Il Bar delle T

SIAMO APERTE


La prima volta che ho sentito un uomo chiamarmi “troia” avrò avuto, credo ventun anni. Ero gerontofila allora,perché passavo il tempo con uno che poteva essere, come si dice, mio padre: 45 anni lui, 21 io, ed un mare di perché su quella storia affastellati. 
Lui era il peggior stereotipo d’uomo che potessi incontrare: affascinante, bugiardo e tremendamente sposato. Ma mi piaceva quella sua sensualità matura, quel suo gioco malizioso che s’insinuava dentro ai miei sensi fino a farmi perdere completamente la percezione di me. Ero sua in ogni senso.  La sua voce al pari delle sue mani sembravano potermi penetrare r possedere ovunque. Mai un mio coetaneo aveva fatto quello che era riuscito a fare lui. Mai aveva osato appellarmi in quel modo “troia”. Ricordo che ne rimasi colpita. Mi paralizzai un istante. Lo guardai interdetta. La frazione di un attimo. Poi sentii un calore salirmi dalle gambe, o forse, meglio, dal ventre. Si “troia” ero io la troia, quella che aveva abbandonato il suo ruolo di donna, di ragazza fin troppo per bene per diventare l’amante, donatrice e ricettrice di piacere. Ogni molecola del mio corpo cominciò a fremere al pensiero di me immersa completamente nel piacere. “troia” lo sentii ripetere, ed una fitta mi partì dalle reni. Sentivo l’eccitazione aumentare ad ogni sua parola, ed ogni volta che la ripeteva, quella, pareva diventata la chiave di accesso ad una nuova eccitazione a me sconosciuta. Venne copioso, dentro di me, ed io con lui, frastornata, eccitata fino all’estremo. Dio come ricordo quel mio orgasmo…… Da allora sono passate molte parole sulla mia pelle, e altri uomini, altre pelli, e non ho più avuto paura dì essere e di godere appieno della mia femminilità, dell’esser donna, uno status speciale che se non spalanca di diritto le porte del paradiso, certo, alle volte, ci conduce lì, molto vicino.