allo specchio

specchio1


da Uno, nessuno e centomila Prima volli ricompormi, aspettare che mi scomparisse dal volto ogni traccia d'ansia e di gioja e che, dentro, mi s’arrestasse ogni moto di sentimento e di pensiero, così che potessi condurre davanti allo specchio il mio corpo come estraneo a me e, come tale, pormelo davanti. «Su,» dissi, «andiamo!»Andai, con gli occhi chiusi, le mani avanti, a tentoni. Quando toccai la lastra dell'armadio, ristetti ad aspettare, ancora con gli occhi chiusi, la più assoluta calma interiore, la più assoluta indifferenza. Ma una maledetta voce mi diceva dentro, che era là anche lui, l'estraneo, di fronte a me, nello specchio. In attesa come me, con gli occhi chiusi. C'era, e io non lo vedevo. Non mi vedeva neanche lui, perché aveva, come me, gli occhi chiusi. Ma in attesa di che, lui? Di vedermi? No. Egli poteva esser veduto, non vedermi. Era per me quel che io ero per gli altri, che potevo esser veduto e non vedermi. Aprendo gli occhi però, lo avrei veduto così come un altro? Qui era il punto. M'era accaduto tante volte d'infrontar gli occhi per caso nello specchio con qualcuno che stava a guardarmi nello specchio stesso. Io nello specchio non mi vedevo ed ero veduto; così l'altro, non si vedeva, ma vedeva il mio viso e si vedeva guardato da me. Se mi fossi sporto a vedermi anch’io nello specchio, avrei forse potuto esser visto ancora dall'altro, ma io no, non avrei piú potuto vederlo. Non si può a un tempo vedersi e vedere che un altro sta a guardarci nello stesso specchio. Stando a pensare così, sempre con gli occhi chiusi, mi domandai: «È diverso ora il mio caso, o è lo stesso? Finché tengo gli occhi chiusi, siamo due: io qua e lui nello specchio. Debbo impedire che, aprendo gli occhi, egli diventi me e io lui. Io debbo vederlo e non essere veduto. È possibile? Subito com'io lo vedrò, egli mi vedrà, e ci riconosceremo. Ma grazie tante! Io non voglio riconoscermi; io voglio conoscere lui fuori di me. È possibile? Il mio sforzo supremo deve consistere in questo: di non vedermi in me, ma d'essere veduto da me, con gli occhi miei stessi ma come se fossi un altro: quell'altro che tutti vedono e io no. Su, dunque, calma, arresto d'ogni vita e attenzione!»Aprii gli occhi. Che vidi? Niente. Mi vidi. Ero io, là, aggrondato, carico del mio stesso pensiero, con un viso molto disgustato.M'assalì una fierissima stizza e mi sorse le tentazione di tirarmi uno sputo in faccia. Mi trattenni. Spianai le rughe; cercai di smorzare l'acume dello sguardo; ed ecco, a mano a mano che lo smorzavo, la mia immagine smoriva e quasi s'allontanava da me; ma smorivo anch'io di qua e quasi cascavo; e sentii che, seguitando, mi sarei addormentato. Mi tenni con gli occhi. Cercai d'impedire che mi sentissi anch'io tenuto da quegli occhi che mi stavano di fronte; che quegli occhi, cioè, entrassero entrassero nei miei. Non vi riuscii. Io mi sentivo quegli occhi. Me li vedevo di fronte, ma li sentivo anche di qua, in me; li sentivo miei; non già fissi su me, ma in se stessi. E se per poco riuscivo a non sentirmeli, non li vedevo più. Ahimè, era proprio così: io potevo vedermeli, non già vederli. Ed ecco: come compreso di questa verità che riduceva a un giuoco il mio esperimento, a un tratto il mio volto tentò nello specchio uno squallido sorriso.«Sta' serio, imbecille!» gli gridai allora. «Non c'è niente da ridere!»Fu così istantaneo, per la spontaneità della stizza, il cangiamento dell'espressione della mia immagine, e così subito seguì a questo cambiamento un'attonita apatia in essa, ch'io riuscii a vedere staccato dal mio spirito imperioso il mio corpo, là, davanti a me, nello specchio.Ah, finalmente! Eccolo là!Chi era?Niente era. Nessuno. Un povero corpo mortificato in attesa che qualcuno se lo prendesse.Luigi Pirandello