutto per farmi ridere e a svelarmi ogni suo segreto, solo una voce petulante che mi ricorda che devo morire e rassegnarmi a questo. Purtroppo il rumore dei miei pensieri non copre abbastanza quello della sua voce e riesco ancora a sentirla bene: “Ci sono un po’ di cose che non sai di me - dice arrotolandosi una ciocca di capelli intorno all’indice come faceva anche da piccola, quando doveva confessare qualcosa di grosso - adesso sono sposata e ho un bimbo di tre anni”.
Facevo meglio a non ascoltare! Io e Kate ci conosciamo da più di vent’anni e la nostra amicizia ha sopportato allontanamenti e crisi, non riesco a credere che mi abbia tenuto nascosto un marito e un figlio… di tre anni. TRE anni…: “Kate perché me lo hai detto solo ora? - tre anni - Un momento… eri incinta la sera del delitto?”.
“No… è successo proprio quella sera dopo che tu sei tornato a casa. Il padre del bambino è Carlos e l’ho sposato perché ci siamo innamorati, ma l’ho concepito ubriaca, questo posso dirlo solo a te!”
“Perché me l’hai detto?! Per farmi sapere che mentre mi arrestavano tu facevi l’amore??!”
“No… per farti sapere che morirai per non rovinare la mia famiglia”.
“Cosa?! Non capisco che cazzo stai dicendo… quello stronzo di tuo marito…”
“…aveva un grosso debito con Peter Messner che è stato una specie di strozzino, anche se la polizia non l’ha scoperto. Carlos era stato minacciato così appena ne ebbe  l’occasione si sbarazzò di Peter inchiodando una persona qualsiasi… tu! Non sapevo queste cose durante il processo, ho scoperto tutto ieri.”
Oddio è incredibile: sono salvo! La guardia mi fissa con uno sguardo eloquente e devo salutare Kate: “Fai tutto il possibile e salvami! Va subito dal mio avvocato, spiegagli tutto… tiratemi fuori! Ciao Kate!” esclamo e uscendo dallo squallido locale per colloqui la sento sussurrare: “Addio Mark.” lasciandomi nell’orrore. Addio? Per quale ragione mi ha detto addio se può salvarmi? Forse è troppo tardi?!
Provo a parlarne con il mio compagno di cella ma non ottengo alcun conforto… mille domande si accavallano nella mia testa e non c’è nessuno a cui posso rivolgermi. Posso solo aspettare.

Non sopporto quest’attesa piena d’incertezza anche perché è il diciotto giugno e mancano solo due giorni alla mia fine. Ho chiesto di vedere il mio avvocato o un giudice…ho chiesto e richiesto di telefonare a Kate ma non mi hanno concesso niente, la gentile risposta alle mie richieste è stata: “Hai già avuto il tuo colloquio con quella bella pollastra, adesso devi solo aspettare di sederti e pagare per quello che hai fatto! Non cercare di trovare cavilli e cazzate varie!”.
Venti giugno, cammino verso la morte. Stanotte ho dormito qualche ora, tanto per vivere l’ultimo risveglio della mia vita, non so come ho fatto, penso che nessun detenuto abbia dormito granché durante la sua ultima notte. Io ci sono riuscito anche conoscendo il nome e il volto della persona che dovrebbe morire al posto mio e che è stata salvata dal silenzio della mia migliore amica.
Dovrei sentirmi così deluso dal mondo e dalle persone da essere sollevato all’idea di andarmene per sempre, invece vorrei vivere e scappare fuori di qui subito. Non posso farlo adesso. Mi fanno cenno di sedermi sul “trono fatale” davanti ad un pubblico composto dai parenti di una persona che non ho ucciso. Persone che inneggiano alla vendetta. Una vendetta che sarebbe sbagliata in ogni caso e lo è a maggior ragione stavolta, perché io:“Sono innocente!!!” grido per un’ ultima e disperata volta. Poi chiudo gli occhi e lascio che tutto sia predisposto e non riesco a smettere di far fluire i miei pensieri come se li stessi scrivendo. Non avrò la possibilità di mettere per iscritto ciò che mi sta accadendo.
“Vai!”e tra pochi secondi l’elettricità mi farà secco.

 

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