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Messaggi di Giugno 2020

Armi e potenze nel Mediterraneo al tempo del coronavirus

Post n°597 pubblicato il 01 Giugno 2020 da zoppeangelo

 

Armi e potenze nel Mediterraneo al tempo del coronavirus
Negli ultimi mesi il coronavirus ha consentito a politici e media italiani di distrarre l'attenzione da ciò che
avviene a poche decine di Km a sud dell'Italia. Dopo mesi dedicati a dibattere del "pericolo invasione",
della "minaccia" rappresentata dagli immigrati, oggi ben pochi sollevano il problema che la Libia sta
diventando una polveriera o che il Mediterraneo sia affollato non di navi da crociera, ma di navi militari .
Ignorata dai media e dall'italiano medio è iniziata la missione IRINI, "a guida italiana", come
pomposamente ha sottolineato il Ministro degli Esteri Luigi di Maio. In teoria per far rispettare l'embargo
proclamato dall'Onu sulle armi dirette in Libia. L'ipocrita coro diplomatico di tutti i paesi chiede a gran
voce il cessate il fuoco e l'inizio di colloqui di pace, mentre tutti armano uno o entrambi i contendenti.
Sono aumentati i pretendenti alla spartizione della Libia , mentre è sempre più drammatica la condizione
dei civili e degli immigrati ammassati nei lager libici, entrambi minacciati dall'espansione del coronavirus.
Civili e immigrati nella morsa della guerra e del virus
Nel corso della guerra civile che dura da 9 anni, il fronte in Libia si è cristallizzato in uno scontro
fra il governo di Tripoli guidato da Serraj (il GNA- Government of National Accord ) e l'esercito di
Tobruk guidato da Haftar (il LNA-Libyan National Army). Diciassette mesi fa Haftar ha sferrato un
attacco a Tripoli, senza peraltro arrivare a risultati decisivi. Nell'ultimo mese anzi, grazie all'aperto
sostegno fornito dalla Turchia a Serraj, Haftar è in difficoltà.
Le conseguenze sui civili sono drammatiche: 200mila sfollati interni, crollo della produzione
petrolifera, carenza di rifornimenti alimentari e aumento vertiginoso dei prezzi di cibo e carburante.
Circa 900 mila persone soffrono la fame o sono fortemente denutrite. Tripoli e i villaggi vicini sono
stati più volti bombardati. Ospedali, scuole, case sono stati pesantemente danneggiati. Postazioni
strategiche a sud e a est di Tripoli sono state prese e perse più volte dai due contendenti, a prezzo di
centinaia di morti (non esistono statistiche, ma solo dati frammentari). Il flusso degli immigrati
centroafricani è rallentato, ma nei lager libici sono imprigionati in condizioni drammatiche ancora
650 mila migranti (dati Onu su Al Jazeera 5 aprile 2020). Migranti, sfollati e civili in genere sono
sempre più minacciati dal diffondersi del coronavirus. Non esistono statistiche attendibili sul
numero di contagiati e di decessi. Ma quel che è noto è che in Libia esistono solo 500 posti letto,
concentrati nelle poche città importanti (100 a Tripoli, 65 a Zintane, 35 a Kufra, 30 a Sabratah e
Gat. Il tutto il paese ci sono 200 ventilatori. Non è possibile fare tamponi, non ci sono mascherine,
camici di plastica ecc. Parlare di distanziamento nei ricoveri di fortuna e nei lager libici è grottesco.
L'internazionalizzazione del conflitto libico aumenta. Prove di spartizione della Libia.
La dipendenza di entrambi i contendenti libici dal supporto delle potenze regionali e dagli
imperialismi è totale. Dagli inizi del 2020 l'internazionalizzazione del conflitto è aumentata e di
conseguenza anche l'escalation militare, grazie soprattutto all'intervento diretto di russi, emiratini e
turchi. Come si diceva, la Turchia ha aiutato Serraj a liberare Tripoli dalla morsa di Haftar. Poi è
stata decisiva per riconquistare la base aerea di al-Watiya e interrompere i rifornimenti ad Haftar
dalla Cirenaica. Fino a una settimana fa la Turchia poteva contare solo sulle sue fregate Barbaros di
fabbricazione tedesca, ancorate nel Golfo di Sirte. Ora può trasformare al-Watiya Watiya in una

