« La muffa e' del demonio...le analisi stabiliranno ... »

Cin Cin

Post n°15 pubblicato il 11 Giugno 2010 da rcpc.mc

«Mentre Shell brinda ai 9,8 miliardi di dollari di profitto, gli abitanti del delta del Niger devono bere acqua inquinata.»

Questa la frase agghiacciante che i londinesi hanno trovato nelle pagine del loro quotidiano free press nel giorno dell'assemblea generale dei soci Shell presso il Barbican Centre di Londra. Al centro della pagina un calice di petrolio invita il lettore a riflettere sui guadagni della multinazionale nel settore petrolifero.


«Devono anche coltivare un terreno inquinato. Devono pescare in fiumi inquinati e devono far crescere i propri figli in case inquinate. Quindi, se hai delle azioni Shell, chiedi al Consiglio di Amministrazione di dare una spiegazione quando alzeranno i calici all'assemblea generale di oggi.»

 

L'iniziativa è di Amnesty International che è riuscita a raccogliere 30.000 sterline grazie alle donazioni di più di duemila cittadini per pubblicare su Metro e London Evening Standard questa pubblicità, stampata anche su un furgone che ha attraversato la città durante la giornata. Il Financial Times, invece, non ha voluto pubblicare la pubblicità, nonostante le rassicurazioni di Amnesty sul fatto che l'organizzazione ha la piena responsabilità sui contenuti pubblicati. Il Financial Times ha messo in dubbio le affermazioni di Amnesty circa una loro reale consultazione con i legali.

Le fuoriuscite di petrolio, lo scarico di rifiuti e le torce di gas (il gas è separato dal petrolio e, in Nigeria, viene per la maggior parte bruciato come scarto) sono endemici nel Delta del Niger. Questo inquinamento che colpisce l'area da decenni, ha danneggiato il suolo e la qualità dell'acqua e dell'aria. Gli effetti ricadono su centinaia di migliaia di persone, in particolare sui più poveri e su coloro che dipendono da mezzi di sussistenza tradizionali come la pesca e l'agricoltura.
Shell è la principale multinazionale attiva nel delta del Niger, ma, tra le altre, possiamo incontrare anche l'azienda italiana Eni Spa, che opera in Nigeria attraverso la consociata Nigerian Agip Oil Company (Naoc).
All'attività delle multinazionali si intreccia poi un conflitto in corso dagli anni Novanta tra i vari gruppi dell'area, uno scontro spesso giudicato “etnico” ma che ha alla base gli enormi interessi per il commercio dell'oro nero.
La vittima, in ogni caso, rimane la popolazione inerme costretta a vivere schiacciata tra inquinamento e violenza, sotto gli occhi del governo assente (o con interessi da difendere più importanti della popolazione) e del “mondo occidentale” che chiede sempre più petrolio.

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