michele brusati

La mia ultima intervista, e forse quella di cui sono più orgoglioso


Questa la conserverò a lungo: si tratta probabilmente della mia ultima intervista; il caso vuole che sia proprio quella di cui sono più orgoglioso. Il giornale su cui scrivevo cambia segmento, non servono più interviste di colore, o cose per ragionare a bocce ferme sul mondo che gira. Peccato perchè era un piacere incontrare personaggi veri e mai banali, e portarli alla luce, in un mondo fatto di fumo e di Corona, o di gente qualcunque che apre la bocca (o facebook, o altro) a vanvera e solo per mostrarsi o autocompiacersi. L'intervistato si chiama Mario Androni. Ha una passione viscerale per il ciclismo (sponsor principale di una squadra professionistica) e di mestiere fa da tempo immemore 'giocattoli'.La scrivania di Mario Androni è invasa da innumerevoli fogli e giocattoli di ogni tipo. A un occhio esterno potrebbe sembrare confusione assoluta, ma invece è precisione millesimale. L’imprenditore varesino sposta un castello costruito con i mattoncini, una paletta rossa (di quelle che usavamo da piccoli per scavare inspiegabili buche sulle spiagge liguri) e un secchiello rosa col faccione da gatto di Hello Kitty, e finalmente estrae un blocco di fogli ben allineati. Mostra la classifica Uci, ovvero la graduatoria mondiale delle squadre di ciclismo.  <Guardi com’è in alto l’Androni Giocattoli. Sa cosa significa? Che c’è la possibilità che l’anno prossimo siamo ammessi di diritto a Giro e Tour…>Gli telefona un dipendente, probabilmente dal magazzino. Il suo tono da sognante si fa subito ruvido. <Ci vuole più precisione… Sai che l’Androni dice sempre quello che deve dire: poi quando ci si vede amici come prima.> Riattacca. Ma non ha finito: ne ha anche per  l’intervistatore. <Prima ha osato chiamarmi ‘dottore’. Non lo faccia mai più. Lo vedo come un insulto. Io non sono dottore, non mi metta alla stregua di questi laureati di oggi…> Qualcuno potrebbe trovarlo troppo diretto, o scorbutico, o poco diplomatico. Ma come si fa a non trovare amabile una persona così sanguigna e onesta, che esordisce dicendo: <Stia attento: l’uomo è sempre abituato a mentire, per convenienza. Soprattutto nel commercio: non le dico che gente si incontra… Io invece mi sono sempre abituato a dire la verità. A non mentire mai. E infatti le dico che lei di ciclismo non ne capisce niente>.Parla di sé chiamandosi ‘l’Androni’, perché probabilmente tutti lo chiamano così, e si è dovuto adeguare. ‘L’Androni’: con davanti l’articolo ‘conoscitivo’ che qui al nord ci piace così tanto, lo stesso per cui Nanni Moretti ci deride nei suoi film. È uno di quegli imprenditori di cui purtroppo si è perso lo stampo: di quelli che, quando si ammala il magazziniere, non esitano a prendere il trespalle per completare lui gli ordini. Un imprenditore che il lavoro lo sa fare esattamente come i suoi dipendenti: e ci mancherebbe, gliel’ha insegnato lui. Ma una debolezza ce l’ha: gli si illuminano immediatamente gli occhi, quando parla delle sue passioni: i giocattoli e il ciclismo.Parte dai primi: <Siamo una delle realtà mondiali nel campo dei giocattoli in plastica. Ci siamo trasferiti qui a Varallo Pombia, in provincia di Novara, nel 1987. Avevamo bisogno di un posto per ampliare lo stabilimento. Ma la mia azienda è di Angera. Io sono di Angera.> E infatti, nel marchio della ditta, c’è la rocca di Angera. <No, non è vero, non lo scriva, mica che qualcuno reclama i diritti. Ricordo ancora il giorno in cui ho scelto, il marchio, tra altri cinque, nel 1980. Io sono affezionato ad Angera, la rocca è a 500 metri da casa mia, la vedo aprendo la finestra.