KIMETZ THE BARBARIAN

Simone, il secondo scandalo


Parigi celebra l’icona De Beauvoir ma la biografa rivela il passato a Vichy
DOMENICO QUIRICO - www.lastampa.itCORRISPONDENTE DA PARIGI Gli anniversari, per fortuna, servono a penetrare sotto strati di ammiratori adoranti e a sfarinare icone un po’ troppo intoccabili. È già successo, in Francia, a Sartre uscito assai malconcio dalle sue rievocazioni. Non poteva sfuggire al giusto destino di uno sguardo finalmente scuoiatore «la Grande Sartreuse», Simone de Beauvoir, «la più eminente femminista del ventesimo secolo», questa gran virtuosa dell’esistenzialismo, dall’aspetto marmoreo, il volto e lo sguardo astratto che ha sprazzi di pietra, amante e musa impegnata ad aiutare il filosofo a «preparare l’avvenire». Il centenario della nascita che cade quest’anno si annuncia ghiotto: di libri e biografie che strisciano riverenze, ovviamente, di riedizioni di opere che sembravano davvero archiviate dal tempo come la cronaca del viaggio nella Cina maoista, di film sulle mitiche notti di Saint-Germain. Alle disparate housewifes del terzo millennio la Beauvoir sembra aver poco da dire. «Le femministe l’hanno scelta come vacca sacra - nota acida Antoinette Fouque fondatrice dello storico MLF - ma se “essere donna vuol dire essere un uomo come un altro” come pretendeva lei, allora non siamo femministe! La Beauvoir è il pensiero liberal-libertino, logico che oggi sia di moda». E significativo che i più succosi sottintesi, le accuse più impegnative arrivino dall’estero, come se la Francia avesse pudore a incrinare il mito del periodo un cui la sublime coppia dominava e fulminava dai tavolini del café Flore e Parigi era, forse per l’ultima volta, capitale del mondo. E le voci più cavillose, e anche questo è un segno, sono voci di donne. Come Ingrid Galster che insegna letteratura all’università tedesca di Paderbon che ha scritto, direttamente in francese, Beauvoir dans tous ses états che sta per essere pubblicato da Tallandier. Della scrittrice francese si proclama ammiratrice. Ma le ricerche che ha dedicato al periodo, politicamente peccaminoso, della Francia di Vichy rischiano di provocar ancor più fitte polemiche. Perchè Simone de Beauvoir non si distinse certo nel resistere, non vi patì certo i sudori del Getsemani: anzi, trascorre quegli anni ingrati tra il café de Flore a comporre il suo primo romanzo L’invitée, le vacanze sciistiche a Morgine e «fiestas» molto alcoliche. Nella sua autobiografia lei glissò con eleganza: «Volevo fare qualcosa ma mi ripugnava una partecipazione soltanto simbolica e così restai a casa mia». Nulla di grave, se nel frattempo altri intellettuali per cui disobbedire alla legge era un atto di patriottismo non avessero combattuto con i partigiani o come Raymond Aron preparato la resurrezione a Londra. Finora i biografi hanno preferito sottolineare che in quell’epoca la Beauvoir perse il posto al rettorato di Parigi perchè parlava agli studenti di Proust che mal si collegava alla ideologia ruralistica e codina del maresciallo Pétain. La Galster ha scavato, invece, sul lavoro che ottenne nel 1943: regista alla radio di Vichy! La scrittrice anche in questo caso assai reticente lo definiva «un lavoro trovato per non so quale tramite». La studiosa tedesca ha trovato il tramite, ovvero René Delanger direttore della rivista Comoedia e collaborazionista. Le sue trasmissioni erano innocui sketchs sulle origini del music-hall. Ma si accompagnavano a programmi come «la milizia francese vi parla», ovvero la voce radiofonica degli sgherri che rifornivano i campi di concentramento. «Secondo la Beauvoir - spiega la Galster - gli scrittori avevano adottato alcune regole secondo cui “non si doveva scrivere nei giornali e nelle riviste della zona occupata e parlare a Radio Parigi, quella apertamente collaborazionista, si poteva invece lavorare nella stampa della zona libera. Tutto dipendeva dal senso degli articoli e delle emissioni”. Resta il fatto che il tono delle trasmissioni è diventato dall’inizio del 1944 assai più virulento, che il famigerato Philippe Henriot parlava due volte al giorno e che lei non si è mai tirata indietro. Penso che con una certa cattiva fede abbia preferito non vedere». Altro capitolo delicato quello del nazismo e degli ebrei. La Galster: «Parla qualche volta degli ebrei che ha visto minacciati o arrestati con relativa indifferenza. Non si va mai oltre una o due frasi. Ma il peggio è il suo atteggiamento verso Bianca Biennefeld, la sua ex amante ebrea che era stata anche la amante di Sartre. Quando Bianca ricevette una lettera del filosofo che rompeva la relazione, la Beauvoir scrive con cinismo: «Lei esita tra il campo di concentramento e il suicidio». I due dimenticarono Bianca che si era nascosta nel Vercors e mai tentarono di sapere che cosa le era successo». A spalancare poi il tema della complicata relazione sentimentale con Sartre è il libro Tête-à-tête dell’americana Hazel Rowley. Non da certo scandalo il patto amoroso tra i due, che prevedeva una coproduzione dei piaceri, con «un amore necessario» e culturalmente proficuo, il loro, e «gli amori contingenti» che spesso furono comuni e per lei annoverarono Arthur Koestler e Nelson Algren. Si presta semmai nuova attenzione alla sorte di questi amanti «contingenti» considerati come semplici tasselli della costruzione di un destino letterario e filosofico. La studiosa americana ne svela il triste ruolo di marionette, manipolate dalla Beauvoir, utilizzate per mantenere desto il rapporto con Sartre, l’unico che contasse davvero. Alcuni, tra i più ferocemente «contingenti», precipitarono in buie depressioni. Lei scrisse, implacabile: «C‘è un problema che noi abbiamo sempre accuratamente evitato: come la terza persona si sarebbe sistemata nei nostri accordi...»
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