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Quando Andreotti disse: se fossi nato in Palestina, sarei stato un terrorista

Post n°637 pubblicato il 29 Ottobre 2023 da zoppeangelo

2006 Quando Andreotti disse: se fossi nato in Palestina, sarei stato un terrorista .

 

"Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant'anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista". Cosi parlava sul dramma del Medio Oriente Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio e cinque ministro degli Esteri, per decenni protagonista della politica italiana.
Andreotti pronunciò queste parole da senatore a vita intervenendo in un dibattito al Senato sulla guerra in Libano e ricordava che nel ‘48 l'Onu aveva creato lo Stato di Israele e lo Stato palestinese, ma "lo Stato di Israele esiste, lo Stato arabo no. Era il luglio 2006 e alcuni tra i democristiani riciclati a destra e a sinistra si indignarono per le sue parole.

 

2023 Questa classe politica italiana mi fa realmente rimpiangere Andreotti e Craxi

 

 
 
 

Quando Andreotti disse: se fossi nato in Palestina, sarei stato un terrorista

Post n°636 pubblicato il 29 Ottobre 2023 da zoppeangelo

2006 Quando Andreotti disse: se fossi nato in Palestina, sarei stato un terrorista .

 

"Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant'anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista". Cosi parlava sul dramma del Medio Oriente Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio e cinque ministro degli Esteri, per decenni protagonista della politica italiana.
Andreotti pronunciò queste parole da senatore a vita intervenendo in un dibattito al Senato sulla guerra in Libano e ricordava che nel ‘48 l'Onu aveva creato lo Stato di Israele e lo Stato palestinese, ma "lo Stato di Israele esiste, lo Stato arabo no. Era il luglio 2006 e alcuni tra i democristiani riciclati a destra e a sinistra si indignarono per le sue parole.

 

2023 Questa classe politica italiana mi fa realmente rimpiangere Andreotti e Craxi

 

 
 
 

Putin sceso a patti con il “traditore” Prigozhin

Post n°635 pubblicato il 27 Giugno 2023 da zoppeangelo

Poteva succedere nell'antica Roma. Mentre il grosso dell'esercito è impegnato in una difficile guerra di conquista, un generale con la sua legione prende il controllo di Roma. O nella Cina dei Signori della guerra. Stava per succedere sabato nella Russia dove non si muove foglia che Putin (e i suoi servizi) non voglia. E Putin è dovuto venire a patti con il cuoco-generale Evgenij Prigozhin, sua creatura, perché sabato 23 giugno aveva le forze per prendere (ma non tenere) il Cremlino.

Il "pronunciamento" del padrone e capo della Wagner, Prigozhin, che aveva chiesto la testa del ministro della Difesa Shoigu e del capo di Stato maggiore Gerasimov, prendendo il controllo del quartier generale dello Stato maggiore russo di Rostov, che dirige le operazioni in Ucraina, e fulmineamente "marciato" su Mosca con una colonna di 15-26 mila militari con armamento pesante, costituisce la più grave crisi interna del regime di Putin. Putin ha parlato di pugnalata alla schiena, di traditori da schiacciare. Poi ha ringraziato il vassallo bielorusso Lukašėnka per la mediazione con Prigozhin, che prevede l'impunità dei traditori e pugnalatori alla schiena, e il loro passaggio in Bielorussia, in cambio della loro rinuncia a marciare su Mosca.

Molto non è stato detto, e solo nei prossimi giorni e mesi sarà possibile conoscere il vero epilogo di questo inedito scontro interno all'apparato militare russo[1] Pare improbabile che Prigozhin si trasferisca davvero in Bielorussa, dove i servizi russi (FSM), maestri in avvelenamenti, hanno mano libera. Prigozhin potrebbe essere più sicuro in uno dei paesi africani in cui la fa da padrone. Ma una ipotesi che si fa è che sia stato chiesto a Prigozhin di aprire un fronte Nord, dalla Bielorussia che finora ha sempre rifiutato un intervento diretto.