> E poi, ovviamente, il ciclismo. È da una ventina di anni che l’Androni Giocattoli va avanti con le sponsorizzazioni del ciclismo, mentre da due è il main sponsor dell’omonima squadra professionistica. I risultati sono ottimi e sempre in crescita, come dimostra il quarto posto di Michele Scarponi all’ultimo Giro d’Italia. <Michelino è un ragazzo intelligente. Un amico. È bello parlarci assieme. Fa ridere, mi rende allegro, mi ricorda Enrico Beruschi. Molti ciclisti sono immaturi, anche in età avanzata… questo ragazzo ha la differenza che è molto intelligente, e corretto e onesto.> Ma Scarponi l’anno prossimo correrà con la Lampre. <Sono felice di averlo aiutato nella sua crescita professionale. So di per certo che non se ne va felice, in quanto con me, Savio e Bellini ha avuto un buon rapporto. Guadagnerà di più, parecchio di più, certo: ma l’economia del team ci ha obbligato a fare delle scelte.> Al posto di Scarponi arriverà Sella. <Non l’ho ancora conosciuto personalmente, ma Savio ha piena fiducia in lui. Arriveranno anche altri corridori: contiamo su di lui e su tutti i nuovi arrivi per fare una grande stagione 2011.> Il fuoriclasse che vorrebbe in squadra, oltre quelli che ha già. <Basso è un grande campione e ha dimostrato di esserlo. Gli voglio bene, è un amico. Sa anche rapportarsi bene coi giornalisti. Anche durante gli anni della penitenza, lui non è mai stato dietro la lavagna, era sempre in cattedra. Avevamo avuto dei contatti, anni fa; l’avevo incontrato a Borgomanero con Boifava, gli ho detto: ‘Vieni con me’, ma poi lui ha scelto quella squadra, quella americana… come si chiamava… Mi ha risposto: ‘Forse mi pentirò, ma non posso…’. Ma come si chiamava quella squadra? Era un qualcosa che riguardava la televisione…> C’è un computer, sulla scrivania. Basterebbe andare su Wikipedia, e il nome salterebbe fuori. L’imprenditore non prende nemmeno in considerazione la cosa.  <Poi mi verrà in mente. Altri campioni. Ah, Nibali. È di un’altra categoria, è il futuro del ciclismo italiano.>Cinquant’anni fa anche lui, l’Androni, aveva provato a mettere la sua ruota davanti a quella degli altri. <Esordiente nel ‘57, Allievo nel ‘58-59, Dilettante nel ‘60-61. Nell’aprile del ‘61 arrivo decimo al Piccolo Giro del Ticino, a Lugano. Vinco la volata del decimo posto battendo quello svizzero… come si chiamava... avrebbe poi fatto carriera, correndo per la Molteni… Boh, mi verrà. In ogni caso, dopo ho iniziato a lavorare. Mi dicevo: tre mesi e poi riprendo. Poi: ancora qualche mese e riprendo. In realtà ho smesso.> Il germe del ciclismo gli è rimasto nel sangue, però. <Anche qua in azienda, ho fatto costruire una doccia, un armadio, mi sono portato una bicicletta. In tutti questi anni sono uscito solo due volte. Non riesco, per andare in bici devo essere assolutamente tranquillo e senza pensieri, e in azienda non mi riesce. L’armadio è pieno di giocattoli. Ma come si chiamava quello svizzero?> Il computer è sempre lì, acceso ma inutilizzato. Ma l’Androni conosce un metodo più efficace di Wikipedia: prende il telefono, parlotta con qualcuno che evidentemente ha corso con lui, sorride, riattacca. <Rolf Maurer! Ecco come si chiamava, lo svizzero che ho battuto in volata. Ma la squadra dove ha corso Basso non se la ricordava nemmeno il mio amico.> Ma, prima di tornare al lavoro, cerca nuovamente di strappare una promessa: <Non scriva più di ciclismo, non ne capisce niente.>Probabilmente, il nome della squadra in cui corse Basso viene in mente a entrambi poco dopo esserci lasciati. Era la Discovery Channel. Ma anche in questo, sia detto, Mario Androni ha avuto pienamente ragione: piuttosto che usare la tecnologia, è meglio far allenare la memoria, o telefonare a un amico, usando il pretesto per fare due chiacchiere.