grande base per la propria aeronautica. Nel frattempo gli Emirati coi loro Mirage bombardavano le
postazioni turche e da poco a sostenere il traballante Haftar sono arrivati in Cirenaica 8 aerei russi
(6 caccia Mig-29 e 2 cacciabombardieri Sukhoi-24), mettendo in grande allarme gli Usa (da
Difesaonline 22 maggio 2020).
Russia e Turchia quindi su fronti opposti. Ma più che una guerra per procura pare si tratti di una
prova pratica di spartizione; si vocifera di un accordo sottobanco fra i due paesi per garantire alla
Turchia al Watiya e la base navale di Abu Sitta come caposaldi in una Tripolitania a influenza turco-
qatarina, mentre la Russia si garantirebbe una base navale e una aerea a Sirte, per rafforzare la
propria presenza militare nel Mediterraneo meridionale.
Armi e mercenari
A morire per questo bel risultato oltre ai libici, civili e militari, sono i mercenari reduci dalle guerre
medioorientali e africane. Si racconta che a Idlib, in Siria, la merce più a buon mercato sia un
mercenario. In molti teatri militari siriani altri mercenari sono a spasso perché l'Iran, in preda a una
seria crisi finanziaria e sanitaria, sta parzialmente smobilitando.
I Turchi da marzo ne hanno portato in Libia 9.600 e ne sono già morti 305. E li hanno affiancati ai
contractors turchi della compagnia privata Sadat, ex militari presenti a Tripoli già da molti anni
(almeno 1500 secondo i servizi segreti egiziani e ne starebbero arrivando altri 2.500). Fra questi
mercenari almeno 200 sono ragazzini sedicenni. La piaga dei bambini-soldato si ripropone in Libia.
Altri siriani combattono invece al soldo dei russi. Che li affiancano ad alcune migliaia di contractors
della ormai famigerata compagnia privata russa Wagner Group. Accusata dalla stampa americana
Mosca ribatte che "non ci sono soldati russi in Libia" e tecnicamente è vero.
Qatar ed Emirati Arabi invece reclutano mercenari in Ciad, fra i disoccupati delle guerre dell'Isis o
in Sudan, dove la crisi economica morde duro e dove l'Arabia Saudita recupera i mercenari da
mandare a morire in Yemen. D'altronde dove altro troverebbe oggi un siriano o un ciadiano o un
sudanese un lavoro pagato 1000 $ al mese, al netto delle spese di vitto, vestiario e alloggio?
(dati Ondus da Analisi Difesa 22 maggio 2020)
La lotta per il controllo del Mediterraneo
Il Mediterraneo pattugliato dopo la seconda guerra mondiale dalla sesta flotta americana, è sempre
più affollato. L'obiettivo franco-statunitense dell'attacco a Gheddafi del 2011 non era solo
indebolire la presenza italiana nell'estrazione petrolifera, ma anche cacciare tecnici e società russe e
cinesi. Oggi la Russia riscuote il dividendo del conflitto siriano, che le ha consentito di insediarsi
nel Mediterraneo Orientale.La Turchia neo-ottomana di Erdogan tenta un ritorno in grande stile e
cerca un insediamento stabile in Libia, che aggiunge alle basi militari in Somalia, Qatar, Siria e
Sudan.
Il quadro non sarebbe completo se non ricordassimo la lenta ma tenace marcia della Cina e della
sua "Via della Seta" sul Mediterraneo settentrionale: si è già presa parte del porto del Pireo e ora
"punta" quelli di Genova e Trieste. L'Italia indebitata post coronavirus potrebbe seguire l'esempio
della Grecia e cedere parte dei suoi porti alla Cina in cambio di cospicui finanziamenti.
Le monarchie del Golfo proseguono il loro intervento politico, finanziario e militare sia in Egitto
che in Libia, in Somalia come in Yemen. Usano i miliardi dei petrodollari che hanno spremuto dal
lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, dai palestinesi ai bangladeshi, dagli indiani ai
filippini, per comprare armi sofisticate come i Mirage e contemporaneamente trasformare in
mercenari gli africani che prima lavoravano in Libia.