Di fronte a questo eclatante "pronunciamiento" di questo ras padrone di un vero e proprio esercito privato di decine di migliaia di uomini, i nemici di Putin gioiscono sperando in un suo indebolimento interno e nella guerra in Ucraina, mentre i putiniani, imbarazzati, cercano di minimizzare. Certo la patina di dominus assoluto della Russia costruita intorno a Putin, e l'immagine della Russia e della sua nomenclatura compatte dietro al loro leader ne escono non poco appannate. Se da un lato ci fa piacere ogni contraddizione che si apre dentro tutti i sistemi di potere capitalistico, consideriamo Prigozhin il mozzateste guerrafondaio che ha mandato al macello migliaia di proletari che si trovavano tra le sbarre (come si era trovato anche lui in gioventù) con la promessa dell'amnistia se fossero sopravvissuti a sei mesi di combattimenti. Prigozhin è un nemico di classe, non meno di Putin e di Zelensky e dei suoi sponsor occidentali, da Biden alla Meloni, e ci rifiutiamo di tifare per alcuno di loro, tutti nemici della classe operaia che essi riducono a forza lavoro da cui ricavare profitti e carne da cannone per le loro guerre.

Il pronunciamento non è stato una sorpresa. Gli attacchi verbali del padrone del Gruppo Wagner al ministro della Difesa Sergei Shoigu e al capo di Stato Maggiore, generale Valery Gerasimov, proseguivano da mesi su base almeno settimanale: incompetenza, corruzione, codardia, sottrazione di munizioni alla Wagner con la conseguenza di moltiplicarne i morti in battaglia, boicottaggio della Wagner nelle operazioni militari, fino all'accusa di aver minato la sua via di ritirata da Bakhmut e, ieri, di tradimento per avere bombardato con gli aerei le truppe della Wagner, uccidendo numerosi soldati. Lo scontro era sulla ripartizione di armi e munizioni tra esercito e Wagner, e sulla decisione di ministro e vertici militari di integrare la Wagner nelle Forze Armate russe, cui Prigozhin ha opposto un irrevocabile rifiuto. La mediazione garantisce l'autonomia della Wagner dai vertici militari?

Lo scontro tra i signori della guerra russi è proseguito pubblicamente per mesi senza che mai Putin intervenisse pubblicamente. Ora è stato costretto a farlo dal colpo di mano di Prigozhin, ma non ha potuto "dire l'ultima parola".

Il 20 maggio ad esempio Prigozhin aveva tuonato: "Shoigu e Gerasimov hanno trasformato la guerra in un divertimento personale. A causa dei loro capricci, sono morti cinque volte più uomini di quelli che avrebbero dovuto morire. Saranno ritenuti responsabili delle loro azioni, che in russo si chiamano crimini". E dava dell'"idiota completo" al "nonno giulivo" Gerasimov. Ma ieri Prigozhin è arrivato a mettere in discussione la stessa invasione dell'Ucraina, sostenendo che Putin avrebbe preso la decisione sulla base di informazioni fuorvianti del suo entourage, e la conduzione della stessa, sostenendo che il quadro fornito a Putin dai vertici militari travisa la realtà sui campi di battaglia.

La maggior parte dei commentatori, osservando che nessun altro avrebbe potuto attaccare e insultare così aspramente i vertici dell'establishment militare senza conseguenze, ipotizzava che Putin stesso mantenesse viva la polemica, per controbilanciare e tenere sotto controllo i generali. Se questa era la sua tattica, gli è scoppiata in mano.

Wagner, ovvero la privatizzazione della Difesa e della politica estera russe

C'è ancora, non solo tra i campisti aperti, chi vede la Russia come qualcosa di diverso e oggettivamente progressista per il ruolo che lo Stato svolge nell'economia e nella società. La Wagner dà una grossa smentita a queste illusioni e ideologie. Con la Wagner Putin ha privatizzato, in mano a una sua creatura come Prigozhin, una parte non indifferente delle attività militari all'estero e della stessa politica estera russa, soprattutto in Medio Oriente e Africa, fondendo affarismo e politica estera imperialista.

La Wagner infatti, con circa un decennio di storia, ha sviluppato caratteristiche che la rendono molto più che una banda di mercenari, un braccio non solo militare ma anche politico ed economico dell'imperialismo russo, che Putin non può recidere senza pesanti conseguenze per lo Stato russo. Non solo perché la Wagner ha svolto un ruolo cruciale nella conquista russa del Donbass, esponendosi nelle offensive più sanguinose, ma perché negli anni recenti l'imperialismo russo ha esteso la propria influenza all'estero, in particolare in Medio Oriente e in Africa, soprattutto attraverso la Wagner, e sarebbe quasi impossibile per il governo russo sostituire organi governativi alle truppe mercenarie russe presenti nei vari paesi, in quanto esse "autofinanziano" le proprie attività con lo sfruttamento di risorse locali, e sarebbe pressoché impossibile per l'establishment militare russo debellare i "ribelli" nei paesi nei quali si sono insediati.

