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Tutti feticisti


Viviamo in una società feticista. In una società «strategicamente feticista», nella quale ogni individuo tende ad ancorarsi a oggetti e fenomeni ai quali attribuisce poteri rassicuranti. È la tesi della psicoanalista newyorkese Louise J. Kaplan che, dopo aver svelato il mondo intimo delle donne in Perversioni femminili (cleptomania, anoressia, piccole mutilazioni, sottomissione estrema), descrive ora una diffusa caratteristica della società contemporanea: il feticismo. Il suo nuovo libro, Falsi idoli (Erickson, pagine 184, e 21,50) riparte dagli studi di Jean Baudrillard e Guy Debord per mappare le culture del feticismo, che rivelano il volto primitivo della nostra età. L'esempio più noto è, ovviamente, quello del feticismo sessuale, nel quale un tacco a spillo, una calza o una frusta sono chiamati a «facilitare il compimento del rapporto sessuale — dice la Kaplan — percepito come qualcosa di minaccioso ». In questo caso, come in molti altri, l'oggetto feticcio facilita il rapporto con l'altro accompagnandoci nella selva oscura delle lenzuola e della vita. Ma la «strategia feticista» permea una vasta gamma di comportamenti sociali sia delle classi popolari che di quelle colte. È un tema studiato anche in Italia (si veda il numero del 1995 di Parolechiave curato da Claudio Pavone intitolato «La memoria e le cose») che fa presagire l'esito di questa «storia come feticcio»: quando tutti gli archivi saranno digitalizzati, o si sapranno «mettere in opera» i documenti (come sosteneva Foucault) oppure lo storico d'archivio non avrà più senso. Nel pensiero della Kaplan, il documento è per lo storico quello che il tatuaggio è per il giovane che deve entrare in società avendone timore: un feticcio difensivo. Con buona pace del teorico dell'architettura Adolf Loos — che aveva tacciato il tatuaggio di «primitivismo » poiché il progresso della civiltà sta nella «liberazione dall'ornamento» —, piercing e marchi sulla pelle sono diventati il biglietto da visita per difenderci da un brusco ingresso in società. «Le pratiche di scrittura corporea individuale come il tatuaggio», scrive la Kaplan, hanno la funzione «di contrastare l'iscrizione al corpo sociale»: controllano la vitalità del corpo rassicurando l'individuo. Nella società contemporanea la strategia feticista agisce ovviamente anche nel rapporto tra individuo e merci. Il diffondersi del marxiano «plusvalore » nelle merci è un puro feticismo. Il caso più eclatante è, naturalmente, quello dell'abito griffato, che dissemina fashion victim. Ma non è l'unico. Sovraccarichi di valore simbolico sono anche gli iPod e le playstation, venduti a prezzi enormemente alti rispetto ai costi di produzione perché feticci. Pure il sesso e la violenza di cui grondano i film sono espressioni feticistiche, ovvero fenomeni intangibili che ci rassicurano sulla nostra vita quotidiana. Feticcio è la fuga alla Thelma e Louise e feticci sono anche i tentativi di ricongiungimento con una mitica «Madre Natura» che si scoprono in tanti film (a partire da Niagara con Marilyn Monroe) e nell'ambientalismo avventuristico. Insomma, chi è senza un feticcio scagli la prima pietra direbbe la Kaplan, perché gran parte di ciò a cui attribuiamo valore sono le nostre «fasciature dei piedi», classico esempio di feticismo cinese. Viviamo in una totale bulimia esistenziale, dove si rifiuta il cibo quotidiano e si ingurgitano vitelli grassi (i feticci) che ci appaiono rassicuranti.