Nella città fluviale l’aria è lattea e nel pomeriggio sembra
sospesa, come quella delle vie deserte ed incurvate o dei
lungofiume accesi, a riflettere monumenti e case ocra e
arancio. In una di quelle case, dalle finestre strette e le tendine
a smerlo, giace la donna, con gli occhi chiusi ma non
dorme. Sdraiata sul divano e discinta, nella vestaglia di
ciniglia bianca, scivolata nei lembi semiaperti, è assorta e
ferma. Presa da un ricordo, da una malinconia, del tempo
fantastico della propria infanzia. Come se dall’immoto
silenzio riaffiorasse in lei il chiasso ed il vocio di quei cortili,
i colori e le figure.
Contrasta adesso, quel rumoroso ricordo, con la sua vita
quieta nella città settentrionale. La sua natura è sopita, e
lei gioca con le immagini evocate del passato, recitando i
frammenti di quegli anni e i brandelli di un altra vita, che
sua poteva essere e non è.
Respira lentamente ed apre a tratti gli occhi di quel nocciola
intenso. Percorre la sfilza solitaria, ripetendo nella
sequenza intrecciata, i passi e i nomi e i luoghi di quel
tempo.
Adesso è nella città del fiume, e le pare strana quella
calma, l’opalescenza lattea dell’aria. Le strade vuote nell’eco
dei passi, tutte quelle case ocra e arancio, dalle finestre
chiuse.
Eppure ci vive.
A volte si perde, scivolando come una goccia di pioggia
sul vetro umido di una finestra, e allora va indietro nel
tempo, sbucciando se stessa, a cercare ancora nei ricordi la
stessa sequenza di fatti e persone di un tempo fantastico.
La sua infanzia in quel lontano paese, suo come una cicatrice.
Rincorre le visioni come bolle di sapone, che galleggiando
nella stanza, indecenti e panciute, riflettono i pensieri
quieti e li ravvivano.
Aldo conosce quei momenti. La vede estraniarsi, passarsi
leggero un dito sulle labbra e sprofondare in qualche
pensiero cupo, sdraiata sul divano o vicino alla finestra.
Sembra che la frequenza del respiro cali. Inutile parlarle in
quei momenti, lei non ode o risponde a monosillabi.
Riemerge poi, con fare svelto, sbuffando sui capelli scesi sul
viso, come a levarsi da un pensiero, a mostrare di tuffarsi
di nuovo nella vita con lui, come se niente fosse accaduto.
Lui non sa i suoi pensieri, né saprà mai dov’è andata.
Pensa, quella donna dagli occhi nocciola, screziati di
pagliuzze dorate. E l’estraniarsi così è diventato esercizio
di consunzione. Scandaglia la sua vita, ne cerca forse una
ragione, o semplicemente l’afferra per non perderla.
Comunque la rumina e questo la riempie.
Si sveglia di soprassalto nella notte con una frase in
testa. Quel suo ricordo le urge come se mai fosse stato
importante come adesso. Quel tempo, da cui è voluta scappare,
ancora la tiene legata con bolle traslucide, liquide e
vaganti, evocate quando annega nei ricordi in quel paese
colorato.
Le sembra quasi di vederlo il paese sdraiato lungo la
valle.
Una valle solcata da un fiume, le cui acque insaziabili e
forti hanno eroso rocce laviche, facendone statue grottesche.
Le colline circostanti scendono verdi e nodose e, come
dita di un arto rapace, s’insinuano fra case antiche e
dimesse.
Lo vede, nel riflesso del ricordo, e tutto le sembra intatto,
come fosse passato un solo attimo dall’ultima lunga,
calda estate. Il quartiere più antico, la campagna circostante,
il via vai della gente che saluta con un lento cenno
della testa. Lo stesso odore pregnante di fiori d’arancio.
Tutto come allora, nonostante il tempo irrimediabilmente
trascorso.
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