Prigozhin ha potuto ricattare Putin non solo perché l'occupazione militare del Cremlino era alla portata delle proprie truppe temprate in dure battaglie, nel giro di poche ore (salvo poi dover abbandonare la presa quando le forze regolari sarebbero riuscite a concentrarsi su Mosca, ma questo avrebbe potuto comportare rovesci in Ucraina), ma perché, se avesse schiacciato la Wagner sul suolo russo o ucraino, molto più difficile sarebbe stato farlo all'estero, con il rischio di un drastico ridimensionamento della presenza russa soprattutto nel continente africano.

Per comprendere meglio le implicazioni di questo scontro interno, è utile ripercorrere la formazione del gruppo Wagner.

Prigozhin, egli stesso reduce da 8 anni di carcere per reati comuni, per furto, rapina, truffa e sfruttamento della prostituzione, aprì un ristorante a San Pietroburgo, frequentato dalla nomenclatura della città, tra cui l'(ex?)agente segreto e vicesindaco Vladimir Putin, che a quel tempo intratteneva stretti rapporti con la mafia del terminale petrolifero del porto della città: di qui la sua fama quale "cuoco di Putin", col quale mantenne rapporti anche quando egli si trasferì a Mosca. Un rapporto che gli fruttò le commesse per il vettovagliamento delle Forze Armate russe, dopodiché costituì proprie squadre militari in seguito cresciute a formare l'agenzia di sicurezza "Wagner", nome che si dice fosse il nome di battaglia di uno dei primi militari di professione ingaggiati, Dmitriy Utkin, veterano delle guerre cecene, per i suoi tatuaggi reminiscenti dei simboli nazisti e secondo Wikipedia affiliato al movimento pagano Fede dei Nativi Slavi. Nel 2016 Utkin fu insignito da Putin con la Medaglia al Coraggio.

I militari della Wagner intervennero nel 2014 nella guerra di secessione delle province del Donbass, senza insegne in modo da potersi spacciare per partigiani separatisti locali. L'anno dopo furono inviati in Siria, impiegati soprattutto per proteggere o riconquistare i campi petroliferi caduti in mano ai ribelli, ai curdi e all'ISIS. Utilizzando una delle decine di società controllate da Prigozhin, Evro Polis, il Gruppo fu "pagato" con il 25% della produzione dei quattro campi controllati: Al Mahr, Al-Shaer, Jazar e Jihar. Quando però cercarono di conquistare, nel 2018, il campo e impianto di gas della Conoco alle forze ribelli, gli americani bombardarono pesantemente gli attaccanti, che subirono gravi perdite. Anche in questo caso è chiara l'utilità di disporre di truppe irregolari: l'esercito russo non avrebbe potuto attaccare il campo Conoco o subire un bombardamento americano senza pesanti conseguenze politiche, diplomatiche e militari. Nel 2017 la Wagner ottiene dal governo siriano diritti di esplorazione su circa 30.000 kmq tramite le società Velada LLC, Mercury LLC e ancora nel 2021 tramite Kapital LLC (anch'essa controllata del Gruppo Wagner) ottenne diritti di esplorazione su circa 5.000 km.

Nel contempo la Wagner invia 800 uomini in Libia, a sostenere il governo del generale Haftar (pure sostenuto da Francia ed Egitto, avversato dall'Italia fino alla recente apertura fatta dalla Meloni), e garantisce la protezione del presidente della Repubblica Centrafricana (CAR) Tonadera contro l'insorgenza dell'Unione per la Pace (UPC) creando la Sewa Security che addestra l'esercito del paese, ma anche qui in cambio di tre licenze minerarie a vantaggio di Lobaye Invest, la società del gruppo che controlla Sewa. Lobaye ottiene anche il controllo anche della miniera d'oro di Ndassima, offrendo contanti al capo dell'UPC, Darassa, e ai suoi militari, che la controllavano da 7 anni. La miniera era sfruttata manualmente, i russi di Midas Redources la trasformano in una miniera industriale e ottengono una concessione per tutte le grandi miniere della regione di Passandro. Oltre all'oro, il gruppo acquisisce controllo su miniere di diamanti e licenze per lo sfruttamento del legname. La Wagner conduce anche operazioni anti UPC, attaccando i villaggi che lo sostengono, e prendendo il bestiame.