Gli imperialismi europei d'altronde non mollano l'osso.
L' Italia, cioè l'Eni, pesa ancora notevolmente nello sfruttamento delle risorse libiche. Alla
chetichella il governo Conte II ha rinnovato il famigerato memorandum con la Libia, cioè finanzia
e arma quella Guardia Costiera, che di fatto gestisce o protegge il sistema dei lager, i traffici degli
scafisti . Dopo la sceneggiata del meeting di Palermo (dicembre 2018) il pallino comunque è
passato ad altri.
Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, prima con Hollande e adesso con Macron, è un
fervido sostenitore di Haftar, da lui presentato su Le Figaro come il campione della lotta al
terrorismo, l'unico in grado di mettere ordine nel caos libico (sic). Mondafrique del 27 maggio lo
accusa di aver chiesto al premier egiziano al Sissi di inviare soldati a sostegno del suo beniamino
libico, forte del fatto che la Francia fornisce armi e istruttori antisommossa, oltre che fregate al
presidente forcaiolo dell'Egitto.
Ma l'Europa si presenta in ordine sparso, ogni paese prosegue con obiettivi propri e l'unitarietà
della missione Irini è solo di facciata. Tutti sottolineano la debolezza di marine militari nazionali
non coordinate a libello europeo. E non è un buon segno, per chi vaghezza la "potenza Europa, la
battaglia in corso per la concentrazione della cantieristica con la nascita del "campione tedesco"
Lürssen - Gnyk, il relativo stallo delle trattative Fincantieri -ThyssenKrupp da un lato e Fincantieri
- STX.
Per noi una marina militare europea significherebbe solo il rafforzarsi di uno dei contendenti nello
scontro interimperialistico , oggi nel Mediterraneo, domani su altri scenari di guerra.
Riquadro LA MISSIONE IRINI (= pace , in greco)
Varata da Bruxelles, su sollecitazione Onu, la missione rappresenta una gara di ipocrisia fra Onu e
UE (o come dichiara diplomaticamente il Sole del 16 maggio scorso: "un gap senza precedenti tra le
dichiarazioni pubbliche e la situazione politico-militare sul terreno"). Su insistenza di Slovacchia e
Ungheria la missione, iniziata il 4 maggio, si svolge nella zona di mare di fronte alla Cirenaica,
lasciando scoperte le coste di Tripoli, per non incrociare le rotte dei migranti (e magari essere
obbligati a salvarne qualcuno o a disturbare i traffici vegliati dalle motovedette libiche). Tutti sanno
che pattugliare quel tratto di mare non può in alcun modo bloccare l'intero traffico di armi verso la
Libia, perché non intercetta i rifornimenti di Emirati ed Egitto ad Haftar, che passano via terra. I
flussi via aria di armi e uomini (per lo più inviati dai Russi e dagli Emirati sempre ad Haftar)
possono solo essere monitorati tramite satellite o aerei ricognitori . Al massimo Irini disturberà i
rifornimenti turchi al governo di Tripoli. E infatti Serraj fin dall'inizio ha protestato che la missione
avvantaggia solo Haftar e i suoi protettori francesi (Sole 24 ore 16 maggio 2020). Il realtà Di Maio
ha garantito che monitorerà coi mezzi aerei la frontiera fra Egitto e Libia. Comunque quand'anche
le prove dei traffici arrivassero al Comitato Sanzioni dell'Onu, si arenerebbero davanti al veto di
Russia e Cina.
Un'altra scrivania su cui le informazioni arriveranno è quella a Berlino di Angela Merkel. Il 19
gennaio scoros il governo tedesco alla Conferenza di Berlino ha sostenuto a gran voce l'embargo.
Peccato che l'emittente pubblica tedesca Deutsche Welle sul suo sito web ne abbia smascherato
l'ipocrisia, rivelando che tra il 20 gennaio ed il 3 maggio di quest'anno Berlino ha venduto armi
all'Egitto per 308,2 milioni di euro, alla Turchia per 15,1 milioni ed agli Emirati Arabi Uniti per 7,7
milioni. E queste armi hanno preso direttamente la strada per la Libia, nel caso dei turchi per Tripoli
e nel caso di egiziani ed emiratini per Tobruk.Nei mesi di aprile e maggio la missione ha potuto disporre solo della fregata francese Jean Bart e di
un aereo da pattugliamento fornito dal Lussemburgo. Poi si alterneranno una nave italiana e una
greca. Il Consiglio dei ministri italiano ha inserito Irini nel decreto missioni solo il 21 maggio,
disponendo che 500 uomini si alterneranno nella missione navale. Gli aerei da pattugliamento
invece arriveranno da Germania, Polonia, Lussemburgo, Francia. L'Italia fornirà i droni. Malta si è
già ritirata dalla missione, la Germania ha espresso la preoccupazione che quando prenderà il
comando navale la Grecia aumentino le frizioni con la Turchia.

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