Tramite la Wagner la CAR passa dal "protettorato" francese a quello russo. Ci sono foto di striscioni portati da abitanti della capitale con scritto "La Russie c'est Wagner / nous aimons / la Russie et nous aimons Wagner".

La Wagner è anche stata chiamata dai militari che hanno preso il potere in Mali inducendo i francesi ad abbandonare il terreno. Anche per mancanza di una copertura aerea, i mille-duemila uomini della Wagner tuttavia avrebbero perso terreno di fronte all'avanzata di al Quaeda e all'ISIS (ossia agli sceicchi del Golfo) in concorrenza tra loro.

La guerra civile in corso in Sudan ha scoperchiato la presenza della Wagner nello sfruttamento di miniere d‘oro sudanesi, tramite la società controllata Meroe Gold nei territori occupati dalle Forze di Reazione rapida. È emerso che l'oro estratto in Sudan viene inviato negli Emirati per essere raffinato e inviato in Russia.

È nota anche la presenza di truppe della Wagner in Mozambico, a combattere la guerriglia islamica. Pare abbiano crescenti difficoltà nel controllo del territorio e siano stati costretti a ritirarsi nella loro base.

Secondo l'Ansa, all'elenco dei Paesi africani nei quali interviene la Wagner sarebbero anche Botswana, Burundi, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Congo, Guinea, Guinea Bissau, Nigeria, e Zimbabwe. Wagner sarebbe presente anche in Venezuela, a sostegno del governo Maduro.

Secondo il WSJ i pagamenti accertati da parte del governo russo allSudan, Libia, Repubblica Centrafricana, Mali, a cinquantina di società che fanno capo a Prigozhin ammonterebbero a 5 miliardi di dollari; questi pagamenti costituiscono naturalmente solo una parte delle entrate del gruppo, che si fa retribuire "in natura" dai governi cui fornisce "servizi" militari.

Da questo quadro parziale emerge chiaramente che Wagner non è una semplice organizzazione di mercenari tollerata dal governo russo (in barba alla legge che vieta formazioni armate private), ma un braccio armato del governo russo, che gli permette di intervenire in modo spregiudicato in qualsiasi area del mondo per estendere l'influenza politica, economica e militare russa, ed è allo stesso tempo una multinazionale in forte espansione, attiva soprattutto nel settore minerario, dal petrolio all'oro, metallo particolarmente utile ad aggirare le sanzioni occidentali.

Lo Stato russo manterrà questo strumento privato-pubblico, che con la spregiudicata direzione di Prigozhin ha consolidato in pochi anni una influenza su numerosi stati africani. Putin ha disfatto grandi gruppi economici che si erano messi di traverso sulla sua strada, con sentenze di tribunale a comando. L'immunità promessa a Prigozhin è probabilmente un espediente per prendere tempo, per evitare la resa dei conti a suon di cannonate attorno al Cremlino. Lo stato bonapartista di Putin ha certamente le risorse per rimettere ordine nella sua corte.

Non vediamo purtroppo in questa crisi interna al potere russo la possibilità di un risveglio dell'azione indipendente dei proletari russi - almeno per ora. Ma è un fatto che può dare coraggio alle avanguardie che anche in Russia si oppongono alla guerra imperialista.

 

 

 

 
 
 

Il governo Meloni e il reato di tortura

Post n°634 pubblicato il 02 Aprile 2023 da zoppeangelo

È diffuso in Italia, anche a sinistra, il luogo comune secondo cui in Italia la polizia e le istituzioni non sono violente. Fa parte del cliché degli Italiani "brava gente", utilizzato a lungo dall'imperialismo nostrano per nascondere le vergognose violenze operate nei paesi colonizzati (i lager libici o l'iprite contro gli etiopi).

Certo in Italia non siamo ancora alle "esecuzioni" in diretta dei giovani neri a cui gli Usa ci hanno abituati.

Ma non dimentichiamo che il nostro Stato "democratico" trasferì senza alcuna modifica il Codice Rocco fascista nella propria legislazione. Che le forze di polizia non furono epurate dei responsabili di tortura e eccidi. Che una amnistia fece cadere nell'oblio tutti i reati fascisti. Che la repressione contro operai e lavoratori nel secondo dopoguerra non aveva nulla da invidiare a quelli del periodo fascista.

I morti ammazzati in scioperi e manifestazioni costituiscono un lungo lugubre elenco, per non parlare degli "omicidi di stato" avvenuti nelle carceri .

Questa è la doverosa premessa.

Venendo all'oggi, a fine novembre 2022 Fratelli d'Italia presenta una proposta di legge per abrogare gli art. 613bis e 613 ter della legge 110/2017 che riguardano appunto il reato di tortura.

È una promessa che Giorgia Meloni aveva fatto nello stesso anno ai sindacati di polizia e carabinieri. Oggi la legge è approdata in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati.

Cominciamo dalla storia della legge e degli articoli.

Una legge che non tutela granché, ma che dà comunque fastidio a Meloni
All'origine ci sono le violenze perpetrate dalle forze dell'ordine alla scuola Diaz nel 2001 durante il G8 di Genova e nella caserma di Bolzaneto ai danni di arrestati con false accuse o prefabbricate .

Amnesty International richiese ufficialmente nel 2002 un'indagine sull'operato delle forze dell'ordine e parlò di "una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente". E denunciò che due dei condannati erano stati promossi in seguito. Critiche arrivarono anche dal Parlamento Europeo.

Per anni le vittime di Genova hanno presentato denunce, ricorsi, fatto manifestazioni. Nei processi svolti in Italia contro i responsabili non si poté o non si volle procede, perché "non identificabili". Molti reati furono fatti cadere in prescrizione. Al contrario la Corte Europea di tutela dei diritti dell'uomo accolse molti ricorsi dei feriti e menomati, mentre respinse quelli degli agenti .

Finalmente il 7 aprile 2015, comunque con i tempi tipici di una istituzione borghese, sempre la stessa Corte europea ha dichiarato all'unanimità che a Genova fu violato l'articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che riguarda il "divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti".

Nella stessa sentenza la Corte criticò l'assenza del reato di tortura nella legislazione italiana, presente invece nella normativa comunitaria e internazionale, sottolineò che non si era potuto individuare i colpevoli per la mancanza di collaborazione della polizia, che i pochi responsabili individuati non erano stati puniti perché il reato era caduto in prescrizione.

Di fatto nessuno dei responsabili delle atrocità ha fatto un solo giorno di carcere e ci è voluta la Corte di Strasburgo perché fossero condannati a pene pecuniarie.

La legge 110 del 14 luglio 2017 nasce quindi in ritardo per le pressioni della Corte Europea. Introduce nel Codice Penale italiano i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura, rubricati sotto gli articoli 613-bis e 613-ter.

Se ne occupò subito il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite che nel suo rapporto del 6 dicembre 2017, pur apprezzando l'istituzione del Garante per i diritti delle persone detenute, riteneva la legge del tutto inadeguata , in particolare perché non erano specificatamente citati i pubblici ufficiali, perché dava meno rilevanza alle condotte condannate; Il Comitato esprimeva preoccupazione perché il reato era stato di nuovo inserito fra quelli soggetti a prescrizione, insisteva sulla necessità che anche in Italia esistesse una Istituzione autonoma a protezione dei diritti dell'uomo, infine sottolineava che non erano introdotte garanzie adeguate per la tutela dei detenuti .

In sostanza il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite ritiene gli art. 613bis e 613 ter della legge 110/2017 inadeguati a proteggere i cittadini italiani dalle violenze di Stato.

Abbiamo citato il parere di due organismi che dagli Stati della borghesia vengono definiti super partes, ma potremmo citare molti articoli di giuristi che sottolineavano come la sentenza e il rapporto di fatto ritenevano gli alti gradi della polizia, quindi lo stato italiano, complici dei fatti di Genova per aver coperto i responsabili e il Parlamento italiano responsabile per aver concesso ai reati di tortura la prescrizione. Per la cronaca ricordiamo che alla data della legge era in carica il Governo Gentiloni e Presidente della Repubblica era il "nonno della patria" Mattarella.

Interessante le motivazioni di Fratelli d'Italia nel presentare la legge e cioè che occorre tutelate la polizia carceraria e che i due articoli non sono conformi alle vere intenzioni dell'ONU.

Ricordiamo invece che Salvini, caldo promotore della proposta di abolizione degli articoli 603 bis e ter, ai tempi tentò di minacciare Ilaria Cucchi quando chiese giustizia per il fratello e ricordiamo anche che solo l'ostinazione dei parenti delle vittime di violenza in carcere ha permesso alcune volte di superare il muro di omertà e ottenere giustizia. Inoltre non è ancora passato un anno da un ulteriore richiamo all'Italia della Corte Europea, richiamo che riguardava la condizione dei carcerati. Perché fatti come quelli di Genova sono ancora di attualità.

Ricordiamo le rivolte e le morti sospette in pieno lockdown del marzo 2020 nelle carceri di Modena (9 morti), Rieti (3 morti) Bologna (1 morto). Morti che non saranno mai chiarite perché il gip ha deciso l'archiviazione, agevolato dal fatto che molti dei morti erano stranieri.

Ricordiamo il pestaggio operato da 283 agenti di polizia penitenziaria nel carcere Uccella di S. Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020, documentato dalle telecamere, negato con forza dalle autorità che hanno messo in atto un depistaggio in piena regola .

Il governo parte dalla convinzione che riuscirà nell'intento perché ha la maggioranza nel governo. E potrebbe magari riuscire. I commenti dell'opposizione sono ovviamente negativi, ma non sembra abbia tutta questa ansia di mobilitarsi sull'argomento. La stampa ne ha fatto una notizia di cronaca, di un giorno o poco più, soprattutto la televisione ha passato via.

Ora, da marxisti noi non confidiamo sulle leggi, compresa la Costituzione, per difenderci dalle angherie. La storia ha dimostrato che a questo fine sono determinanti i rapporti di forza politici, la lotta determinata, insomma. E in ogni caso l'esperienza ci insegna che una norma antioperaia una volta approvata si deve sudare sette camicie per abolirla e quindi è meglio fermarla prima che dopo. E chissà perché siamo convinti che Meloni e C intendano offrire alla polizia maggiori garanzie di impunità, non solo nel reprimere tossicodipendenti, transessuali, ladruncoli o altri "indesiderabili (anche loro naturalmente), ma per reprimere i lavoratori, soprattutto quelli che lottano.

Il primo decreto anti-rave insegna.

Io credo che questo tentativo di Fratelli d'Italia meriti tutta la nostra attenzione, foss'anche solo per segnalarlo con tutti i particolari anche a chi si sente tiepidamente di sinistra o comunque "contestatore legalitario", perché la destra ha una tradizione in questo senso (e la Meloni la conosce bene).

Rileggetevi quel testo attribuito a Brecht!

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare"

 

tratto da Combat 30/3/2023

 

 

 
 
 

ROMANZO VERITA' : LENIN A CAPRI

Post n°633 pubblicato il 17 Marzo 2023 da zoppeangelo

Trama del libro


Nel giugno del 1910 Lenin abbandona precipitosamente Parigi e parte per Capri. Vuole raggiungere Maksim Gor'kij che, circondato da una corte dei miracoli composta da intellettuali e artisti, da tempo vive sull'isola frequentata allora da teste coronate e stelle della Belle Epoque. I motivi di quella partenza fino a oggi non erano mai stati chiariti: non vi erano infatti ragioni di salute, cause politiche, moventi finanziari o familiari che potessero giustificare quell'improvviso trasferimento nell'arcipelago campano. Attraverso questo saggio romanzesco, o forse romanzo-verità, ne scopriamo finalmente le ragioni: Lenin non volle andare a Capri bensì vi fuggi. Egli cercava, in questo modo, di cambiare radicalmente vita al fine di superare la profonda crisi esistenziale e politica che lo tormentava in quel periodo. Ma durante quei giorni e quel viaggio accaddero fatti talmente decisivi da rovesciare ogni sua aspettativa e speranza contribuendo a determinare in tal modo la successiva storia del secolo scorso e anche di quello presente. In questo libro - ironica ricostruzione d'epoca, sorprendente avventura di tensione, paradossale dissertazione di filosofia politica - la figura di Lenin emerge in tutta la sua complessità. Se ne narrano le avventure - le indagini su degli omicidi, la lotta con polizie segrete e bande criminali, un'esasperante partita a scacchi - e se ne traccia uno spaccato di vita nella continua lotta tra i suoi aneliti e i fantasmi della sua infanzia. Il tutto naturalmente alla vigilia di immani tragedie storiche.

 
 
 
 
 

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